di Hannah Rothschild
Neri Pozza, agosto 2021
Traduzione di Alessandro Zabini
pp. 432
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Con l'incespicante trascorrere dei secoli, la mollezza delle abitudini smorzò la sensibilità e l'ambizione dei conti di Trelawney, che non riuscirono a sviluppare nuove capacità. Gli ultimi otto dei ventiquattro conti si distinsero per la loro dissolutezza e per la totale mancanza di acume negli affari. La loro inettitudine finanziaria, due guerre mondiali, il crollo di Wall Street, tre divorzi e le tasse ereditarie dissiparono il patrimonio della famiglia. (p. 10)
È la stessa vecchia storia: casati le cui radici affondano nella notte dei tempi e immense dimore non sembrano essere compatibili con i tempi moderni. I Trelawney hanno ottocento anni di storia, una magione così grande da aver attraversato ed essersi fatta contaminare da tutti gli stili artistici dell'Occidente, e nell'estate del 2008, quando si apre la narrazione, non sono più nemmeno in grado di far funzionare la caldaia e mettere qualcosa in tavola che non sia del macinato di carne comprato al discount.
Il vecchio conte Enyon e la contessa Clarissa, per quanto ben consapevoli del decadimento del loro blasone, fingono che tutto sia ancora come un tempo. Kitto, loro erede al titolo, lavora in una banca d'investimenti, ma è così ingenuo da non saper prevedere gli andamenti di mercato. Sua moglie, Jane, si sforza di non far cadere al suolo la maestosa Trelawney. Blaze, sorella di Kitto, è l'unica che ha combinato qualcosa nella vita diventando analista di mercato: solo che a Londra tutti la considerano una cassandra che va in giro a predire la più nera sventura sui mutui subprime e vaticina di un prossimo crollo di Lahman Brothers. Come le si può dare fiducia quando il mercato non sembra smettere di salire?
«Perché lo stiamo facendo? Forse dovremmo lasciare che il castello vada in rovina...» (p. 310)
Casa Trelawney di Hannah Rothschild racconta una storia di nobiltà diversa da come ce la aspetteremmo. Forse condizionati dalle raffigurazioni recenti di altri casati e altre avite dimore, siamo abituati a pensare a una coesione familiare molto forte, al desiderio di fare di tutto per salvare magione e casato e a un certo snobismo che se travalica nell'anacronismo è destinato a portare al fallimento. I Trelawney agiscono esattamente al contrario di quanto penseremmo, ma non per mancanza di interesse, stupidità o nichilismo: sono tutte persone che, in un modo o nell'altro, sono o troppo in ritardo o troppo in anticipo e comunque sempre nel posto sbagliato.
Blaze che, nonostante sia la secondogenita ha in sé la tempra maggiore, è in questo caso la massima incarnazione del casato: troppo in anticipo nel predire il crollo finanziario del 2008, troppo in anticipo in investimenti che la farebbero guadagnare, è in ritardo in quanto nascita. Lei avrebbe dovuto essere l'erede del casato, ma solo un capriccio del destino ha permesso che nascesse Kitto prima di lei, un ingenuo incapace sia nel proprio lavoro bancario che come custode dei beni di famiglia e che vorrebbe disperatamente essere al posto della sorella. E Blaze darebbe anima e corpo per essere al suo posto e prendersi cura dell'unica vera casa che ha mai conosciuto.
Sono in ritardo anche i personaggi che gravitano intorno alla famiglia come il viscido Sleet, affarista senza scrupoli e oligarca in progress, che desidera solo il riconoscimento e la classe che i Trelawney hanno dalla nascita e che lui riesce a raggiungere solo quanto è troppo tardi e non importa più a nessuno. O Ayesha, in cerca di vendetta per la splendida madre, Anastasia, che agisce del tutto fuori tempo massimo.
Ma il vero problema della famiglia Trelawney e del modo di vivere che rappresentano, è l'incapacità di adattarsi. Se i Trelawney sono sopravvissuti per otto secoli, ci sono riusciti solo alleandosi con chi faceva loro comodo e senza farsi troppi scrupoli nel voltare gabbana alla bisogna. Qualità che l'attuale generazione non sembra avere e che servirà a tutti nel momento in cui la bolla speculativa esplode e si vive una delle più gravi recessioni della storia.
Chi – ed è corretto, anche se verrebbe più ovvio dire "cosa" – riesce sempre a cavarsela è proprio la dimora di famiglia. Certo, il tetto sta crollando, l'edera ha sfondato le finestre e l'acqua corrente è un miracolo, ma Casa Trelawney, che viene paragonata a un organismo vivo e per la quale la mancanza di quadri ha lasciato delle "cicatrici" proprio come se fosse una persona, sa bene come fare per sopravvivere. Quello che fanno tutti gli esseri viventi a un certo stadio della propria evoluzione: adattarsi e cambiare per non scomparire. Non si può dire altrettanto dei suoi occupanti.
È una storia che mescola l'alta finanza e la nobiltà in modo molto scorrevole, senza rendersi mai noiosa e senza scadere nella tentazione di imitare altre dinamiche familiari. L'umorismo inglese compassato condisce ogni battuta di dialogo, così che anche le affermazioni più crudeli fanno sorridere, e tutte le linee narrative, alcune più approfondite di altre, conducono nella stessa direzione, riassumibile con il pensiero di Blaze.
"Abbiamo forse creato i mezzi per la nostra stessa distruzione?" (p. 57)
si interroga la donna in riferimento alle bolle speculative. La verità è che ogni sistema, se non è in grado di evolversi e adattarsi, ha in sé il germe del fallimento. Sia che si parli del sistema nobiliare, che del capitalismo, delle pulci ossessivamente studiate dalla sorella del conte Enyon o delle piante che riprendono possesso di Trelawney, ciascuno deve imparare a evolversi. Il darwinismo non è mai stato limitato solo all'ambito naturale.
Giulia Pretta