È questa la violenza dell’amore: esaurisce chi lo dona, saziandolo; sfama chi ne necessita, affamandolo. (p. 192)
Ora che si affaccia alla maggiore età, tuttavia, Rosario inizia a conoscere le sfaccettature del vuoto della vita da adulto, forse ancora più difficili da colmare rispetto alle altre con cui aveva oramai imparato a convivere. Il primo incontro con il vuoto Rosario ce l’ha vedendo il pancione di Anna, la sua fidanzata tornata a Brancaccio perché ripudiata dai genitori: portando avanti la gravidanza aveva scelto lui, u figghiu di Maria a pazza, invece che la propria famiglia. E così il primo nome del vuoto di un Saro cresciuto all’improvviso è quello del sostegno: sono soli, lui e Anna, a proteggere quella vita che cresce nel grembo di lei, lottando contro il mondo che la circonda.
Il vuoto, per Rosario, si chiama anche scuola. Nonostante la sua situazione in bilico tra l’accattonaggio e la miseria, Saro decide di continuare a studiare al liceo e a ripetere il quarto anno dopo la bocciatura. Questa volta vuole fare in modo diverso, provare ad allinearsi quanto più possibile al sistema falsamente meritocratico scelto dai professori pur di realizzare il suo sogno di diventare insegnante, così come aveva promesso alla mamma. A nulla vale il sostegno del nuovo docente di filosofia, il prof. Battaglia, che sprona davvero i suoi alunni a pensare e chiede una rivoluzione nell’approccio didattico. A Palermo tutto deve cambiare affinché nulla cambi e così sui banchi Rosario trova riproposte le stesse dinamiche che si consumano nella società: non c’è speranza di miglioramento per chi proviene da Brancaccio. E addio all’ascensore sociale.
Se solo fossero questi i nomi del vuoto nella vita di Rosario, tutto l’amore di Anna e di padre Giovanni riuscirebbe a controbilanciare i baratri del cuore. Ma Rosario incontra il più grande vuoto che ogni miserabile è costretto a fronteggiare nel corso della sua vita: il vuoto delle istituzioni. A nulla vale provare a seguire le regole, inoltrando le richieste di sussidio che spettano a una coppia di giovani in difficoltà in attesa di un bambino nel modo più corretto possibile; lo Stato volterà loro le spalle in silenzio.
E poiché anche il bicchiere mezzo pieno non è mai vuoto a metà perché insieme all’acqua c’è l’aria, il vuoto dello Stato si trasforma nella presenza della malavita, unica figura di riferimento in tutti gli aspetti della vita degli abitanti di Brancaccio e, quindi, anche di Rosario. Il ragazzo prova a resistere, lotta con i sensi di colpa, tiene accesa la fiamma della speranza per non scivolare nell’odio verso i propri simil anziché verso gli aguzzini, ma a un certo punto tutto la sua esistenza diventa troppo. Qualcuno riesce a riempirgli la vita con facilità e pur sapendo che la cosa è sbagliata, è costretto a cedere. In fondo ha diciotto anni, non ha una casa e sta per diventare papà.
La violenza del mio amore, romanzo seguito di Cuorebomba, è la somma di tanti vuoti che visti insieme straziano il cuore e lo macerano pagina dopo pagina. Il sentimento costante che si prova durante la lettura è l’impotenza e la bravura più grande di Dario Levantino risiede proprio nell’aver scritto un libro che non spinge alla pietà. Rispetto al precedente romanzo la dimensione geografica di Brancaccio perde vigore nel suo protagonismo, soppiantata dai luoghi del cuore e della vita intima della coppia Rosario e Anna, tutto in perfetta coerenza rispetto alla crescita vissuta dal protagonista, non più adolescente ma tutto d’un tratto uomo.
Anche la scrittura ha subito un’evoluzione e in questa seconda storia palermitana il lessico si fa più maturo, si infarcisce di termini medici, burocratici e le parole della malavita entrano con prepotenza nel vocabolario di Rosario. Una maturità stilistica è chiaramente ravvisabile, eppure ciò che il romanzo ha guadagnato nella lingua lo ha perso nella struttura narrativa, avviluppata su sé stessa senza un respiro esplicativo. Non mancano i momenti di fatica durante la lettura, salvo poi imbattersi in passi dal ritmo energico e che lasciano senza fiato. Una disomogeneità che a tratti distoglie l’attenzione dalla trama e che dà la sensazione di una storia dai confini sfilacciati.
Levantino ha però un innato talento nello scattare l’istantanea di un momento nella vita dei suoi protagonisti. Questa volta la foto ritrae Rosario che, grazie alla forza dei sentimenti e dell’amore anch’esso declinato in tante sfaccettature, somma i vuoti della sua esistenza per far fiorire l’insieme di due vite: quella di un individuo che esiste e quella di una di una vita che nascerà.
Federica Privitera
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