La casa vicino alle nuvole
di Nickolas Butler
Marsilio, ottobre 2021
Traduzione di Fabio Cremonesi
pp. 384
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
€ 9,99 (ebook)
«L’America è il più grande paese del mondo […]. A patto di non restare senza soldi» (p. 175)
Diversi anni fa, in un’intervista realizzata in occasione dell’uscita in Italia del suo primo romanzo, Nickolas Butler mi ha detto una cosa che da allora mi è rimasta impressa: era sorpreso e in un certo senso un po’ intimorito come lo sono gli esordienti che si ritrovano quasi inaspettatamente sulla scena internazionale, dal calore con cui il suo romanzo – Shotgun lovesongs – così fortemente ancorato alla realtà rurale statunitense venisse letto in un luogo, l’Italia, tanto diverso da quello che vive sulle pagine. Nel corso del tempo io e Butler ci siamo confrontati spesso sui suoi romanzi e racconti, ho osservato la sua scrittura cambiare e certe tematiche e sensibilità mettere radici dentro di lui. Forse in parte ancora si stupisce che queste sue storie di uomini di provincia affascinino così tanto lettori lontani, ma in fondo penso che le tematiche e gli spunti che emergono dalle storie di Butler siano equamente radicati nel territorio entro cui si formano e sono ambientate ma anche universalmente riconoscibili.
Il suo sguardo nel tempo si è fatto più attento, capace di indagare il cuore degli uomini – per citare, malamente, uno dei suoi romanzi – quanto il mondo in cui i suoi protagonisti si muovono, una realtà molto spesso contraddittoria, in conflitto, ambivalente. Un ampliamento dello sguardo che si fa evidente in La casa vicino alle nuvole, l’ultimo romanzo appena arrivato in Italia, come sempre per Marsilio, nella magistrale traduzione di Fabio Cremonesi. Ispirato a eventi reali, Godspeed – questo il titolo originale – è un romanzo stratificato, in cui tornano molti dei temi cari a Butler a partire dal ritratto di una piccola comunità – in questo caso Jackson, Wyoming – e dell’amicizia maschile, la natura maestosa e brutale.
In un intreccio narrativo che dal romanzo puro si colora di sfumature noir, Butler dispiega la vicenda di tre amici e soci di un’impresa edile, la giovane True Triangle Construction, cui viene inaspettatamente affidato un progetto enorme, capace di cambiare per sempre le sorti di ognuno di loro. La misteriosa e ricchissima Gretchen Connors si rivolge a loro infatti per la costruzione di una maestosa casa in una zona impervia tra le Montagne Rocciose e per garantirsi la consegna in tempi impossibili, promette loro una cifra difficile perfino da immaginare. L’occasione della vita, che si rivela però ben presto molto più difficile di quanto si aspettassero e che li costringe a fare i conti con i propri fantasmi e debolezze, con una società sempre più dura e che non fa sconti, in cui ogni giorno diventa una lotta per la sopravvivenza e li spinge a compiere scelte sempre più brutali.
Ma la chiave di lettura forse più interessante di questo romanzo è la rappresentazione del crollo dell’American dream, il conflitto che si crea fra l’economia locale di una piccola comunità e l’1% della società che sceglie quei luoghi e se ne impadronisce, modificandone la struttura urbana e sociale; ed è, di conseguenza, la lotta dei protagonisti nel tentativo disperato di restare a galla, di riscattarsi grazie alla promessa di un lavoro che potrebbe cambiare per sempre le sorti di ognuno di loro ma che finirà per metterli alla prova tanto da un punto di vista fisico quanto morale.
Ma più si avvicinavano a quel traguardo impossibile, più l’intero accordo gli sembrava un patto scellerato; anche quella città aveva iniziato ad apparirgli come un miraggio, l’illusione di quello che una volta in America era possibile, anziché mostrarsi per quello che era veramente: un parco giochi chic per i ricchi più ricchi del pianeta. (p. 179)
Un romanzo, quindi, in cui forte si avverte l’eco della tradizione che l’ha preceduto ma anche di una sensibilità particolarmente marcata negli ultimi anni su tematiche assolutamente attuali e il ritorno alla narrazione della provincia, dell’America rurale, con tutte le sue implicazioni.
Conoscendo la scrittura di Butler confesso che di primo acchito mi hanno sorpresa certe sfumature noir della storia e la narrazione in taluni passaggi tanto brutale e cruda non mi ha davvero convinta fino in fondo; ma, conclusa la lettura, mi rendo conto che se anche c’è qualche debolezza nel modo in cui tali passaggi sono costruiti, era anche necessario inserirli, renderli ben visibili al lettore - e qui ancora una volta grande plauso al lavoro di Cremonesi che si adatta alla polifonia dei testi, ai diversi registri e sguardi - e metterlo di fronte alla disperazione dei protagonisti, al baratro in cui alcuni di loro scivolano, al profondo smarrimento che li travolge.
Un tipo di narrazione che a mio avviso più pienamente appartiene a Chris Offutt – i suoi racconti del Kentucky sono magistrali – capace di restituire sulla pagina la violenza e la brutalità del quotidiano nella lotta per la sopravvivenza, l’America rurale selvaggia e crudele; ma, allo stesso tempo, Butler si mette alla prova e scardina alcune delle proprie certezze e per questo anche quei passaggi risultano apprezzabili. La narrazione tuttavia rivela il suo pieno potenziale quando lo sguardo è puntato sul conflitto intimo di questi uomini, quando la riflessione sulla solitudine schiacciante e le scelte compiute ricorda certe pagine di Denis Johnson; o, ancora, la sensazione di un mondo che va scomparendo – sostituito ancora una volta dalle forze messe in campo dal denaro – richiama alla mente quel romanzo straordinario di Ron Rash portato in Italia da La Nuova Frontiera, Un piede in paradiso.
Una profonda solitudine avvolge la maggior parte dei protagonisti di questa storia, a partire dalla misteriosa Gretchen:
Gran parte della sua vita era dedicata all’aumento del fatturato; quasi ogni minuto dell’intera giornata era misurato, documentato e totalmente legato a quell’edificio – tutta la sua vita era così prevedibile e limitata. Gretchen era una macchina quando si trattava di fatturare, di monetizzare il suo tempo, ma quest’abitudine era diventata anche un’ossessione, una compulsione, una spinta artificiale di cui voleva liberarsi. (p. 44)
Ma anche il modo in cui Cole e Bart, due dei soci della True Triangle Construction, si aggrappano a questo folle lavoro porta con evidenza i segni del disagio delle loro vite:
Cole, senza figli e con una futura ex moglie, non desiderava molto altro: solo quel lavoro, il tempo che trascorreva con i suoi amici, quel pungolo verso un obiettivo lontano all’orizzonte. Aveva qualcosa su cui concentrarsi, e questo gli dava un senso, lo tirava fuori dal letto la mattina, gli indicava un posto verso cui dirigere il suo pick-up, come una bussola. (p. 69)
Bart non aveva nient’altro al mondo a parte quella casa e il denaro che era stato loro promesso: un’angusta via d’uscita dalla sua vita misera e banale. E voleva spaccarsi di lavoro per riuscire a conquistare quell’anello d’oro. (p. 106)
C’è spazio in questa storia per una luce, un punto di equilibrio? Forse in Teddy, quello che si rivela il più solido di tutti e soprattutto quello che pagina dopo pagina vediamo mutare e attraverso cui lo sguardo si apre alle contraddizioni della realtà in cui tutti loro sono immersi, al disgusto per una società distrutta dal capitalismo brutale, all'umiliazione, una comunità che cambia in modo malsano. O, ancora, in Abby, la giovane assistente di Gretchen, un personaggio appena tratteggiato che sarebbe stato interessante rendere più reale, sfaccettato.
Il racconto di Butler, quindi, è un canto di disperazione e profonda solitudine e il ritratto di una società brutale, dove perdersi e affogare è una minaccia concreta. È un romanzo che non consola, ma che ci spinge a confrontarci con la realtà, con certe dinamiche distorte e per contro con i valori cui aggrapparsi. E proprio per questo, per le domande che suscita in noi lettori, merita tutta la nostra attenzione.
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