di Sophie Mackintosh
Einaudi, settembre 2021
Traduzione di Norman Gobetti
€ 19,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Mi chiamo Calla, e avrò un bambino. Presto. Mi chiamo Calla e questo bambino è mio. (p. 174)
La paura di essere esiliati è innata, disse lui. Ci conferma nell'idea di essere qualcosa d'altro, qualcosa di irredimibile, un sospetto che abbiamo sempre riguardo a noi stessi. Essere esiliati significa veder riconosciuta l'abiezione latente in noi. (p. 65)
Perché non puoi vivere nel presente? Ma anche il presente sembrava troppo infido per farci affidamento. A un tratto non riuscivo più a sopportare il cambiamento dentro di me. (pp. 49-50)
Portare avanti la gravidanza non è un capriccio, ma è una scelta individuale: c'è molta solitudine in questa società, e Calla stessa si sente sola col suo embrione, ad affrontare le avversità. Inizia così una grande avventura, estremamente rischiosa, che Calla intraprende in un mondo a lei sconosciuto, con la speranza di poter raggiungere il confine e uscire dall'unica realtà che conosce. In palio c'è, forse, la salvezza per sé e per il bambino: Calla non lo sa, ma non ha alternative, se non affidarsi a una piccola speranza. È forse possibile stringere una sorellanza con le altre biglietto blu che hanno deciso di trasgredire? Lungo il suo percorso, pieno di elementi simbolici in un mondo rarefatto, Calla incontra altre donne a cui decide di unirsi: sperimenterà amore, diffidenza, rabbia, paura, odio,... Tutte queste donne sono rallentate nel corpo, ma avvertire il bambino che scalcia e che ricorda loro la missione sono due incentivi a proseguire il viaggio attraverso boschi, spiagge, centri abitati, venendo a patti anche con la propria etica. L'imperativo categorico è salvare il bambino, a qualsiasi costo. Mors tua, vita mea e soprattutto filii mei, parrebbe suggerire ognuna delle donne qui presentate.
A tratti disperato, sognante nei rari momenti in cui Calla si immagina come madre, Biglietto blu mescola importanti tematiche, a partire dalla legittimità della maternità e dal diritto di gestire il proprio corpo come si vuole. Se è inevitabile non pensare al celeberrimo Racconto dell'ancella e a I testamenti di Margaret Atwood, le differenze stilistiche - in particolare l'estrema asciuttezza di Mackintosh, al limite del minimalismo - e altre tematiche (come quelle queer) distinguono l'opera della giovane autrice gallese da quelle della famosissima scrittrice canadese. Eppure qualche punto di tangenza c'è, forse testimonianza di interrogativi che da oltre trent'anni a questa parte chiedono spazio in letteratura. Quelli che nella nostra società sono condizionamenti, nel mondo distopico di Mackintosh diventano pressioni insopportabili e pesanti divieti. Non è la vita a essere in discussione, ma qualcosa di peggio: l'arbitrio, l'identità, la libertà di decidere se essere madre e cosa fare del proprio corpo.
GMGhioni
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