Klimt.
L’essenziale
a cura di Valérie Mettais
traduzione dal francese di Margherita Botto
L’ippocampo, 2021
Cofanetto con:
pp. 48 (opuscolo)
pp. 192 (stampe)
€ 29,00 (cartaceo)
Le icone, si sa, hanno dimensioni variabili, e non di rado anche piuttosto modeste. Nel sacro come nel profano, tuttavia, la venerazione non bada più di tanto alle proporzioni oggettive, intenta com’è a misurare il senso dell’infinito e dell’eterno con squadre, righelli e bilance di ben altra natura. Non di meno, però, anche la concretezza ha i suoi perché, e a volte, specialmente nell’arte, proprio le indicazioni tecniche e materiche sanno essere così eloquenti che è possibile identificare senza sforzo alcuni capolavori anche in assenza di titoli e immagini di riferimento. Così, se si dice o si legge “1908-1909. Olio, foglie d’oro e d’argento su tela, 180 x 180 cm. Vienna, Österreichische Galerie Belvedere” è assai probabile che davanti ai propri occhi compaia una delle coppie di amanti più rappresentative (e rappresentate) della pittura occidentale: quella incastonata dal proprio creatore all’interno di un fondale abbagliante di riflessi metallici, fermata per sempre nell’istante più intimo che inaugura la fusione dei rispettivi corpi, a premessa e promessa di una separazione impossibile. Chissà se Gustav Klimt (Vienna, 14 luglio 1862 - 6 febbraio 1918) aveva immaginato che proprio Il bacio, tra gli oltre duecento dipinti realizzati in vita (per non parlare della mole di disegni), avrebbe avuto così tanta fortuna da divenire un simbolo universalmente riconosciuto di tenerezza e passione, amplesso e abbandono, erotismo e dolcezza. Vero è che questo capolavoro, al netto di quelle che furono le alterne fortune dell’autore, ha pochi eguali per citazioni, imitazioni e parodie, e in più di un’occasione la sua immagine, oltre che quella perfetta per rappresentare un’intera epoca, è stata quella prescelta per manifesti, locandine e copertine. Nessuno stupore, dunque, che nemmeno Klimt. L’essenziale, appena pubblicato da L’ippocampo, faccia eccezione.
Dopo la serie incentrata sui grandi maestri giapponesi dell’arte incisoria dell’Ottocento, la casa editrice specializzata in libri illustrati fa dunque idealmente ritorno nel Vecchio Continente dando alle stampe, in versione italiana, un nuovo cofanetto dedicato al più celebre esponente dell’Europa fin de siècle. Tra queste pubblicazioni, del resto, non potrebbe esserci migliore continuità, dato che l’amore del pittore per la cultura visiva dell’Estremo Oriente ebbe non poca influenza sulla sua produzione personale. Curata da Valérie Mettais, che firma anche tutti i testi dell’opuscolo (ovvero un piccolo saggio biografico, le didascalie tecniche e i brevi commenti per i singoli quadri), ecco dunque una selezione di cinquanta capolavori riprodotti a colori a tutta pagina e rilegati a fisarmonica tra due tavolette telate, le quali ripropongono, ulteriormente ingranditi, i motivi decorativi dell’opera iconica scelta per caratterizzare il box. Un Klimt, dunque, intenzionalmente non al completo: un Klimt essenziale, come da sottotitolo, ma proprio per questo imprescindibile per chiunque si occupi d’arte o voglia cominciare a conoscere meglio questo protagonista assoluto della scena mitteleuropea a partire da un prodotto editoriale attentissimo alla forma oltre che al contenuto.
Dagli esordi alla maturità, dalle commissioni pubbliche a quelle private, dai primi cimenti ai veri e propri “momenti” – dorato e floreale – la pittura di Klimt, grazie anche al formato a leporello, sembra davvero offrirsi allo sguardo del fruitore come in un unico grande fregio che quasi ricorda la continuità di quelli celebri realizzati nei primi anni del Novecento per il Palazzo della Secessione di Vienna (Fregio di Beethoven) e per il palazzo privato del banchiere Adolphe Stoclet a Bruxelles (la bellezza di quaranta stanze al numero 279-281 di Avenue de Tervueren). Valérie Mettais ha selezionato con efficacia i lavori da inserire in questa mini antologia, e difatti non manca nessuno degli stili e dei temi che caratterizzarono l’operato klimtiano nel corso di una carriera che, nella ferma convinzione dell’abbattimento delle barriere tra arte (arti pure e maggiori) e artigianato (arti applicate e minori), si distinse per il coraggio delle scelte di rottura nei confronti della tradizione accademica e istituzionale. Idee radicali, dunque, che sull’esempio della Secessione di Monaco (1892) sfociarono dapprima nella nascita della Secessione dell’Associazione degli artisti plastici d’Austria (era il 3 aprile 1897, e Klimt, allora trentacinquenne, ne fu il presidente) e poi, fino alla morte, nella conseguente rivendicazione di scelte stilistiche sempre più autonome e personali, basate sulla continua messa in discussione dei risultati, dei successi (ma anche degli insuccessi) ottenuti, che determinarono l’abbandono della scena pubblica, il confortevole ripiegamento verso il mercato privato della media e altra borghesia locale, la fondazione della Kunstschau (1905).
Viaggiatore curioso ma perfetto interprete della decadenza e delle atmosfere inquiete che animaro specificamente l’Europa centrale al crocevia tra Ottocento e Novecento, Klimt ha consegnato il suo ricordo imperituro a una pittura sfacciatamente preziosa, orgogliosamente decorativa, votata al culto di un eterno femminino ambiguo e fatale. Le sue donne, sia quelle dei ritratti ufficiali (riconoscibili per nome e cognome), sia quelle archetipiche delle rappresentazioni più mitologiche e allegoriche (anonime modelle esaltate in una nudità presto divenuta marchio di fabbrica, dalla sensualità androgina), sono il centro di un mondo e di un immaginario che sa essere rassicurante, eccitante e non di meno disturbante (l’età neonatale viene rappresentata alla pari di quella senile, e l’ombra della morte,a ben guardare, si proietta sempre anche nelle opere all’apparenza più luminose). In questa raccolta, ad ogni modo, ci sono tutte le protagoniste principali del teatro klimtiano: dalle anonime muse svestite alle varie dame della nuova classe dirigente riccamente abbigliate, tra cui vale la pena ricordare i nomi di Marie Henneberg, Margarethe Stonborough-Wittgenstein, Fritza Riedler, Adele Bloch-Bauer, Friederike Maria Beer, Elisabeth Lederer ed Eugenia Primavesi; non mancano nemmeno la piccola Mäda Primavesi, figlia novenne di quest'ultima, e la celebre "signora" al centro del famigerato dipinto rubato nel 1997 dalla Galleria d'arte moderna Ricci Oddi di Piacenza, poi ritrovato causalmente in tempi recenti (correva l'anno 2019) in fondo al giardino del museo stesso, avvolto in un sacco della spazzatura e nascosto dietro una griglia di aerazione.
La domanda retorica, a questo punto, viene da sé: se è vero che Klimt è tra gli artisti che hanno dato vita alla maggiore quantità e varietà di merchandise possibile e immaginabile, con eccessi che suo malgrado ne hanno fatto diventare i capolavori una vera e propria Terra di Nessuno del kitsch più estremo (senza dimenticare che una certa critica d’arte ha a sua volta incasellato l’opera omnia del pittore all’interno di questa categoria estetica!), potrà mai mancare un delizioso cofanetto come quello pubblicato da L’ippocampo nella collezione monomaniacale dei patiti dell’artista (quelli che, per intenderci, sono andati ben oltre l’acquisto dei gadget più semplici, spingendosi verso punte equivoche quali scialletti, calzini e mascherine oscuranti per la notte)? La risposta, con ogni evidenza, è negativa, tanto più che questo contributo rappresenta il perfetto esempio di “oggetto librario” capace di conquistare varie tipologie di pubblico – dall’accumulatore seriale all’intenditore – per eleganza e raffinatezza di formato. E se chi è alla ricerca di qualcosa di più strutturato, dotto e argomentato avrà l’imbarazzo della scelta tra cataloghi, monografie e saggi critici, tutti coloro che vogliono concedersi una pura occasione contemplativa sceglieranno senza pentirsene questa proposta, “essenziale” quanto basta per ravvivare alla bisogna il fuoco di un amore pervasivo o per accenderlo con il calore di un primo, scintillantissimo, Bacio. Poco ma sicuro, la seconda tipologia di pubblico avrà maggiormente preso in parola il pittore, che proprio agli interessati presenti e futuri aveva lasciato un’esortazione a prova di fraintendimento: «chi vuole sapere qualcosa su di me come artista [...] basta che guardi attentamente i miei quadri e cerchi di capire che cosa sono e cosa voglio». Solo questo contava allora, e solo questo, ancora oggi, è ciò che conta.
Cecilia Mariani