Dentro la vita
di Luciana Boccardi
Fazi editore, novembre 2021
pp. 302
€ 18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Non so dire la soddisfazione che provai vedendo che, sulla parte inferiore dello sportello, qualcuno aveva scritto a penna: «SIGNORINA LUCIANA CROVATO». (p. 14)
Avevamo lasciato Luciana Crovato, appena diciassettenne, con il suo primo impiego alla Biennale dopo un'infanzia passata tra vari spostamenti, famiglie e una continua ricerca di far quadrare conti e soldi dopo l'incidente capitato al padre. L'Italia esce dalla guerra, il desiderio di ricostruzione e di nutrirsi di bellezza e di arte è prepotente. Dentro la vita, secondo capitolo della saga autobiografica di Luciana Boccardi, nata Crovato, edito da Fazi, entra nel pieno degli anni di ricostruzione e di boom e negli anni della vita adulta, fatta di sfide lavorative, perdite, gravi lutti e occasioni irripetibili. In una Venezia ancora in bilico con le vecchie tradizioni e pronta a farsi di nuovo faro di arte e cultura, Luciana tocca tutti i settori dell'arte, dal teatro alla moda, incontrando e collaborando con alcuni dei nomi che hanno segnato la cultura italiana. Sempre con il garbo e l'eleganza che stilisticamente hanno segnato il primo volume, in Dentro la vita l'autrice si svela con grandissima onestà e candore e ci porta per mano in una Venezia che, anche per gli occhi di Luciana, ormai cresciuta, non smette mai di avere quell'aura di favola e magia.
Non è una cosa semplice raccontarsi su pagina senza pretesa di autofinzione. L'autobiografia necessita, per l'autore, di scendere patti con la fallibilità della propria memoria e con la reinterpretazione inevitabile dei propri trascorsi; il lettore deve invece sempre ricordare la potenziale inaffidabilità della prima persona narrativa che tende, anche in maniera inconsapevole, a portare lo spettatore dalla propria parte.
Luciana Crovato, che dopo il matrimonio con Virgilio Boccardi, allora agli albori della sua carriera nella RAI, ha scelto di usare il cognome da sposata per la sua attività letteraria, come autrice è dotata di una memoria molto precisa. Anni, eventi e persone sono raccontati in ordine perfetto con una lingua limata e garbata anche nel raccontare eventi traumatici – come tentativi di aggressione sessuale da parte di alcuni colleghi e difficili situazioni personali per le figure intorno a lei –, sicuramente frutto del riserbo e dell'innato pudore che l'autrice non manca di rimarcare in ogni occasione.
La trappola in cui Luciana Boccardi non cade, in quanto narratrice in prima persona, è lo smussamento di determinate convinzioni che potrebbero non essere del tutto condivisibili. Dato che sono posizioni che ha sempre sostenuto anche nel corso della sua carriera di giornalista, non c'è alcun revisionismo nel tentativo di lusingare l'occhio del lettore contemporaneo. Non fa mistero della sua opposizione totale all'aborto sia a parole, come sosteneva nei suoi articoli sul giornale "Il Femminile" che ha fondato e condotto per cinque anni nel pieno delle rivendicazioni femministe, sia nel suo vissuto personale quando sceglie di portare avanti una gravidanza che chiunque le avrebbe sconsigliato. Non fa mistero della sua scarsa simpatia per le attività sindacali visto che per lei il lavoro è sempre stato mosso, da necessità, certo, ma soprattutto da passione. L'irrigidirsi degli scioperi sarà anche uno dei motivi che la spingeranno a lasciare il lavoro in Biennale.
«Ma le cose cambiano», insisteva Titti, «bisogna andare avanti!». Invece alle volte, secondo me, bisogna saper guardarsi indietro, seppur con senso critico. A forza di andare solo avanti si rischia di finire sull'orlo di un burrone. [...] Non capivo neanche perché la tradizione e il buon senso venissero automaticamente collocati a destra, mentre le "novità" – qualsiasi fossero – erano sempre considerate di sinistra. La Titti mi accusava di qualunquismo, ma a me non importava. (p. 162)
Nel bene e nel male, nelle convinzioni condivisibili o meno, Luciana Boccardi si presenta coerente con se stessa, serena nelle sue scelte. Non censura nulla della sua vita, nemmeno il rapporto con il marito e le altre relazioni intessute nel corso degli anni, sempre ammantate del giusto pudore nella narrazione e comunque rivoluzionarie per gli anni in cui si svolgono.
Il sodalizio affettuoso con mio marito non segnava moti di stanchezza: seppur bianca, eravamo una coppia vera! Ma io ero in coppia (non bianca) anche con Mario. Un problema che esisteva solo nei confronti di terzi, perché per noi tutto era noto e sereno. Oggi si chiamano coppie aperte? Famiglie allargate? In quegli anni, un nome per definirle non c'era ancora. (pp. 157-158)
Alla conclusione del suo rapporto lavorativo con la Biennale, passò al giornalismo: dopo una falsa cronaca di una vera traversata, ovvero il racconto di una crociera in cui l'autrice fu afflitta dal mal di mare che non le impedì, con un po' di fantasia, di fare un ottimo resoconto della moda degli altri viaggiatori, diventò una della firme del giornalismo di moda. È un carosello dei grandi nomi della cultura quello che gira intorno all'autrice.
Le giornaliste di quegli anni, comunque, conservavano un retaggio di buona educazione (poi divenuta, non solo nella moda, un orpello inutile) e una cultura quasi sempre classica: erano signore della buona società, che avevano affinato il gusto grazie alla consuetudine con l'eleganza e il lusso, frequentando come clienti gli atelier più importanti. (p. 220)
Così descrive il mondo in cui mette piede e del quale pare provare nostalgia. L'autrice tratta con ogni situazione, anche quelle al cospetto di mostri sacri, con la massima naturalezza, senza albagia. Dall'incontro con Simenon alla sua prima vittoria di un premio letterario, alla cortesia, anche se un po' paternalistica, di Montale. Nemmeno i nomi della storia mondiale sono al sicuro dal suo sguardo lucido. Così ci racconta di quando Luchino Visconti fece a pezzi delle foto e che tutta la sua bravura non lo metteva al riparo dall'essere un gran maleducato; così ricorda della tremenda sfuriata di Coco Chanel nei confronti di una povera mannequin che la convinse a non procedere con un'intervista attesa e sudata.
Onestà nel descrivere chiunque e qualunque situazione con la sicurezza e la granitica serenità di chi ha vissuto una vita intensa e ben spesa, certa delle proprie convinzioni. Come già nel primo volume, i capitoli sono brevi, ciascuno focalizzato su un evento piccolo o grande della sua storia con una Venezia dal ritmo e dai dettagli che vengono fatti riscoprire con occhio innamorato e colmo di magia: con lo stesso sguardo luminoso e il garbo con cui la piccola Luciana osservava la vita in campagna nei suoi primissimi anni di vita.
Giulia Pretta