Viaggio alla scoperta del cattivo gusto per imparare ad amarlo
di Matteo Fumagalli
Cairo Editore, 2021
pp. 220
€ 16,00 (cartaceo)
Era un insolito destino quello che, nell’ormai lontano 1974, “travolgeva” Mariangela Melato e Giancarlo Giannini in un film di Lina Wertmüller divenuto, negli anni, sia cult che stracult: a mollo nell’azzurro mare di agosto, succintamente calati nei ben pochi panni di Raffaella Pavone Lanzetti e Gennarino Carunchio, i due protagonisti si ritrovavano a gestire le conseguenze di un’avaria tanto concreta quanto simbolica, ignari di come quella deriva provvisoria avrebbe rivoluzionato sotto ogni punto di vista il loro rapporto. A sommergerli, ma anche a tenerli a galla, erano, allora, faccende di tipo politico, economico, culturale, sentimentale e sessuale; questioni che a seconda dei venti e delle maree diventavano zavorre e salvagenti, ancore e scialuppe di salvataggio, ma che indipendentemente dalle loro inclinazione a nuotare o affogare li avrebbero sconvolti per sempre, rendendoli in qualche modo, entrambi, naufraghi della vita.
Che fare, però, quando a spingerci a largo tra i flutti ostili o ributtarci a riva con violenta risacca non è ciò che capita in una storia cinematografica da manuale bensì il cattivo gusto che quotidianamente ci ammalora con il suo mix corrosivo di umidità e salsedine? Il salto – e anzi, a questo punto, il tuffo – tematico non paia azzardato: c’è evidentemente una ragione se il titolo del libro di Matteo Fumagalli appena pubblicato da Cairo Editore – Travolti dal trash nell’immenso mare del brutto – richiama all’istante quello della celebre pellicola. Difatti (e si parva licet componere magnis), laddove la regista lasciava che i suoi personaggi non sapessero più che pesci pigliare o si illudessero di essere finalmente alle prese con la mattanza giusta, l’autore di questa guida non illustrata a “tutto il meglio del peggio che c’è” esplicita fin dal frontespizio che contro il famigerato pessimo le nostre patenti nautiche intellettuali saranno carta straccia, così come i nostri allenamenti nelle piscine o nelle acque libere dell’erudizione saranno fatica sprecata. A nulla varranno bracciate e pinnate olimpioniche contro l’onta di queste onde chilometriche: tanto vale arrendersi. Perché se la classe non è acqua, ecco che il trash è l’esatto contrario: è autentica goccia che scava qualsiasi roccia (non solo quella del bon chic, bon genre), ma allo stesso tempo è anche tsunami che allaga e trascina tutto (ma proprio tutto) verso il fondo in un vorticoso glu glu con risucchio. E non finisce qui: capace, come ogni liquido, di assumere la forma di ciò che lo contiene, Esso invade ogni sorta di recipiente – con una predilezione per quelli di matrice artistica – e ci ristagna ben bene, con tutto ciò che ne consegue in termini di proliferazione non salubre di forme di vita mutanti e mostruose.
La cattiva ambasciata, a questo punto, è che tutto ciò corrisponde davvero alla realtà in cui viviamo e non alla trama ciclica di un fantasy distopico In the Navy (genere che l’autore, peraltro, dichiara di non amare). La buona novella, invece, è che non è ancora troppo tardi perché ciascuno di noi diventi, senza eccezione, campione di surf o, se preferisce, di apnea. Secondo Fumagalli partiremmo comunque avvantaggiati: perché proprio quel trash che ci appare così estraneo e altro in realtà fa già bolle e schiuma dentro di noi, identico a quegli abissi tempestosi – del gusto e della psiche – che ci fanno così tanta paura. Imparare a gestire al meglio la nostra bussola estetica non significherà, dunque, evitare la collisione, ma anzi andarle incontro col vento in poppa: solo così avremmo qualche chance di diventare degli autentici lupi di mare, conoscere e riconoscere le rotte migliori, neutralizzare le creature infestanti che popolano i fondali e resistere al canto delle Sirene in superficie. E quel mal di mare da incubo, quello che ancora ci annichilisce al cospetto di ogni trashata letteraria, cinematografica e musicale, sarà solo un nauseabondo ricordo.
Scritto con uno stile informale e diretto che è la perfetta traduzione su pagina dell’omonimo canale YouTube dell’autore – che, oltre a lavorare nell’editoria, insegna Digital Video e Storia del Cinema in NABA – questo Viaggio alla scoperta del cattivo gusto per imparare ad amarlo non è un saggio nel senso più accademico del termine, non è un manuale dal taglio enciclopedico e non è nemmeno uno sproloquio spartiacque che intende dividere e ghettizzare vicendevolmente lo yin e lo yang della cultura generalmente intesa. Sebbene ci siano al suo interno caratteristiche proprie di ciascuna di queste tre impostazioni, il lavoro di Matteo Fumagalli si presenta più specificamente al crocevia tra diario personale e vademecum, con esilaranti divagazioni, autoironiche abiure e iperbolici autodafé che sono a tutti gli effetti parte del gioco. Nel descrivere e argomentare la quintessenza del trash, difatti, non solo l’autore si pone, espone e confessa in prima persona in quello che da tempo è il suo rapporto con questo affascinante e appassionante ecosistema, ma come un bravo biologo che ne conosca al meglio ontologia e fenomenologia lo racconta al lettore affinché non se ne faccia impressionare, ma anzi si decida finalmente a esplorarlo in lungo e in largo. Con una promessa che è una garanzia: poi, dopo, a tempo debito, starà meglio, molto meglio. Sarà più leggero, fluido, elastico, preciso e consapevole nel percepire e valutare ciò che è basso e ciò che è alto, ma soprattutto si sentirà liberato e sgravato da preconcetti, stigmi, bollini di qualità, aut-aut e giudizi universali con apposito diluvio. Non perché questi siano il male radicale, ma perché troppo spesso e troppo a lungo hanno ottuso anche le intelligenze critiche più sublimi e raffinate, privandole della possibilità di allenare il proprio cervello e inducendole nella tentazione di mettere un’unica e frettolosa pietra al collo del trash (e degli amici, sodali, congiunti e parenti del camp e del kitsch) per poi buttarlo al fiume senza nemmeno la soddisfazione di un perfido processo.
E invece quanto sfizio sopraffino e quanto gratificante diletto si celano nel bazzicare il cattivo gusto con criterio e nell’esplicita ammissione di questo rapporto? Un senso di pace che non è mero autocompiacimento per la frequentazione di infime compagnie, ma consapevolezza di saperle riconoscere e addirittura salutare di fronte a tutti senza vergogna. Nell’invito a fare come lui, Matteo Fumagalli racconta al lettore esperienze personali di fruizione (e autoproduzione) di tutto ciò che tradotto alla lettera non è altro che spazzatura, rifiuto, detrito, scarto e deiezione, ma che a livello diagnostico si presenta sempre – ed è bene tenerlo a mente per tarare il proprio radar – come imitazione fallimentare e inconsapevole di un modello alto: è questo il cuore del volume, tre capitoli dai titoli parodistici quali Delitto e castigo trash, Via col trash e Do Re Mi Fa Sol La Trash, in cui l’autore mette nero su bianco (e con evidente spasso) tranches de vie (la sua) in cui la spiccata sensibilità nei confronti del cattivo gusto ha avuto l’efficacia di una carta moschicida, per poi passare, da competente e pio entomologo, all’analisi di una casistica della Trinità del Trash, quella che paganamente e senza soluzione di continuità si manifesta in libri, cortometraggi e lungometraggi, canzoni e tracce strumentali. Intenzionalmente, questo commento non menzionerà nemmeno un esempio: questo gusto sarà tutto del lettore, e con esso anche il rischio e pericolo di una più che probabile e plurima “agnizione”.
Se il suo autore è onnivoro e insaziabile, il volume appena pubblicato da Cairo è una vera mensa di esempi e di storie alla quale si è tutti invitati con spirito da grande bouffe. Senza pretesa alcuna di esaustività – il che sarebbe impossibile: il ciclo del trash è infinito, tale e quale alla più paradigmatica delle soap opera – Matteo Fumagalli ha scritto un libro che ha evidentemente divertito lui per primo dall’incipit all’explicit, e lo ha fatto nella consapevolezza di non dare alle stampe il contributo definitivo sul tema o il tomo di riferimento per disamine dotte e competitive (di quelle, per intenderci, con note a piè di pagina estese quanto tutta la pagina o lambiccamenti particolarmente concettosi da essere incontestabili in quanto comprensibili solo a chi li ha formulati). Privo di immagini ma con ogni tipo di dritta per andare a rintracciare in autonomia ciò di cui si parla, e con in più una bibliografia essenziale per ulteriori approfondimenti (o sprofondamenti nelle sabbie mobili), Travolti dal trash nell’immenso mare del brutto è un libro che somiglia a una lunga chiacchierata, varia quanto è varia l’oggettistica molto opportunamente esposta sul fronte e sul retro della copertina: quasi materiali per teche di futuri musei, archeologia contemporanea per gli Indiana Jones del cattivo gusto di domani. Se chi non ha mai avuto almeno uno di questi gingilli tra le mani sta mentendo ben sapendo di mentire, metta da parte l’imbarazzo, non se ne disfi e anzi lo custodisca sotto chiave se non addirittura sotto teca: nella vita ci sono “altarini” ben più abietti e imperdonabili, ed è proprio su quelli, purtroppo, che nulla possono e potranno mai i corsi e ricorsi storici della disciplina estetica.
Cecilia Mariani
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