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Chi ha paura di Wonder Woman? Un saggio di Francesco Milo Cordeschi racconta "Un'Amazzone tra noi"

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Wonder Woman.
Un’Amazzone tra noi
di Francesco Milo Cordeschi
prefazione di Boris Battaglia

Armillaria, 2021

pp. 272
€ 12,00 (cartaceo)

A renderla finalmente popolare al pubblico italiano pare siano stati i telefilm degli anni Settanta in cui Lynda Carter le prestava lineamenti e physique du rôle. Prima della loro messa in onda sulle tv private (correva l’anno 1982), chi l’aveva frequentata nella sua versione originale a fumetti aveva avuto non pochi problemi a seguirne le avventure in formato cartaceo, vuoi per i lunghi intervalli temporali tra un’uscita e l’altra, vuoi per le continue e costanti rivoluzioni subite dal personaggio quanto a estetica e caratterizzazione. In moltissimi, di recente, ne hanno ammirato la trasposizione sul grande schermo in ben due film usciti nelle sale a breve distanza l’uno dall’altro, e bastano i loro titoli – Wonder Woman (2017) e Wonder Woman 1984 (2020) – per mettere fine alle perifrasi e dichiarare che stiamo parlando dell’eroina altrimenti nota come Diana Prince: la stessa che il 21 ottobre dell’anno in corso ha compiuto ottanta primavere e si gode le commemorazioni e i festeggiamenti che più si addicono alle cifre tonde, inclusa una grande mostra milanese a Palazzo Morando che dal 17 novembre ne celebrerà il mito e il successo. Ma quanto è nota, perlomeno nel nostro paese, la lunga e travagliata storia di questo personaggio? Per Francesco Milo Cordeschi, autore di Wonder Woman. Un’amazzone tra noi, appena pubblicato da Armillaria, la risposta è al ribasso: non abbastanza. Perché oltre il nome utilizzato come epiteto stucchevole per definire ogni donna di successo, e oltre il sembiante sexy così gettonato quando si tratta di feste in maschera, la vicenda “ontologica” di questa figura è una vera e propria cartina di tornasole del ruolo del gentil sesso nel Novecento e oltre: una vicenda che vale proprio la pena di conoscere, e in poco meno di trecento pagine sarà chiaro il perché.

Per un libro che si propone di restituire un senso ordinato e unitario a una storia piuttosto caotica e disomogenea, la prefazione di Boris Battaglia si presenta come l’incipit perfetto. Con il suo stile tipicamente informale e il suo richiamo alla propria esperienza personale di lettore e spettatore, l'altro autore della collana I Cardinali (sono suoi i bei volumi dedicati a Corto Maltese, Serge Gainsbourg e al film Alien) lensordisce confessando di avere sempre preferito la Vedova Nera a Diana Prince, attribuendo questo iniziale disamore per la “Donna Meraviglia” sia alle caratteristiche della sua storia editoriale «così frammentaria da rendere praticamente impossibile per un lettore libero da ossessione filologica seguirne il percorso» (p. 8) sia alla frammentarietà che proprio Francesco Milo Cordeschi definisce, nel corso del saggio, “ontologica”, e a cui si devono quelle frequenti riletture e reinterpretazioni che nel corso degli otto decenni di vita hanno reso il personaggio «un archetipo i cui elementi costitutivi hanno come fondamenta una continua contraddizione» (p. 10). Il lettore più sprovveduto non ha dunque motivo di sentirsi a disagio se la sua conoscenza del “caso WW” è limitata e lacunosa: questo libro è quello che fa per lui, quasi fosse il biglietto per “un viaggio rivoluzionario” (questo il titolo dell’intervento di Battaglia) reso tale dal semplice fatto di essere «il viaggio dell’eroina e non quello dell’eroe» (p. 13).

Articolato in cinque capitoli – A Woman in Wonderland, L’isola della sorellanza, Wonder Woman for President, La dea della verità, Back to the future! – il racconto di Milo Cordeschi, da lui proposto come un immaginario tour temporale a bordo della DeLorean, la celebre macchina modificata di Doc nel film di culto Ritorno al futuro (1985), racconta la figura di Wonder Woman contestualizzandola all’interno di una serie di cerchi concentrici: quello della serialità in sé, quello dell’avvento dei supereroi e poi delle supereroine nelle narrazioni popolari, quello della rappresentazione dei personaggi femminili nel mondo del fumetto. E al cuore di tutto, ovviamente, c’è lei – l’Amazzone “bella come Afrodite e saggia come Atena, con la velocità di Mercurio e la forza di Ercole” – la cui crescita e il cui sviluppo andranno di pari passo con l’evoluzione del dibattito intorno al ruolo delle donne nella società e nella cultura (non ultima, per l’appunto, la cultura dell’immagine). Milo Cordeschi ne segue l’iter tappa dopo tappa, registrandone, per così dire, gli alti e i bassi (anche nel gradimento del pubblico) e mettendo in evidenza come la caratterizzazione di Wonder Woman sia stata sempre influenzata dagli eventi storici e culturali coevi e dai relativi dibattiti: dalla resa fisica ed estetica dell’eroina alle missioni da compiere, dal rapporto con il genere umano e il sesso maschile alla correlazione con altri personaggi femminili rivali che sono sue nemesi femminili – «Eviless, l’avida colonizzatrice saturniana, l’energumena Giganta, Clea, Hypnota, Zara e soprattutto l’antropomorfa Cheetah, metà donna metà ghepardo, destinata a diventare la sua letale arcinemica» (p. 73) – tutto concorre a delineare un romanzo di formazione parallelo, la cui protagonista si rivela a più riprese non esente da aspetti problematici e dubitativi persino a proposito del suo stesso ruolo di salvatrice della Terra degli Uomini.

Francesco Milo Cordeschi è molto abile nel riuscire a tessere un discorso effettivamente complesso, che con una gestione maldestra rischierebbe di sfilacciarsi o annodarsi malamente a ogni passaggio per via delle ricorrenti esigenze di rimando ad altri contesti e settori: il convincente risultato è il ritratto a tutto tondo di una figura altamente simbolica chiamata a interfacciarsi con un pubblico tanto maschile quanto femminile, con le condizioni dettate dal patriarcato imperante che trova ad attenderla alla sua nascita – uno status che è ben vivo nella memoria di tutti, e che per molti versi è ancora realtà – e con le esigenze di riscatto da parte di «decenni di femminismi dimenticati» (p. 133). Eroina subordinata, eroina protagonista, eroina umanizzata, eroina comunque e sempre “aggiornata”: come se il femminismo stesse cercando un suo sbocco allegorico, non c’è “versione” di Wonder Woman che non (cor)risponda ai mutamenti della cultura coeva e che non porti in qualche modo le tracce delle vittorie e delle sconfitte delle donne nelle lotte importantissime lotte per i diritti civili e politici condotte lungo il secolo scorso. Un destino segnato, insomma, per un’eroina che esordisce nel dicembre del 1941, a pochi giorni dall’attacco a Pearl Harbor, il cui avvento è annunciato con toni non privi di retorica avanguardistica e trionfalistica – anche la donna è super, anzi è la donna delle meraviglie! – e che fin da subito deve battersi per conquistare il proprio protagonismo editoriale rispetto alle prime apparizioni marginali e di secondo piano rispetto a una squadra già affermata di supereroi (tutti, inequivocabilmente, maschi).

Nello spiegare come Wonder Woman abbia gettato le fondamenta di un nuovo canone e lo abbia fatto «con la sfrontatezza tipica di una guerriera» che «offre storie travolgenti, che rileggono gli intrecci convenzionali, ridiscutendo il senso dell’essere donna e delle relazioni umane» (p. 66), Francesco Milo Cordeschi riesce a rendere conto dell’originalità a vario titolo che ha caratterizzato la sua vicenda a partire dalla paternità/maternità plurima (lo psicologo William Moulton Marston, che morì già nel 1947, agì fin da subito di concerto con Olive Byrne ed Elizabeth Holloway Marston oltre che con Joye Hummel, la vera ghostwriter della serie) e dal fatto che la Donna Meraviglia è, come tale, «frutto di una crasi; una commistione di sentimenti e linguaggi tra loro apparentemente incomunicabili» (p. 122). In lei, difatti, convivono suggestioni e interpretazioni di varia origine e natura: il mito dei matriarcati intesi come glorificazione di una civiltà sorretta da donne guerriere, il revival della classicità, il successo cinematografico del tipo della femme fatale proposta dal cinema noir, il protagonismo economico, sociale e sessuale di nuove figure femminili più autodeterminate e non eterodirette, il ruolo attivo delle donne durante la guerra, la sisterhood (“sorellanza”), il lesbismo e addirittura l’accusa di aver glamourizzato, per uso e abuso del suo magico lazo, la pratica del bondage. Ma soprattutto: più si va avanti nella lettura, più si ha conferma di come la sua vicenda abbia sempre oscillato come su un’altalena tra due esigenze che la caratterizzeranno fin dagli esordi:

«agli uomini si presenta come una figura forte e primaria, capace di soddisfare i piaceri più reconditi e le aspettative amorose inespresse; alle donne si propone, al contrario, come fulgente esempio di giustizia, leadership e carisma femminile» (p. 124).

Libro d’anniversario e dunque perfetto per arricchire le biblioteche dei cultori della “Donna Meraviglia”, il lavoro di Francesco Milo Cordeschi si rivela un contributo assai mirato specialmente per chi dell’eroina in questione conosca poco e nulla e abbia di lei un’idea vaga e stereotipata. Proprio perché non si tratta di una mera e comoda celebrazione del personaggio bensì di un’analisi di quella che ne è stata la complessa vicenda “esistenziale”, questo studio aiuta a comprenderne non solo le criticità creative, ma anche e soprattutto quelle ideologiche e culturali che ne hanno determinato le tante evoluzioni (e involuzioni). È da credere che Wonder Woman. Un’amazzone tra noi compirà nel suo piccolo (formato) una grande impresa, e ciò a dispetto dell’unica vera pecca del volumetto, ovvero la totale assenza di illustrazioni o fotografie: un accompagnamento visivo, seppure minimo o del tutto simbolico, avrebbe reso ancora più completo e gradevole un libro dedicato a una simile icona. Le fonti oltre le pagine, ad ogni modo, sono evidentemente più che numerose, e dunque, terminato il libricino, non resta che andare alla ricerca di quegli albi a fumetti laddove ogni cosa ha avuto inizio: un nuovo viaggio ancora, da affidare tutto al carisma della nona arte.

Cecilia Mariani