Miss Stress di Anita Dadà Fandango, 2021
pp. 176
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Non andrò a letto con lui, non sono una escort. Mi limiterò ad ascoltare i suoi discorsi e quando sarò sufficientemente annoiata, avrò anche il potere di ordinargli di star zitto. Sono una Mistress e ho il potere di farlo. (p. 11)
Nel leggere le avventure di Viola, ragazza romana che al lavoro di gallerista accoppia quello meno comune di mistress, i primi aggettivi che vengono in mente in riferimento allo stile utilizzato da Anita Dadà sono “spregiudicato”, “provocatorio” e simili ma poi, proseguendo la narrazione, è facile accorgersi di come in realtà l’autrice stia semplicemente raccontando una storia come altre. Quella che a tutta prima appare come una voce fuori dal coro, che con coraggio e disinibizione parla di bisessualità, bdsm e rapporti dom/sub, si rivela ben presto in realtà una voce all’interno del coro: una voce che sa raccontare ciò che capita nelle camere da letto dei clienti – certo con una punta di erotismo – e concentrarsi sulle parafilie nel modo più umano e ordinario. Quella che facilmente verrebbe etichettata come una pratica da depravati è per Viola invece quotidiana normalità, qualcosa che dovrebbe essere sdoganato in una società civile come la nostra.
Perché questo è ciò che ci comunica Anita Dadà: il sesso, in qualsiasi sua forma, fintanto che è fra persone consenzienti, è divertimento, gioco fra le parti; e può, ovviamente, essere lavoro. Così come l’operaio, l’impiegato e il quadro aziendale vendono il proprio tempo e le proprie capacità per produrre beni o servizi, allo stesso modo la mistress di professione (ma si potrebbe, e si dovrebbe, estendere il discorso a tutti i sex worker, anche se qui siamo già su un altro argomento) vende il proprio tempo e le proprie capacità per guadagnarsi da vivere. Il cliente, tipicamente il maschio etero benestante e che ricopre posizioni di potere, tramite Viola riesce a dire e fare quelle cose che normalmente non potrebbero venir dette e fatte fra le mura domestiche. Siamo al limite del tradimento coniugale, in molti casi, eppure non c’è penetrazione, non c’è atto sessuale. Fra le righe intendiamo che la mistress di professione svolge un ruolo simile a quello dello psicologo: un’entità vicina ma inaccessibile alla quale è possibile confessare l’inconfessabile.
Troviamo poi la Viola persona: la Viola fragile, dalla storia familiare complicata – e qui il rischio di finire nel banale e nel cliché è concreto, ma Anita Dadà per bravura o per fortuna arriva solo a toccare i confini di questo territorio pericoloso – e dai sogni sempre accesi, in cerca di un amore impossibile. D’altronde già il titolo è anticipatore: lei è sì mistress ma anche una ragazza come tante, divorata dai conflitti interni, e che solo nel proprio lavoro, per necessità, riesce a far uscire il lato dominatore. Questi due aspetti della personalità di Viola sono sempre in guerra fra loro e immediato è il rischio che uno dei due prevalga sull’altro.
Anita Dadà, di professione body performer, scrive con un linguaggio colloquiale in grado di creare complicità e tenere il lettore accanto come un amico. Alcuni passaggi sono fin troppo didascalici («Ho detto sì a tutto, tranne al bite to pop, ovvero lo scoppiare il palloncino con i denti», p. 33) e tendono a descrivere le pratiche che stanno avvenendo più che raccontarle. Questo è un peccato perché l’autrice è invece in (molti) altri passi bravissima a creare l’atmosfera e scendere nei dettagli anche più spinti senza però voler provocare a tutti i costi. In generale si nota una scrittura lucida ma ancora non del tutto matura, come se questa fosse – e in effetti a guardare bene lo è – una prima prova d’autore. C’è un ampio spazio di miglioramento, per un lavoro di lima che renda meno didascalici alcuni passi e allontani la narrazione dai fantasmi del cliché.
David Valentini