Mettere in palio la propria esistenza: "Sempre tornare" di Daniele Mencarelli


 

Sempre tornare
di Daniele Mencarelli
Mondadori, 2021

pp. 324
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9.99 (ebook)


Le parole e la realtà hanno qualcosa in comune,
come un filo rosso, come se le attraversasse
lo stesso sangue. (61)
 

È un percorso a ritroso, quello intrapreso da Daniele Mencarelli, non solo nel suo nuovo romanzo, Sempre tornare, ma anche nella trilogia ideale che questo crea con i precedenti (recensiti rispettivamente qui e qui): insieme, letti in una sequenza che costringe a forzare il naturale scorrere in avanti del tempo di ogni formazione, progressivamente riportano verso il nucleo originario della sete di vita e di domande del Daniele personaggio. Quello che ci troviamo dinnanzi è un tornare indietro per poter procedere, la fine di uno scavo narrativo che riporta all’inizio, l’inizio di tutti gli interrogativi, di un’irrequietezza esistenziale che coincide con uno slancio fortissimo, viscerale, verso l’umano.
Gli animali. La natura. La bellezza sterminata delle cose.
Devo capire.
Io sono qui perché devo capire.
Non posso più fare finta di niente.
Non è colpa mia se vedo ovunque una discendenza da scoprire, ovunque un enigma che chiede a me di essere risolto, come se fosse possibile. (p. 9)
Quando il protagonista di questo nuovo volume, diciassettenne, decide di mollare i suoi amici a Misano Adriatico per rientrare a Roma da solo, non è carico soltanto del fardello della sua valigia verde pisello. Su di lui grava il peso di una ricerca di significato che giace al fondo del suo essere dacché si ricordi. La figuraccia devastante della notte precedente, riprova del suo essere diverso e fuori luogo rispetto ai coetanei, non è che pretesto. E il viaggio inizia proprio dall’inquietudine che lo agita e non può essere messa a tacere, un’inquietudine che sembra condanna e invece forse è predestinazione, vocazione nel senso di chiamata a una pienezza possibile, che si dispiega nel tempo e nello spazio, come ci confermano anche i romanzi precedenti.
Il cammino che Daniele intraprende ha delle regole precise: niente sconti né scorciatoie, niente cedimenti (anche se ci si trova senza soldi e documenti, e in alcuni casi non è così facile restare saldi), sensi continuamente in allerta, per captare quella bellezza in cui forse si trovano nascoste le risposte agognate.
La narrazione di Mencarelli rimane sempre ancorata alla realtà: i problemi del protagonista non sono solo esistenziali, ma anche molto concreti. Sempre tornare è un romanzo di strade, di incontri salvifici o distruttivi, di meraviglie che si dispiegano davanti agli occhi ma anche di difficoltà – non solo interiori – da fronteggiare; un romanzo che ha il coraggio di dire i sentimenti, anche quelli più scomodi, anche quelli talmente confusi e impastati che Daniele non riesce a definirli del tutto.
L’autore conferma il suo sguardo eletto, quello in grado di penetrare la scorza degli esseri umani e di ciò che li trascende, di trasmettere (cosa non facile in un romanzo per tanti motivi diversi) il senso profondo della sua spiritualità. 
Vorrei avere il coraggio di confessare ad Annamaria cos’è Dio nella mia vita. Non proprio lui, ma il desiderio di lui. […] Dirle senza nessuna vergogna: “Io è come se c’avessi dentro un cane che s’è perso il padrone, con quella nostalgia, come se c’avesse vissuto insieme. E lo cerca ovunque. In certi momenti il profumo del padrone si fa più intenso, allora tutto diventa una presenza innamorata, ma sono lampi, bruciature di luce, in quegli istanti vedo la mano che ha piantato gli alberi”. (p. 43)
Daniele è terreno fertile non solo per le domande, ma anche per la relazione con l’altro, verso cui si mantiene sempre aperto, ricettivo, senza pregiudizi. Si rende conto poco alla volta che chiedere aiuto, mostrare la propria fragilità ed esporsi a un potenziale rifiuto è un modo per entrare veramente in contatto anche con chi è diverso da lui, o inizialmente renitente. Bastano pochi tratti, o pochi oggetti, a definire gli individui e ricondurli al loro essere parte di una più ampia umanità. Anche quando la persona di cui si è intercettato il cammino è meschina, brutale, o prigioniera dei propri fantasmi.
Molti degli uomini e delle donne che Daniele incontra sono campioni di resistenza al dolore, alla mancanza, all’abbandono. E il giovane, tanto concentrati sul magma della propria insicurezza esistenziale, fatica a rendersi conto di quanto lui stesso stia portando nella vita altrui, a guardarsi con gli occhi di chi lo vede magari con maggiore lucidità.
Quella di Mencarelli è una prosa che trascolora continuamente nella poesia, in frasi che si fanno versi franti, da estrapolare e sussurrare per sentirli risuonare. La poesia stessa, del resto, gioca un ruolo importante nella trama, si fa veicolo di una salvezza possibile, per quanto precaria e parziale.
Chi abbia letto i romanzi precedenti conosce già, infatti, il seguito della storia e sa che questo cammino non è destinato ad approdare a una meta definitiva. Nessun risultato è stabile per chi soffre del dolore del mondo. L’empatia per Daniele diventa quasi una maledizione. L’amore urla dentro di lui, soprattutto di fronte a un caschetto di capelli rossi, ma non trova una valvola di sfogo, se non nei testi che il ragazzo scrive forsennatamente, quando nessuno lo sa. E il suo dialogo con Dio è tanto più insistente quanto più non riceve risposta.
È la verità che la narrazione sottende a ogni pagina a renderla così immediata, così efficace: il protagonista di Sempre tornare ha il cuore generoso di una certa gioventù; i suoi slanci verso gli altri, o in difesa di ciò che è giusto, sono subitanei e senza incertezze. Le sue invocazioni, i suoi tormenti, il senso del suo fallimento diventano qualcosa che riconosciamo istintivamente come nostro.
Man mano che si procede con la lettura, appare però sempre più chiaro che le risposte non potranno mai arrivare nella forma in cui ce le si aspetta, o in cui le si desidera. Il viaggio – che è poi un po’ la vita – porta con sé altre domande, e la necessità di trovare comunque un approdo, un ancoraggio al proprio presente. Nella consapevolezza che, in ogni caso, “la bellezza c’entra” (p. 30), come ci ricorda l’universo a ogni alba, a ogni tramonto, in un percorso che, se glielo permettiamo, ci riporterà sempre verso ciò che consideriamo casa.


Carolina Pernigo