Assurde storie vere sulla gioia, lo zen e l’arte di imbucarsi alle feste
di Gavin Edwards
traduzione di Michele Martino
illustrazioni interne di Jonathan Millàn
Blackie Edizioni, 2021
pp. 312
€ 20,00 (cartaceo)
L’uomo che con espressione sibillina e sorniona vi guarda dritto negli occhi dalla copertina a colori di L’arte di essere Bill Murray è nientepopodimenoche Bill Murray in persona. Lo avreste mai detto? La cosa non vi paia poi così ovvia: sebbene quello scritto da Gavin Edwards si presenti come “il libro definitivo sul genio più imprevedibile del pianeta”, il tizio così abilmente ritratto da Timothy Greenfield-Sanders avrebbe potuto benissimo essere uno dei suoi sosia (chi non ne ha?), un gemello omozigote abilmente nascosto ai più o addirittura un manichino di cera, un cyborg, un robot, un clone. Mentre la foto veniva scattata, il vero Bill (al secolo William James, nato il 21 settembre 1950 a Evanston, Illinois, un sobborgo di Chicago, e poi cresciuto a Wilmette come quinto di nove figli di Edward e Lucille) avrebbe potuto trovarsi ovunque fuorché all’interno di quello studio di posa: magari a una partita di golf o di baseball, intento a improvvisare sul set di un film di cui aveva letto e subito dimenticato il copione, coinvolto in qualche avventura per terra/cielo/mare ai limiti del verosimile o semplicemente intento a cambiare la vita di qualcuno incontrandolo per strada, al bar, al ristorante, al parco o a un party a cui si era presentato senza invito e senza annuncio. E questo non perché l’attore e star di Hollywood sia un individuo così poco professionale da delegare un suo ritratto a un sostituto prezzolato, ma perché si può essere l’emblema di uno show di culto come il Saturday Night Live nonché il feticcio di un regista come Wes Anderson ed essere al contempo profondamente persuasi del fatto che nella propria vita ci siano questioni più importanti di uno scatto patinato: per esempio, migliorare la giornata (o la nottata) degli altri semplicemente esistendo, essendoci, meglio ancora se all’improvviso. Oggi qui, domani là, dopodomani altrove e ieri chissà: ciò che conta è il desiderio di manifestarsi nel flusso esistenziale del prossimo con lo stesso effetto che farebbe un flash accecante (e, ça va sans dire, riuscirci).
Con vari libri all’attivo e una collaborazione di lungo corso con la rivista “Rolling Stone”, Gavin Edwards ha scritto un libro su Bill Murray appena pubblicato in tradizione italiana da Blackie Edizioni che fin dal sottotitolo va oltre la classica biografia di un divo del cinema a stelle e strisce assortita di aneddoti e pettegolezzi vari. Che in queste pagine si trovino difatti “assurde storie vere sulla gioia, lo zen e l’arte di imbucarsi alle feste” la dice lunga sia sull’impostazione del lavoro sia sul concetto dell’essere umano – il che equivale a dire della meravigliosa figura pop del nostro tempo – che ne è il soggetto e l’oggetto. «Con lui tutto è possibile» si legge nella Nota dell’autore posta in apertura «quindi è logico che Bill abbia attratto un numero di mitomani superiore alla media. Da anni ormai inventarsi una nuova leggenda su di lui è uno dei giochi più gettonati su Internet» (p. 13). Dimentichiamo dunque i tipici prodotti editoriali concepiti come eterne riproposizioni dei clichés da romanzo di formazione, prepariamoci a un racconto che cestina volentieri la retorica statunitense del self made man e predisponiamoci a farci incantare (ma anche stregare va bene) dalla presentazione di quello che in più di un caso potrebbe apparire come l’emissario di un non meglio specificato Mittente Superiore:
«altri autori hanno paragonato un incontro con Bill alla visita di un angelo» continua Edwards; «benché il suo temperamento sia meno sacro che profano, anch’io sento di aver ricevuto da lui una sorta di benedizione, perché prima di iniziare a scrivere questo libro ha voluto rispondere ad alcune mie domande sul suo approccio alla vita. Le conclusioni che ne ho tratto, così come qualsiasi errore contenuto nelle pagine che seguono, sono da attribuire a me; il merito va a Bill solo se la sua straordinaria esistenza costituirà per voi una fonte di ispirazione» (p. 13).Articolato in tre sezioni, quello che ci si trova tra le mani è, per così dire, un libro “a sandwich”, in cui la ricostruzione del percorso biografico e artistico (Tutt’a un tratto, Bill) e la filmografia completa in ordine cronologico fino all’anno 2020 (Tutti i film di Bill) fungono da fragranti fette di pane atte a contenere un saporito e variegato companatico filosofico, ovvero I dieci princìpi di Bill. Ma il tono, si badi, è tutt'altro che mistico o esoterico, e anzi non c'è atteggiamento più lontano sia dall'artista che dal suo biografo di quello di chi vorrebbe programmaticamente reclutare schiere di adepti con promesse di benessere e pace dei sensi; tuttavia, se L'arte di essere Bill Murray non è certo concepito come un manuale di auto-aiuto, non ci sono dubbi che si tratti di un libro capace di ispirare trasversalmente - e con la sola forza dell'esperienza che vi viene riportata - i suoi lettori. Scrive l’autore a tale proposito:
«Bill non si è mai curato troppo di spiegare le propria filosofia – qui riassunta in dieci princìpi – né di presentarsi come un guru. Ma basta prestare un po’ di attenzione per imparare dal suo esempio. “La mia eredità” ha detto una volta, “dev’essere qualcosa di diverso dal mio lavoro” e gli incontri raccontati in questo libro potrebbero essere proprio ciò per cui sarà ricordato. Se applicate queste nozioni filosofiche alla vostra vita, scoprirete una via mai battuta prima d’ora, che vi guiderà verso una versione migliore di voi stessi» (p. 45).Il decalogo, a volerlo riportare per intero, è il seguente: 1) Gli oggetti sono opportunità; 2) La sorpresa è oro. Il caso è un’aragosta; 3) Auto-invìtati alla festa; 4) Assicurati che siano invitati anche tutti gli altri; 5) La musica unisce la gente; 6) Sii generoso con il mondo; 7) Insisti, insisti, insisti; 8) Conosci i tuoi piaceri e le loro regole; 9) Lo spirito segue il corpo; 10) Mentre la Terra gira, renditi utile. Per ciascuno di questi “imperativi suggestivi” Gavin Edwards scrive pagine in cui ogni massima viene argomentata attraverso una serie di prove del nove (peraltro recuperabili nella sezione dedicata alle fonti) che vanno dalle interviste allo stesso Murray ai colloqui con partner di lavoro, amici, conoscenti e, nondimeno, perfetti sconosciuti il cui destino incrociò magicamente quello di Bill. Regolarmente intervallati da box che si aprono nel flusso testuale come finestre pop-up di specifiche rubriche in pillole (questi i loro titoli: Bill Murray incontra la gioventù d’America, Racconti di cantina, Sul lato oscuro), ecco che stralci di conversazione, rumori fuori scena, prese dirette dal dietro le quinte e resoconti di vicende surreali ma effettivamente accadute si susseguono senza soluzione di continuità per mostrare uno, nessuno, centomila Bill Murray: un essere umano ubiquo, imprevedibile e sorprendente, comunque amabile e irresistibile al netto di ogni eccesso, bravata e scandalo (si pensi, per esempio, alle sgradevoli vicissitudini legate ai suoi trascorsi matrimoniali); uno spirito libero e indipendente, insomma, un settantenne pieno di talento e carisma dentro e fuori dal set, e con cui si vorrebbe avere (o avere avuto) a che fare almeno una volta nella vita.
Pur non escludendo a priori che proprio questa eventualità possa prima o poi verificarsi – perché sono proprio le improvvise apparizioni (e le altrettanto improvvise sparizioni) di Bill in qualunque posto al mondo ad averlo reso celebre al limite del proverbiale – Gavin Edwards stempera dunque il prevedibile struggimento del lettore con un consiglio di sicura efficacia e che promette una connessione a prova di replay, rewind e flashforward:
«il modo più semplice per avere un po’ di Bill nella vostra vita è vedere i suoi film. Alcuni appartengono ai capolavori della storia del cinema, altri meritano di finire nella cesta degli articoli a novantanove centesimi (e sarebbero troppo cari persino lì). In ogni caso, un po’ della sua energia si trova in quasi tutte le sue interpretazioni, dal 1978 al 2016: sia nei ruoli comici sia in quelli drammatici brucia la sua scintilla. Se, come dice lui, è sul set che dà il meglio di sé, allora la sua opera non racconta solo la carriera di un grande attore, ma la mappa alternativa dell’arte di essere Bill» (p. 181).Ovvio oggetto del desiderio per i fan della star di Hollywood, L’arte di essere Bill Murray è un libro da riporre sulla stessa mensola in cui si tengono tutti i DVD e (per i seguaci della prima ora) i VHS dei film dell’attore, ma la sua impostazione e il suo messaggio di fondo non lo farebbero sentire un intruso nemmeno tra i tomi di psicologia e di filosofia. Sebbene la vita, la carriera e la filmografia dell’artista vi trovino, come si è detto, il giusto spazio, ciò che rende originale il contributo di Gavin Edwards è proprio l’intenzione di descrivere l’uomo al di là dei suoi ruoli e del suo cursus honorum televisivo e cinematografico, rivelandone invece l’irresistibile approccio all’esistenza e invitando il lettore a meditare sulla sua totale o parziale replicabilità. Una volta che lo avrete letto, quello dato alle stampe da Blackie è un volume che vorrete tenere sempre a portata di mano, che vi farà chiedere a ripetizione “What Would Bill Murray Do?” e che proprio nel momento in cui lo chiuderete sembrerà sussurrarvi le stesse parole che il personaggio di Bob bisbigliava nell’orecchio di quello di Charlotte (Scarlett Johansson) nella celebre scena finale di Lost in translation (2003), il film cult diretto da Sofia Coppola con cui l’interprete sfiorò l’Oscar e che definì il più bello a cui avesse mai preso parte; poco ma sicuro, ringrazierete la casa editrice (e Michele Martino) per averlo finalmente tradotto in Italia, e solo una cattiva memoria si frapporrà fra voi e queste pagine così esilaranti e stralunate, così leggere e sorprendenti, simili in tutto e per tutto allo spirito libero che se ne conferma l’assoluto e insostituibile protagonista.
Cecilia Mariani
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