In questo 2021 di celebrazioni dantesche si sono pubblicati moltissimi volumi in suo onore, alcuni più e altri meno meritevoli. Quello che stringo tra le mani, Parola di Dante, è il saggio che stavo aspettando. Perché? Intanto perché i libri di Luca Serianni sono frutto di grandi studi e garanzia di trasparenza nel dettato, dal momento che hanno come obiettivo (da non dare per scontato) l'immediatezza del messaggio. Cancellate, dunque, il timore che un libro sulla lingua di Dante possa risultare astruso o inaccessibile, se non siete addetti ai lavori: certo, forse non coglierete tutte le sfumature, ma il percorso sarà ugualmente godibile e arricchente. Se invece avete letto e studiato la Commedia prestando attenzione alla lingua, ma non colmando a sufficienza i vostri dubbi, con questo saggio potrete trovare risposta a molte delle vostre domande.
Una prima parte è dedicata a ripercorrere doverosamente la storia filologica della Commedia: Serianni ci ricorda che, in assenza di un autografo, i filologi hanno avuto a che fare con una molteplicità di copie, più o meno affidabili, di provenienza varia, e dunque con una patina linguistica diversa. Come si è arrivati alle edizioni attualmente in circolazione? Le soluzioni trovate sono differenti e su alcune si discute ancora; Serianni non approfondisce eccessivamente i dibattiti filologici, ma ci mostra per carotaggi quel che è stato fatto e le diverse soluzioni che sono state trovate dai curatori delle diverse edizioni. Insomma, lascia che anche il lettore poco esperto si affacci al lavoro del filologo, cogliendone i rovelli, le piccole vittorie e, viceversa, i compromessi necessari per arrivare a un esito che sia perlomeno verosimile.
Si passa poi al vero cuore del saggio, ovvero la lingua di Dante, a cominciare da due interrogativi a cui Serianni risponde con moltissimi esempi: la lingua di Dante è ancora attuale? Cosa abbiamo ereditato? Qualche volta le parole si sono specializzate nei secoli, hanno perso il valore che vi attribuiva Dante per assumere altri significati, che attualmente diamo per scontati: affetto, ad esempio, nella Commedia è usato col valore di "passione, impulso", in opposizione alla razionalità; niente a che fare con il significato comune che intendiamo oggigiorno! Inoltre, alcune parole sono del tutto assenti, nella Commedia come ci mostra Serianni nel capitolo apposito: manca il referente o semplicemente Dante non ha l'occasione per «evocare le cose che quelle parole designano» (p. 56). Più spesso si tratta di parole che non esistevano nell'italiano antico, termini astratti o avverbi rafforzativi. Specialmente per questi due capitoli, vi consiglio di tenervi accanto la vostra fidata copia della Commedia e di andare a segnarvi un po' di appunti accanto alle utilissime occorrenze rimarcate da Serianni.
Il quarto capitolo è invece dedicato alle parole stravolte, ovvero quelle che sono state spesso banalizzate o modificate nel ricordo dei suoi lettori, visto il grande successo dell'opera, spesso letta a un pubblico di uditori e poi riprodotta a memoria, o oggetto di diverse manipolazioni successive.
Si passa poi a osservare la presenza dei latinismi nella Commedia: come possiamo immaginare, molti di questi sono impiegati per innalzare il registro nella cantica che più ha bisogno di forme auliche, il Paradiso.
Non mancano poi osservazioni sugli hapax danteschi, ovvero su quelle parole che vengono utilizzate solo una volta nell'opera. Per approfondire questo tema, Serianni ci propone un sondaggio su quindici canti della Commedia, cinque per ogni cantica, e ci permette di cogliere il grado di innovazione del poeta. Anche in questo caso, preparatevi a sfogliare la vostra copia della Commedia e a prendere appunti!
Doverosi sono poi i capitoli dedicati al plurilinguismo e al pluristilismo della Commedia, facendo riferimento agli studi condotti da Contini, Nencioni e tanti altri grandi studiosi. Si noti che elementi comici e tragici non mancano in tutte le cantiche, dunque Serianni ci porta esempi significativi di questa commistione di scelte:
«Lo stile "comico", grazie alla sua estensione di registro, permette a Dante di offrire nell'Inferno momenti di ricercatezza sublime e nel Paradiso occasioni di forte abbassamento di toni linguistico» (p. 146).
Chiude la trattazione di Serianni un ultimo capitolo dedicato all'arte della variazione, incentrato su come la Commedia sia «il primo poema occidentale in cui abbia tanto spazio il variare dei turni di parola dei personaggi» (p. 163), e la campionatura è a dir poco significativa.
Precisione, piacevolezza del dettato, chiarezza delle spiegazioni ed esempi efficaci: Parola di Dante non vuole essere un'opera pienamente esaustiva (né lo potrebbe mai essere, perché la Commedia non smette di regalarci spunti per nuovi studi), ma un saggio che esalta la grandezza dell'opera dantesca attraverso uno dei suoi strumenti più duttili e sorprendenti: la lingua.
GMGhioni