Questo immenso non sapere
di Chandra Candiani
Einaudi, 2021
di Chandra Candiani
Einaudi, 2021
pp. 168
€ 12,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)
La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore più ferito della terra. (p. 9)
Questo immenso non sapere di Chandra Candiani è un esercizio di meraviglia, ed è un esercizio dei più difficili perché a meravigliarci non ci insegna quasi mai nessuno. Cresciamo con l'idea che acquisire maturità sia costruire una vita fatta di massimi sistemi, ancorarci a tutte le cose che contano davvero per gli esseri umani adulti. Indossiamo nuove lenti perfette per vedere lontano e dimentichiamo com'è abbassare lo sguardo sulle cose vicine.
La poetessa ci avvicina in questo libro ad alcune dimensioni che hanno la semplicità dell'esistere più comune, immagini che diventano paradigmi perché inserite all'interno di una discussione a tu per tu con il cuore dell'uomo e il cuore della terra: un piccolo pezzo di prato in città, un vecchissimo olmo che somiglia a un signore tutto pelle e ossa, i gatti che ha amato e i cani che ha incontrato per strada, i paesi di campagna dove le strade a un certo punto finiscono, il pupazzo di una giraffa che guarda fuori dalla finestra dello studio allungando il collo.Nella scelta di spostare la lente della scrittura sulla vita che semplicemente accade Chandra Candiani mette a fuoco la meraviglia come pratica di ascolto del cuore. Muscolo involontario che non risponde a nostri comandi, se non a quelli più intimi e impliciti, il cuore spesso prova paure antiche e tremori negati che noi continuiamo a negargli. Mettersi in ascolto del cuore significa coltivarlo nella consapevolezza e nell'accoglienza di tutto ciò che troveremo.
C'è una pagina tra le più intense in cui ci invita ad ammettere davvero cosa sentiamo abbracciando le nostre meschinità e malvagità fino ad arrossirne. Solo da questo può prendere le mosse l'opera di bonifica del cuore: dalla compassione come intelligenza di sentimento. Vale verso gli altri e vale verso noi stessi.
Tanto spazio nel volume è riservato al silenzio che sembra aprirsi un varco tra le pagine come in un paradosso: un testo per sua natura è riempito di parole, eppure questo sembra percorso più dai silenzi.
Sarà la brevità delle riflessioni, o sarà quel bianco che dalla tipica copertina della collana Vele si estende ad abbracciare tutto, come in una grande camera vuota illuminata dal sole. O più probabilmente sarà il titolo che si afferma potente attraverso una negazione: nel "non sapere" c'è tutto il silenzio di chi ha imparato che "chi sa o crede di sapere molto sperimenta solo esperienze di seconda o di centesima mano, non è mai in intimità con niente, non trema davanti al non conosciuto e non si inoltra."
Questo immenso non sapere ci chiama alla pausa e alla sosta, ci chiama a inoltrarci
È un libro pieno di meraviglia, di silenzi, di animali e alberi. Da loro si impara a vivere secondo l'istinto dell'esistere, con loro andiamo verso una direzione che è meno cerebrale e più cellulare.
Questo immenso non sapere ci chiama alla pausa e alla sosta, ci chiama a inoltrarci
È un libro pieno di meraviglia, di silenzi, di animali e alberi. Da loro si impara a vivere secondo l'istinto dell'esistere, con loro andiamo verso una direzione che è meno cerebrale e più cellulare.
Candiani definisce questa raccolta un "libro disordinato" che lei non ha voluto ordinare perché ogni disordine ha un suo misterioso ordine interno. E anche perché la vita è profondamente disordinata, aggiungerei, quindi i nostri tentativi di metterla in ordine funzionano fino a che nel suo flusso non entriamo davvero.
In questo disordine poetico letterario le riflessioni giocano a rincorrersi l'un l'altra mentre mi accorgo che cerco di trattenerle sottolineandole. Se rivedo i punti che più ho annotato spiccano soprattutto gli appunti sulla pericolosità di chi crede di essere buono, sull'infanzia come luogo dell'indimenticabile e sulla sofferenza come oggetto di conoscenza.
L'autrice indaga a fondo il tempo, la pazienza e l'addestramento necessari a capire il nostro dolore e riprende il sentimento del calviniano Palomar che diceva che "non possiamo comprendere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi".
Resta la concreta sensazione che essere leggeri sia quanto di più complicato perché ci richiede di imparare a perdere mille cose a cui continuiamo ad aggrapparci. Perdere non come opposto di vincere, ma come opposto di tenere e trattenere. È in questa grammatica della leggerezza e della perdita che stanno strade nuove e nuove e più autentiche forme d'amore.
In questo disordine poetico letterario le riflessioni giocano a rincorrersi l'un l'altra mentre mi accorgo che cerco di trattenerle sottolineandole. Se rivedo i punti che più ho annotato spiccano soprattutto gli appunti sulla pericolosità di chi crede di essere buono, sull'infanzia come luogo dell'indimenticabile e sulla sofferenza come oggetto di conoscenza.
L'autrice indaga a fondo il tempo, la pazienza e l'addestramento necessari a capire il nostro dolore e riprende il sentimento del calviniano Palomar che diceva che "non possiamo comprendere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi".
Resta la concreta sensazione che essere leggeri sia quanto di più complicato perché ci richiede di imparare a perdere mille cose a cui continuiamo ad aggrapparci. Perdere non come opposto di vincere, ma come opposto di tenere e trattenere. È in questa grammatica della leggerezza e della perdita che stanno strade nuove e nuove e più autentiche forme d'amore.
Claudia Consoli