"L'estate che sciolse ogni cosa" di Tiffany McDaniel: faccia a faccia con il diavolo che siamo

 



L’estate che sciolse ogni cosa
di Tiffany McDaniel
Blu Atlantide, 2020

pp. 379
€ 18,00 (cartaceo)
 
Titolo originale: The Summer That Melted Everything
Traduzione di Lucia Olivieri


 

“Sono il flagello senza fine, la caduta senza fine, la storia senza fine di ciò che accade a un uomo incapace di dimenticare” (p. 230)
 
Il narratore de L’estate che sciolse ogni cosa, romanzo d’esordio di Tiffany McDaniel ben presto diventato un caso letterario negli Stati Uniti, è un uomo ormai anziano, tormentato dai ricordi e dai sensi di colpa. La sua vita, dopo l’estate segnante, non più dimenticabile, del 1984, è stata per lui un lento accartocciarsi su se stesso, un consumarsi inesorabile in un lungo logoramento: “Il serpente ha strappato le sue vittorie su di me. E quelle vittorie mi hanno rubato ogni dolcezza, ogni gentilezza” (p. 156). Che cos’è successo? ci viene da chiederci. Chi è davvero il diavolo che ha minato le basi solide della sua esistenza quieta, della sua famiglia prima felice? Da anni Fielding Bliss si tormenta e si punisce per qualcosa di terribile che è accaduto, di cui si sente responsabile. Per questo si impedisce ogni legame, respinge con la violenza fisica e verbale chiunque cerchi ancora (e capita assai di rado) di avvicinarsi a lui. Non vuole che il miasma della sua esistenza contagi qualcun altro. In quello che nelle prime pagine potrebbe sembrare (erroneamente) un romanzo di formazione rivolto a un pubblico adolescente, si osserva in realtà una trattazione metodica e feroce dei temi del dolore, della perdita, di una barbarie connaturata all’essere umano pronta a esplodere e a devastare.
Tutto inizia con un articolo pubblicato sul giornale locale: un appello fatto dal padre del protagonista, Autopsy Bliss, pubblico ministero, a Satana, perché si presenti in città mostrando la vera faccia del male, in modo tale che ciascuno possa vederlo con i propri occhi, che non ci siano più difficoltà nel riconoscerlo e non si possano più fare errori.
Quello che nessuno si aspetta, neanche Autopsy, è che tale richiesta possa trovare una risposta. Invece il diavolo arriva e ha il volto e le fattezze di un ragazzino dalla pelle scurissima, che sembra portare tutto il peso del mondo sulle spalle esili. I suoi occhi verdi contengono una traccia del giardino dell’Eden e sono sempre pronti a spalancarsi in preghiera per le meraviglie che lo circondano. La tradizione lo vuole cattivo, ma lui sembra essere semplicemente molto più vicino alla verità delle cose di quanto la gente sia disposta ad accettare. Le storie che racconta parlano di altri mondi, di un Dio che non può intervenire laddove ce ne sarebbe bisogno, ma che non è disposto a lasciar andare le creature da lui amate.
Sal, come chiede di essere chiamato (dalle iniziali di Satana e Lucifero), arriva insieme al caldo torrido che, insieme alle verità sgradite, fa sragionare la gente, scatena gli istinti e le paure ataviche, la ferocia di fronte al diverso che non si riesce a inquadrare. Solo la famiglia di Fielding, che vede nel ragazzo la fragilità e i lividi sulla pelle, i trascorsi non detti e la sete d’affetto, lo accoglie fin da subito come un figlio e un fratello. I Bliss del resto, nella loro generosità, nell’ingenua fiducia nel prossimo, sono i meno adatti ad accorgersi del malessere che scorre tra le vie di Breathed, piccola cittadina rurale dell’Ohio, “un luogo che celava una ferita perfetta sotto la superficie delle cose” (p. 15). Loro sono quelli che vogliono scambiare le pietre con i fiori e, anche se è stato Autopsy a scrivere la lettera che ha dato il via a tutto, non si fanno contagiare dalla febbre che dilaga.
A fomentare il sospetto, istigando la comunità a diffidare del diavolo, è l’abietto Elohim, prigioniero di una vita non vissuta e forse di un segreto che non deve essere rivelato. È lui il catalizzatore della rabbia, durante le riunioni clandestine che organizza nel bosco e che attirano una parte sempre più numerosa degli abitanti: “il caldo era suo alleato. Allacciava le sue parole al sudore della gente, il calderone bollente dei suoi discorsi al loro sciogliersi” (p. 162). Se Sal fosse arrivato in un’altra estate, forse le cose sarebbero andate diversamente, ma quella dell’84 sembra fatta apposta per scaldare gli animi: 
Quell’estate eravamo tutti malati, tutti ugualmente a rischio. Quel caldo faceva galoppare il cuore, montare ogni febbre, ribollire quanto non eravamo capaci di lasciar andare. Fu un perfetto estrattore di dolore e di frustrazione, di rabbia e di sofferenza. Portava tutto in superficie, come sudore che affiora sulla pelle. (p. 204)
Sotto l’astio crescente emerge il razzismo di una parte della collettività, latente e mai realmente superato. Sal diventa la proiezione di ogni male individuale e collettivo, di ogni torto compiuto da ogni uomo dalla pelle scura: “quel colore radunò la gente intorno a Elohim. Il colore del diavolo per ciascuno di loro, il colore che il diavolo doveva avere, perché fosse loro possibile riconoscerlo” (p. 205). Così un ragazzino può diventare capro espiatorio e, come il capro espiatorio, deve essere eliminato perché il divino ostile possa riappacificarsi con l’umano, perché la pace minacciata o infranta possa essere ripristinata.
Mentre Sal catalizza su di sé l’odio di tutti e qualcosa di tremendo viene orchestrato nell’ombra, una tragedia ben più sottile e diffusa si abbatte su Breathed, colpendo senza preavviso gli innocenti. Perché non è solo l’uomo nero che fa paura ai bigotti e retrogradi abitanti del paese: sono gli anni ‘80, ma ancora qualunque forma di diversità deve essere sanzionata perché l’ordine possa sussistere, ancora non si può accettare chi non si conforma alle aspettative sociali e alle proiezioni altrui. A farne le spese sono sempre i giovani, i puri di cuore, i portatori di luce, come Sal, come la bella Dresden con la sua gamba finta, o come Grand, fratello del protagonista, dal cuore grande ed eroico.
Con un linguaggio ricco, immaginifico, Tiffany McDaniel racconta una storia brutale, che indaga le profondità oscure dell’umano e non è disposta a concedere facili redenzioni. Chi è il diavolo?, ci si chiedeva all’inizio. Forse dobbiamo verificare ogni giorno di non essere noi, irrimediabilmente compromessi con la nostra natura più meschina, con gli abissi nascosti dietro alle apparenze. Forse dobbiamo stare in continua allerta, proteggerci l’anima, tenere ben aperti gli occhi sulle persone e sull’esistenza. Se non stiamo attenti, infatti, sembra dirci la narrazione, rischiamo di diventare nello stesso momento la matrice del male e le creature alla disperata ricerca di un perdono che, però, potrebbe non arrivare mai.   

Carolina Pernigo