di Giancarlo Marinelli
La nave di Teseo, settembre 2021
pp. 320
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Quando si parla dell'11 settembre quasi tutti hanno impressi bene in mente specifici ricordi: dov'erano e cosa stavano facendo nel momento esatto in cui hanno visto le immagini degli aerei che si schiantano contro le Torri, e poi queste che si richiudono su se stesse.
L'istantanea di quel momento, della prima visione di quell'avvenimento, è rimasta indelebile sotto pelle come succede con i grandi eventi delle nostre vite, soprattutto con i più traumatici, siano essi personali o collettivi.
Le immagini, riprese da angolature che oggi conosciamo molto bene per via della loro enorme esposizione, sono le diapositive di un mondo che crolla sotto il peso di un attacco. E immediatamente, come in un incantesimo malvagio, sotto attacco si sente chiunque le guardi. Anche a chilometri e chilometri di distanza, anche dopo vent'anni. Oltre a rappresentare una delle più grandi tragedie del nostro tempo, l'attentato alle Torri Gemelle è uno degli eventi mediatici che più esemplifica il potere delle immagini come rappresentazione di sentimenti collettivi. Dentro il fuoco che si apre un varco nel fianco degli edifici c'è il senso dell'insicurezza, nei corpi che cadono nel vuoto quello della paura, nella montagna di polvere che si solleva dalla caduta dei due grattacieli c'è il senso della fine. Qualcosa quel giorno è finito e non si è più ricostituito.
Mi pare che un fine lavoro letterario sulle immagini dell'11 settembre sia compiuto da Giancarlo Marinelli - che, oltre che scrittore, è sceneggiatore, drammaturgo e regista cinematografico e teatrale, con il suo nuovo 11, un romanzo che ci riporta ai giorni dell'evento ma mostrandoci quello che non abbiamo visto.
Tutto sta nella scelta di angolature che sono inedite e danno al lettore la sensazione di muoversi in un territorio inesplorato, sebbene emotivamente così introiettato.
Inedito è lo sguardo di Konstantin Petrov, un giovane esule estone che lavora come elettricista al centoseiesimo piano della Torre Nord. La sua macchina fotografica immortala il mondo dall'alto del World Trade Center e ne coglie i più piccoli particolari, quelli che di solito sfuggono ma sono lì a ricordarci che siamo fatti di cose reali. Inedito è lo stato d'animo di George W. Bush la notte prima dell'attacco, quando delle personali tragedie familiari fanno da preludio alla grande tragedia che attende il suo popolo.
E inedito è lo sguardo che padre Mychal Judge rivolge a coloro che incontra - fedeli e non - nelle ore prima dell'attacco. Prete francescano legatissimo ai vigili del fuoco newyorkesi, talmente tanto da seguirli dentro le Torri e morire con loro, è la prima vittima certificata a Ground Zero.
Non sono i soli personaggi di questo libro: con loro c'è anche Harold Pinter, che il 10 settembre 2001 riceve la laurea honoris causa a Firenze, Laura Bush e Condoleeza Rice che si osservano l'un l'altra mentre l'America brucia e le loro vite con lei, Alia Ghanem, la madre di Osama Bin Laden che lo aspetta da anni tremante d'amore vagando per un deserto interiore. E poi i tanti che non vengono nominati che quel giorno erano lì, e noi stessi che a vent'anni dall'evento siamo ancora dentro quelle immagini, qui ricreate in materia letteraria.
11 è un romanzo che parla dell'attacco alle Torri senza (di)mostrarcelo e quindi senza necessità di rimostrare nulla di quel ricordo collettivo. Si sofferma sui dettagli di una New York immersa in 24 ore di pura sospensione, di quiete prima della tempesta. Mentre i capitoli scandiscono severi l'avanzare delle ore il lettore sa che l'attacco arriverà e che lascerà il posto al buio.
Eppure è sempre sulle piccole, minuscole cose che l'occhio si sofferma perché sono quelle che più assorbono i sentimenti delle persone. Ci sono tavole calde e bar malfamati, piante sul pianerottolo e pulsanti d'ascensore, panchine per innamorati e confezioni di pillole. Ci sono promesse d'amore e confessioni, tradimenti e sensi di colpa, tutto mescolato dentro un racconto che suona come un sogno premonitore. Non penso fosse semplice scrivere un libro su questa tragedia. L'unico modo per farlo forse era proprio non parlare ancora della tragedia ma di tutte quelle cose che quel giorno ci sono sfuggite, volate via o collassate su se stesse.
Non sono i soli personaggi di questo libro: con loro c'è anche Harold Pinter, che il 10 settembre 2001 riceve la laurea honoris causa a Firenze, Laura Bush e Condoleeza Rice che si osservano l'un l'altra mentre l'America brucia e le loro vite con lei, Alia Ghanem, la madre di Osama Bin Laden che lo aspetta da anni tremante d'amore vagando per un deserto interiore. E poi i tanti che non vengono nominati che quel giorno erano lì, e noi stessi che a vent'anni dall'evento siamo ancora dentro quelle immagini, qui ricreate in materia letteraria.
11 è un romanzo che parla dell'attacco alle Torri senza (di)mostrarcelo e quindi senza necessità di rimostrare nulla di quel ricordo collettivo. Si sofferma sui dettagli di una New York immersa in 24 ore di pura sospensione, di quiete prima della tempesta. Mentre i capitoli scandiscono severi l'avanzare delle ore il lettore sa che l'attacco arriverà e che lascerà il posto al buio.
Eppure è sempre sulle piccole, minuscole cose che l'occhio si sofferma perché sono quelle che più assorbono i sentimenti delle persone. Ci sono tavole calde e bar malfamati, piante sul pianerottolo e pulsanti d'ascensore, panchine per innamorati e confezioni di pillole. Ci sono promesse d'amore e confessioni, tradimenti e sensi di colpa, tutto mescolato dentro un racconto che suona come un sogno premonitore. Non penso fosse semplice scrivere un libro su questa tragedia. L'unico modo per farlo forse era proprio non parlare ancora della tragedia ma di tutte quelle cose che quel giorno ci sono sfuggite, volate via o collassate su se stesse.
Lo stile di Marinelli non è mai lirico, è più quello di una poesia terrena che diventa sempre più serrata verso il finale, dove le immagini si alternano come flash a illuminare ciò che c'era e ciò che è rimasto.
Ho iniziato questo pezzo parlando del ricordo e lo concludo con la condivisione di un ricordo.
Una settimana prima dell'11 settembre 2001 rientravo in Italia da New York.
Sulle Torri Gemelle salimmo una delle ultime sere della nostra vacanza. Erano gigantesche, soprattutto se viste con gli occhi di una tredicenne.
Ricordo che mentre eravamo in fila io dissi a mia madre che la base di una sola delle Torri era grande quanto il quartiere in cui abitavamo, forse di più, e ridemmo di questo paragone immaginando il Grattacielo che si mangiava la nostra quotidianità siciliana, molto meno scenografica.
Saliti in cima osservammo tutta la città e ricordo la sensazione della testa che girava un po': l'ascensore ci aveva frastornati e lassù eravamo davvero in alto. I luoghi così alti oscillano sempre impercettibilmente, ma i fisici dicono che è tutto normale. Sul tetto del World Trade Center ho bevuto una Coca Cola, servita da un ragazzo italiano che sentendoci parlare ci disse di venire dal nostro stesso Paese. Abbiamo scambiato le chiacchiere che fanno di solito i connazionali che si incontrano altrove, un po' per cortesia, un po' per nostalgia.
L'11 settembre, tornata da scuola, io ho visto mia madre bloccata davanti alla televisione e alle immagini dell'attentato e ho pensato subito a quel ragazzo. Il suo viso ancora oggi è il primo ricordo, il più potente, che mi torna alla mente.
Ho iniziato questo pezzo parlando del ricordo e lo concludo con la condivisione di un ricordo.
Una settimana prima dell'11 settembre 2001 rientravo in Italia da New York.
Sulle Torri Gemelle salimmo una delle ultime sere della nostra vacanza. Erano gigantesche, soprattutto se viste con gli occhi di una tredicenne.
Ricordo che mentre eravamo in fila io dissi a mia madre che la base di una sola delle Torri era grande quanto il quartiere in cui abitavamo, forse di più, e ridemmo di questo paragone immaginando il Grattacielo che si mangiava la nostra quotidianità siciliana, molto meno scenografica.
Saliti in cima osservammo tutta la città e ricordo la sensazione della testa che girava un po': l'ascensore ci aveva frastornati e lassù eravamo davvero in alto. I luoghi così alti oscillano sempre impercettibilmente, ma i fisici dicono che è tutto normale. Sul tetto del World Trade Center ho bevuto una Coca Cola, servita da un ragazzo italiano che sentendoci parlare ci disse di venire dal nostro stesso Paese. Abbiamo scambiato le chiacchiere che fanno di solito i connazionali che si incontrano altrove, un po' per cortesia, un po' per nostalgia.
L'11 settembre, tornata da scuola, io ho visto mia madre bloccata davanti alla televisione e alle immagini dell'attentato e ho pensato subito a quel ragazzo. Il suo viso ancora oggi è il primo ricordo, il più potente, che mi torna alla mente.
Claudia Consoli
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