Tutti i miei uomini
di Isabella Bossi Fedrigotti
Longanesi, 2021
pp. 158
€ 17,60 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Longanesi, 2021
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Sono dieci, come le dita delle mani: un don Giovanni “incurabile”, un gentiluomo “caro e stazzonato”, un rubacuori “esperto”, un narciso “adorabile”, un professore “chiarissimo”, un trasformista “straordinario”, un certo Jonathan a dir poco “leggendario”, un complice e traditore “silenzioso”, un salutista “sanissimo” e un macho meridionale del tutto “magnifico”. Si, sono proprio dieci figli di Adamo, o meglio dieci suoi possibili esemplari, quelli che Isabella Bossi Fedrigotti descrive nel suo ultimo libro pubblicato da Longanesi. E se il titolo non dà adito a dubbi circa il riferimento di genere – la dicitura Tutti i miei uomini non è né ambigua né antifrastica, dato che proprio di uomini si tratta – qualche criticità di appartenenza potrebbe forse riguardare l’aggettivo possessivo. Perché certo, senza dubbio i maschi di cui parla l’autrice sono o sono stati in qualche modo “suoi” – per frequentazione, relazione, parentela – ma nulla esclude che essi (al plurale, al singolare o in delegazione parziale) corrispondano a quelli con cui abbia (o abbia avuto) a che fare chi adesso ne legge. Anzi, è certamente vero il contrario, a conferma di come la commedia umana (ché i toni da tragedia non si addicono a questo catalogo) non possa fare a meno di affidare il suo svolgimento a certi “tipi fissi” che entrano ed escono di scena, dramatis personae tutt’al più aggiornate rispetto alle epoche e alle mode, ma pur sempre corrispondenti a caratteristiche da eterno ritorno.
Quello della premiata scrittrice (nonché autrice di articoli di costume e cultura per il «Corriere della Sera») è dunque, e senza dubbio, un racconto intimo, e come tale affidato alla prima persona: è il suo “io” che per dieci volte si rivolge direttamente ai vari (anonimi) esponenti del presunto sesso forte – «un campionario di snob glaciali e schifiltosi, cinici seduttori seriali, rivoluzionari esaltati, campioni di egoismo, inguaribili narcisi, eterni figli in cerca di qualcuno che li accudisca» – e lo fa con un tono colloquiale e confidenziale che di volta in volta pare giustificato da un’esperienza diretta che fu, che forse ancora è, che probabilmente sarebbe stata o che magari è stata assimilata di rimando (per esempio, come nel ritratto che apre la raccolta, per profonda empatia con un’amica che non ha mancato di condividere la sua esperienza). In due manciate di ideali tête-à-tête, Isabella Bossi Fedrigotti apostrofa l’altro alternando descrizione, ricordo, vagheggiamento e interrogazione: quasi una raccolta di monologhi con destinatario, insomma, in cui si rievocano episodi, si ipotizzano spiegazioni, si stilano profili fisici e psicologici con lo scopo – pare di intendere – di rarefare almeno un poco il «fittissimo mistero maschile».
Nessuna introduzione, prefazione, postazione o nota autoriale (gli stessi virgolettati di questa recensione sono tratti dal risvolto di copertina): Bossi Fedrigotti evita preamboli, note, chiose o post scriptum, così che ciascuno dei dieci “medaglioni”, alla stregua di un racconto sciolto o di un capitolo di un unico romanzo, si ritrova a bastare a se stesso o a cercare complicità tra gli altri nove sodali. Sola contro questi tutti, invece, è proprio lei, la scrittrice:
Chissà se questa antologia “in negativo”è stata davvero compilata «nella fiduciosa e inossidabile speranza nell’esistenza di quegli uomini responsabili, teneri, protettivi e felicemente adulti che sarebbe una vera fortuna incontrare». Forse è più ragionevole pensare che per l’autrice questa sia già una comprovata certezza – perché è ovvio che, con relativo dosaggio delle doti, esistano anche loro – e che, viceversa, un libro ridotto a florilegio di panegirici sarebbe stato in effetti piuttosto noioso. Anzi: se le gesta degli antieroi narrate in Tutti i miei uomini rendono i loro protagonisti più che detestabili, l’agiografia delle loro eventuali controparti sarebbe stata altrettanto seccante, o comunque poco incisiva se messa in relazione con una realtà che non conosce assolutismi o manicheismi, e in cui la vera partita, quella che più conta, non si gioca sul terreno di un romanticismo principesco o azzurro, bensì in quello concreto di un rispetto sincero e quotidianamente dimostrato. Così, mentre è sempre meglio che la virtù e la bontà si rivelino nei fatti più che nelle parole, il libro di Isabella Bossi Fedrigotti resta una buona occasione per fare un po’ di ordine nella propria vita relazionale “per interposta persona”, un invito a guardare dentro gli specchi o magari a farci guardare qualcuno di nostra conoscenza: se a un incalzante “Leggi: questo sei proprio tu!” reagirà con spirito autocritico e autoironico sarà meglio concedere almeno un’altra chance alla sua intelligenza (inclusa quella emotiva); viceversa, suo malgrado, avrà appena fornito ottimo materiale letterario per il ritratto numero undici.
Cecilia Mariani
Sono dieci, come le dita delle mani: un don Giovanni “incurabile”, un gentiluomo “caro e stazzonato”, un rubacuori “esperto”, un narciso “adorabile”, un professore “chiarissimo”, un trasformista “straordinario”, un certo Jonathan a dir poco “leggendario”, un complice e traditore “silenzioso”, un salutista “sanissimo” e un macho meridionale del tutto “magnifico”. Si, sono proprio dieci figli di Adamo, o meglio dieci suoi possibili esemplari, quelli che Isabella Bossi Fedrigotti descrive nel suo ultimo libro pubblicato da Longanesi. E se il titolo non dà adito a dubbi circa il riferimento di genere – la dicitura Tutti i miei uomini non è né ambigua né antifrastica, dato che proprio di uomini si tratta – qualche criticità di appartenenza potrebbe forse riguardare l’aggettivo possessivo. Perché certo, senza dubbio i maschi di cui parla l’autrice sono o sono stati in qualche modo “suoi” – per frequentazione, relazione, parentela – ma nulla esclude che essi (al plurale, al singolare o in delegazione parziale) corrispondano a quelli con cui abbia (o abbia avuto) a che fare chi adesso ne legge. Anzi, è certamente vero il contrario, a conferma di come la commedia umana (ché i toni da tragedia non si addicono a questo catalogo) non possa fare a meno di affidare il suo svolgimento a certi “tipi fissi” che entrano ed escono di scena, dramatis personae tutt’al più aggiornate rispetto alle epoche e alle mode, ma pur sempre corrispondenti a caratteristiche da eterno ritorno.
Quello della premiata scrittrice (nonché autrice di articoli di costume e cultura per il «Corriere della Sera») è dunque, e senza dubbio, un racconto intimo, e come tale affidato alla prima persona: è il suo “io” che per dieci volte si rivolge direttamente ai vari (anonimi) esponenti del presunto sesso forte – «un campionario di snob glaciali e schifiltosi, cinici seduttori seriali, rivoluzionari esaltati, campioni di egoismo, inguaribili narcisi, eterni figli in cerca di qualcuno che li accudisca» – e lo fa con un tono colloquiale e confidenziale che di volta in volta pare giustificato da un’esperienza diretta che fu, che forse ancora è, che probabilmente sarebbe stata o che magari è stata assimilata di rimando (per esempio, come nel ritratto che apre la raccolta, per profonda empatia con un’amica che non ha mancato di condividere la sua esperienza). In due manciate di ideali tête-à-tête, Isabella Bossi Fedrigotti apostrofa l’altro alternando descrizione, ricordo, vagheggiamento e interrogazione: quasi una raccolta di monologhi con destinatario, insomma, in cui si rievocano episodi, si ipotizzano spiegazioni, si stilano profili fisici e psicologici con lo scopo – pare di intendere – di rarefare almeno un poco il «fittissimo mistero maschile».
Nessuna introduzione, prefazione, postazione o nota autoriale (gli stessi virgolettati di questa recensione sono tratti dal risvolto di copertina): Bossi Fedrigotti evita preamboli, note, chiose o post scriptum, così che ciascuno dei dieci “medaglioni”, alla stregua di un racconto sciolto o di un capitolo di un unico romanzo, si ritrova a bastare a se stesso o a cercare complicità tra gli altri nove sodali. Sola contro questi tutti, invece, è proprio lei, la scrittrice:
«si dice sempre che gli uomini siano molto meno complicati delle donne» recita ancora il risvolto «e loro stessi si affannano a confermare questa teoria, ma forse non sono così credibili; l’autrice del resto ha dei dubbi in proposito: “Al contrario – ricorda – scrivere Il catalogo delle amiche è stato una passeggiata, mentre per questo catalogo degli amici ho spesso avuto la sensazione di trovarmi in un terreno aspro e ombroso, difficile da esplorare».No, anche quando avvantaggiati dal vincolo di parentela e dalla condizione ultraminorenne (un nipote) o senile (un nonno), gli uomini descritti in questo libro non sono dei modelli di virtù: in loro, pur con l’attenuante del beneficio del dubbio, ci sono tanto i semi quanto le foglie morte dell’incorreggibilità. Nelle parole, tuttavia, è difficile individuare tracce di disprezzo, rancore e men che meno di odio; anzi è proprio il tono così misurato, a tratti quasi olimpico, sempre sul filo dell’ironia e solo di rado del sottile sarcasmo, a collocare ciascuno di questi profili lungo l’orizzonte di un desiderio di vera comprensione. Più che per esultare con un trionfante “Ecco!” è come se l’indice puntato da Bossi Fedrigotti contro l’uomo di turno sottintendesse un disarmante e smascherante “Tu quoque?! Ma perché?!”, e ciò accade anche quando la tipizzazione è così radicale da rischiare di ridurre il malcapitato a macchietta (valga come esempio il ritratto dell’incorruttibile cultore di uno stile di vita healthy che più healthy non si può). Senza dimenticare che in più di un caso la restituzione di un’identità è anche il pretesto per un parallelo esame di coscienza in cui l’autrice – nella versione più infantile, giovinetta o matura di se stessa o di un suo alter ego femminile – si mette di fianco all’uomo di turno sul banco degli imputati, con tanto di malinconie, perplessità e nostalgie.
Chissà se questa antologia “in negativo”è stata davvero compilata «nella fiduciosa e inossidabile speranza nell’esistenza di quegli uomini responsabili, teneri, protettivi e felicemente adulti che sarebbe una vera fortuna incontrare». Forse è più ragionevole pensare che per l’autrice questa sia già una comprovata certezza – perché è ovvio che, con relativo dosaggio delle doti, esistano anche loro – e che, viceversa, un libro ridotto a florilegio di panegirici sarebbe stato in effetti piuttosto noioso. Anzi: se le gesta degli antieroi narrate in Tutti i miei uomini rendono i loro protagonisti più che detestabili, l’agiografia delle loro eventuali controparti sarebbe stata altrettanto seccante, o comunque poco incisiva se messa in relazione con una realtà che non conosce assolutismi o manicheismi, e in cui la vera partita, quella che più conta, non si gioca sul terreno di un romanticismo principesco o azzurro, bensì in quello concreto di un rispetto sincero e quotidianamente dimostrato. Così, mentre è sempre meglio che la virtù e la bontà si rivelino nei fatti più che nelle parole, il libro di Isabella Bossi Fedrigotti resta una buona occasione per fare un po’ di ordine nella propria vita relazionale “per interposta persona”, un invito a guardare dentro gli specchi o magari a farci guardare qualcuno di nostra conoscenza: se a un incalzante “Leggi: questo sei proprio tu!” reagirà con spirito autocritico e autoironico sarà meglio concedere almeno un’altra chance alla sua intelligenza (inclusa quella emotiva); viceversa, suo malgrado, avrà appena fornito ottimo materiale letterario per il ritratto numero undici.
Cecilia Mariani
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