A
tutti noi è capitato di domandarsi nella vita se quello che facciamo o vogliamo
siano le scelte corrette e che solo la nostra volontà abbia decretato queste
decisioni e, non sempre, abbiamo le risposte e così ci risuona nella mente:
l’ho voluto io o i miei genitori? È davvero quello che voglio o lo faccio solo
per compiacere gli altri?
Il
romanzo d’esordio di Weike Wang ci trasporta nell’interiorità di una dottoranda
in chimica, di cui non sapremo mai il nome. È il flusso di coscienza della sua
anima, dei suoi pensieri e timori. Nata in una famiglia di genitori cinesi
immigrati, ha un compagno, anche lui chimico, con cui convive e insieme
sembrano avere una vita appagante. La loro vita si divide tra esperimenti e
ricerche in laboratorio e la loro convivenza. La loro esistenza e il loro
rapporto sembrano felici, ma a un certo punto la protagonista scombinerà tutte
le carte in tavola: infatti, alla fatidica domanda di matrimonio, in lei si
aprirà una profonda crisi esistenziale che la porterà a lasciarsi con il suo
compagno. In contemporanea entrerà anche in crisi l’altro amore della sua vita:
la chimica. Il peso del successo e del soddisfare le aspettative dei genitori
la porterà, come una particella di gas, a andare fuori la linea retta,
intraprendendo una traiettoria tutta nuova.
Con entrambi non è una rottura netta, ma è un temporeggiare: il compagno le chiede di diventare sua moglie e lei rimanda, le mancherebbe poco per finire il dottorato, ma non termina la ricerca finale. È un prendersi tempo per capire se stessi, ma che porterà al fin fine a rompere con entrambi - il fidanzato e la chimica- .
La protagonista si trova così alla ricerca di risposte a domande che non sapeva nemmeno di avere dentro, tanto che inizia dalla più fatidica, e da alcune donne la più desiderata, del suo fidanzato. In un alternarsi di tempi moderni e passati, farà i conti con i nodi della sua anima, come nel caso delle sue origini cinesi e questo non è da poco. La difficoltà sarà doppia, poiché ritrovare le proprie radici asiatiche in un contesto che non lo è, non è compito facile, anzi è molto arduo e, così, agli accenni di tradizioni o modi di dire cinesi della madre si sentirà frequentemente obbligata ad aderire, anche quando non comprende fino in fondo il significato, complice anche il senso di colpa di quando era bambina. A scuola si sentiva isolata, la prendevano in giro per il suo aspetto fisico e la sua nazionalità e dunque ha sempre rifiutato di imparare la lingua cinese.
Per molti anni, i miei genitori mi mandano ogni settimana a lezione di cinese per imparare a leggere e scrivere. Presto pochissima attenzione. Chiacchiero per tutta la lezione.
A cosa mi serve il cinese?
Una lingua antica. Difficile.
Eppure quella era la mia occasione per imparare più di quanto non sapessi e l’ho sprecata (pp. 177-178).
Le
radici asiatiche saranno parallele al rapporto con i genitori: un rapporto
quanto di dedizione quanto conflittuale. Da parte della madre e del padre, la
protagonista sentirà, non solo tutto il peso delle aspettative, ma anche la
responsabilità di non deluderli, come accade a quasi tutti noi, e così
ipotizzerà che la laurea in chimica sia stata conseguita perché i genitori la
volevano e che, forse, lei non l’avrebbe nemmeno mai presa in considerazione. Ci sono due parole in cinese che
descrivono bene la situazione della nostra protagonista: chu xi, ossia capacità di avere successo nella vita, e xiao schun devozione filiale. Un
binomio, a volte, che può creare squarci dentro l’anima: perché da un lato
ognuno di noi vorrebbe essere libero di seguire i propri sogni e ambizioni, ma
dall’altro è difficile ignorare le volontà dei genitori e quindi, spesso,
accade che in una devozione filiale s’intraprendono strade che, forse, non
avremmo mai scelto.
È
un romanzo sulla famiglia, sul lavoro, sulla propria identità, sulla lingua. È
una riflessione spietata su noi stessi e su cosa gli altri si aspettano da noi.
In una scrittura quasi nevrotica, fatta da rapidi schizzi e brevissimi capitoli,
si è travolti dalle emozioni e dalla vita della protagonista. Sembrerà quasi di
ascoltare uno sfogo di un’amica e, senza accorgersene, ci intrufoleremo nella
sua vita e la ascolteremo sempre con grande piacere.
Chimica è divertente e malinconico,
feroce e riflessivo, tutto in perfetto equilibro che lo rende unico nel suo
genere. Infine la protagonista è uno dei quei personaggi a cui continui a
pensare anche una volta terminata la lettura, ti domandi come reagirebbe a tale
situazione o cosa farebbe e resta solo da pensare che questi momenti affrontati
con una certa ironia, come fa lei, forse, sarebbero più facili da gestire. Dimostra sempre, però, un grande coraggio perché per affrontare i nodi
dell’anima e tornare sui propri passi, quando la strada sembra ben delineata, è
un atto quasi di eroismo.
Giada Marzocchi