La musica rende liberi: ne "L'orchestra rubata di Hitler", Silvia Montemurro squarcia il velo sull'Operazione Sonderstab Musik

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L'orchestra rubata di Hitler
di Silvia Montemurro
Salani, 2021

pp. 341
€ 16,80 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)

Mi misi a cercare la particolarità di quello strumento. Ne avevo tenuti in mano molti, così la trovai subito. Le effe allungate. L'ultimo Guarneri aveva cercato il selvaggio, la natura più inconscia del suono. Come diavolo aveva fatto, quel violino così prezioso, a finire nelle mani di Adele? (p. 41)
Già, come aveva fatto uno dei più preziosi violini al mondo, un Guarneri del Gesù (concittadino e contemporaneo di Stradivari) a finire tra gli oggetti appartenuti, e abbandonati in tutta fretta, a una giovane ragazza ebrea italiana, ora internata nel campo di concentramento di Terezín? Se lo chiede Elsa, bellissima moglie di un gerarca nazista al quale il Führer in persona ha dato il compito di sovrintendere alla segretissima Operazione Sonderstab Musik, in poche parole la razzia, da parte degli ufficiali tedeschi, di strumenti musicali, spartiti, libri di musica e dischi appartenuti agli Ebrei. Il furto della musica, insomma. Un'operazione condotta in parte per distruggere l'identità culturale ebraica, in parte per compiacere l'ossessione musicale (una delle tante) di Hitler, in parte per dare vita a tragiche e tristissime orchestrine nei campi di concentramento, laddove la musica mai avrebbe potuto andare a braccetto con l'orrore. Ma di tutto questo Elsa non sa nulla. Con l'idea di fare una bravata, uno scherzo ribelle, un guizzo di autonomia una sera segue di nascosto il marito impegnato in una delle sue razzie, che lo porta a casa della violinista Adele, cacciata, con la zia, in una Judenhaus, una Casa per gli Ebrei. Prima di lasciare l'abitazione, Adele aveva nascosto, inutilmente, il violino sotto alcune assi del pavimento.
Elsa, mentre il marito, inconsapevole della sua presenza, si dà alla razzia, si imbatte per caso in una fotografia della ragazzina nella quale scorge due oggetti che gliela fanno riconoscere sorella di sofferenza e di sentimenti: un busto e un violino. Presa da un gesto istintivo, ruba la fotografia. Da quel momento per Elsa, ritrovare Adele e provare a riconsegnarle il violino diventa una ragione di vita. Adele, dal canto suo, è una giovane ragazza italiana di origine ebrea, che, dopo un'infanzia felice nelle Marche, giunge a Berlino, con gli zii, per seguire il suo sogno: diventare una violinista. E il sogno diventa realtà. Finché la follia non si mette a capo della Storia.
Elsa si legherà sempre più ad Adele, tessendo un filo invisibile, ma resistente come l'acciaio, il legame dell'amicizia e della compassione che la porterà a essere sempre più insofferente verso quell'invasato del marito, pur un tempo così amato, nella sua idolatria del Capo.
Si può diventare amica di una persona che si è vista soltanto in fotografia? Sì, se negli occhi intuisci la stessa sofferenza e percepisci la stessa passione, quella per la musica. Che diventa il vero legame indissolubile, pronto a travalicare il tempo e lo spazio per costruire una "corrispondenza di sensi".
Silvia Montemurro ha ricostruito, in forma di romanzo, una parte di Storia forse ancora poco conosciuta e l'ha fatto offrendo la parte di protagonista a due donne grandissime, simbolo di coraggio, di ribellione (anche nella resilienza), di carattere. Due figure simbolo, alle quali è impossibile rimanere indifferenti. Tutti gli altri sono personaggi di contorno, necessari allo svolgimento della storia, ma che rimangono sullo sfondo, mentre Elsa e Adele giganteggiano nella loro tragicità
La scrittrice non risparmia pagine amarissime sulla "vita", se così si può chiamare, nei campi di concentramento, riuscendo nel contempo ad addentrarsi nella psiche delle donne del Führer, le mogli degli ufficiali, le SS-Aufseherinnen, le guardiane dei campi, crudeli e indifferenti, use ben presto a farsi corazza contro il dolore delle prigioniere, mostruose nella loro incapacità di vedere in loro le madri dilaniate dallo strappo dei figli (indimenticabile la scena delle SS che lanciano per aria i piccoli fucilandoli come al tiro al piattello, sotto gli occhi atterriti delle madri).
Nulla all'interno di simili campi di tortura poteva aiutare a salvarsi, né il ricordo delle persone lontane, né la speranza di una scodella in più di brodaglia, né la musica. Che, pure, occupava tanta parte del tempo di prima. Il tempo della vita, quella vera. Eppure, è proprio la musica l'altra grande protagonista femminile del romanzo. Tanto che sarebbe assai suggestivo leggerlo facendo partire le note delle opere citate, tra cui il Concerto in re maggiore, opera 35, per violino e orchestra di Ĉajkovskij o il Deutschlandlied, la Romance per violino e orchestra di Beethoven, il Canone di Pachelbel, la Sinfonia di Leningrado di Šostakovic...  preludio alla tragedia. 
Quando suono, esisto (p. 50)
È questo il mantra che muove cuore e anima delle due donne. 
Seppure a volte un po' lento in alcune pagine centrali, il libro della Montemurro non presenta comunque spazi vuoti, il lettore, grazie anche alla sapiente spartizione tra capitoli dedicati a Elsa e parti dedicate ad Adele, tiene il cuore e la mente sull'ottovolante delle paure, delle speranze, delle illusioni. Supportato da una scrittura nitida, senza fronzoli, e da un movimento incalzante di dialoghi, L'orchestra rubata di Hitler, sta a buon diritto tra le uscite letterarie più interessanti dell'anno.

A margine della recensione, vorrei raccontare una storia che questo romanzo mi ha richiamato alla mente. La vicenda del Violino della Shoah, uno strumento dalla storia assai particolare, conservato presso il Museo Civico di Cremona, la mia città. Il violino apparteneva alla giovane Eva Maria Levy, di 22 anni (come non pensare ad Adele?), che, nella fuga per cercare di sfuggire al destino, portava con sé il suo violino. Catturata dai Tedeschi, venne internata ad Auschwitz-Birkenau, dove arrivò con il suo strumento. Per questo i nazisti la risparmiarono, a differenza della madre, e la costrinsero a suonare nell'orchestrina del campo. Un giorno Eva ricevette dal fratello, internato a Monowitz, un biglietto con la scritta Der Musik macht frei, la Musica rende liberi, e lo nascose nella cassa dello strumento. Un giorno, non si conosce il perché, il violino si spezzò, Eva venne cacciata dall'orchestra e portata nel bordello del campo. Morì il 6 giugno del 1944, pare gettandosi da una finestra. Miracolosamente il suo violino tornò nelle mani del fratello Enzo, che una volta rientrato a Torino lo portò a un restauratore. Ma non sarebbe più tornato a riprenderlo: Enzo si suicidò nel 1958, incapace di sopravvivere a tanto dolore. Nel 2014 l'ingegnere Carlo Alberto Carutti, collezionista di strumenti musicali, milanese di casa a Cremona, lo acquistò da un antiquario di Torino, scoprendo solo in seguito tutta la storia. Decise poi di darlo in dono alla Città di Cremona. Nel 2017 il Violino della Shoah, nel corso di un Viaggio della memoria,  tornò ad Auschwitz, dove Alessandra Romano, sua attuale custode e ambasciatrice, ne fece risuonare le note.

Sabrina Miglio