Tutto perfetto
tranne la madre
di Fabio Bartolomei
edizioni e/o,
2021
pp. 128
€ 12,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Un vaso
campeggia in copertina. Le crepe che lo solcano parlano di una frattura
ricomposta, di un’unità ricostituita, se non fosse per un tassello che ancora
manca, lasciando aperto un buco nero. È di fronte a questo vuoto, a questa mancanza che rischia di inghiottire e
risucchiare, che siede Pietro, protagonista del nuovo breve apologo di
Fabio Bartolomei. Terzo volume della Quadrilogia della famiglia, Tutto perfetto tranne la madre riesce a
essere ancora diverso rispetto ai due che lo hanno preceduto (li trovate recensiti
qui e qui). L’ironia, sempre presente nelle opere dell’autore, si stempera qui in una
tensione inizialmente leggera ma sempre
crescente, e in una lettura amara di
un rapporto famigliare fondato sul non detto e su segreti rimossi che nel
tempo si sono incancreniti.
La pietra d’inciampo, per Pietro, è uno scontro frontale evitato
per un soffio con un tir: nel momento dell’impatto, poi scongiurato per pochi
millimetri, lui ha visto nitidamente, come da miglior tradizione, il film della
propria vita.
Fu proprio nell’istante dei fari e dell’imponenza cromata del tir che accadde quella cosa: la vita che scorre davanti agli occhi in un lampo. (p. 8)
Ma Bartolomei sa
sempre come disinnescare i luoghi comuni,
e infatti la vita che scorre davanti agli occhi di Pietro non è la sua. Tutto appare più cupo, in quella visione, e ci sono
immagini che gli sono del tutto estranee, non riconducibili a ricordi
coscienti, frammenti che fanno pendant
con gli incubi che lo tormentano da quando è bambino, impedendogli di dormire
più di tre ore per notte e allungando la loro ombra lunga anche sulle giornate.
Il protagonista
di questo romanzo è infatti un personaggio
inquieto, eccessivamente sensibile, grande bevitore, e il lettore prima di
lui si rende conto che c’è qualche conto
in sospeso nel suo passato che rende impossibile la sua serenità nel
presente.
I ricordi di
Pietro appaiono come i cocci del vaso che devono essere rimessi insieme e il
rischio corso mette in moto una indagine
esistenziale che fa di Tutto perfetto
tranne la madre quasi un giallo.
Bartolomei
sceglie di restituire la complessità di questo percorso di ricostruzione del sé strutturando la narrazione lungo
due diversi piani temporali, a cui corrisponde una alternanza di capitoli
riconoscibili per l’utilizzo rispettivamente dei numeri arabi o romani: la
prima linea narrativa ci riporta al passato dello scontro mancato con il tir e
ai giorni successivi, la seconda a un presente collocato pochi mesi dopo, in
cui Pietro si è trasferito a casa del padre, per restargli accanto nei suoi
ultimi giorni, prima del congedo definitivo.
Tra le pagine
vengono esplorati i confini di un
rapporto padre-figlio che è stato quasi esclusivo, dal momento che Pietro è
rimasto orfano di madre da piccolo. Aurelio Battistoni, ex chirurgo di fama, è
del resto stato un genitore esemplare, che ha supplito nel migliore dei modi alla
mancanza della moglie, cercando di trasmettere al figlio tutti i valori importanti
e di non privarlo mai di nulla, diventando per il Pietro bambino, e poi
adolescente e adulto, quasi un eroe.
Adesso, però,
sul punto di doverlo lasciare andare, il protagonista non riesce a frenare una
rabbia sopita, ad accettare l’imminenza di una separazione che il padre
vorrebbe rendere piacevole, affettuosa, e che invece il figlio vive con ostilità e spirito oppositivo, mentre
l’immersione continua nello spazio domestico della sua infanzia costringe
entrambi a ripensare a quel che è stato. Si frappone dunque tra loro con una
nuova irruenza la figura della madre prima rinnegata, rimasta a giacere in un
angolo della memoria, estromessa dai pensieri e dai sensi, e forse invece
centrale nelle dinamiche famigliari ancora irrisolte.
Risulta sempre sorprendente la capacità di Bartolomei di
concentrare una grande densità di fatti e riflessioni in poche parole e poche
pagine. I volumi della Quadrilogia della famiglia si configurano come delle piccole unità narrative perfettamente
conchiuse, in cui le esistenze dei personaggi si trovano a un momento di
svolta che implica per ciascuno di loro un percorso di ricerca e di
consapevolezza per determinare il proprio futuro. Anche in questo caso, Pietro
ha bisogno di riallacciare i fili che lo legano al proprio passato, di
riconoscere le figure senza volto che affollano i suoi incubi e di rimettere in
discussione l’apparente perfezione del proprio vissuto per poter, finalmente,
ritrovare la pace.
Carolina Pernigo