I diari del Limbo
di Manlio Castagna e Nova
DeAgostini, 2021
pp. 144
€ 15,90 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)
Audiolibro disponibile su Audible
Una goccia che cade in una stanza vuota; una finestra protetta da
grate, troppo in alto per essere raggiunta; una ragazzina rannicchiata su un
letto; persino gli scarafaggi e delle spettrali figure incappucciate. Inizia
all’insegna dell’inquietudine il grapich
novel di Manlio Castagna, illustrato da Nova con il supporto di un verde
acido che fa vibrare ancora di più il contrasto tra i bianchi e i neri delle
tavole. La protagonista, Ottavia, non ha idea di come sia finita in quella che
viene definita la Fortezza di Haresind e ha solo sporadici e confusi ricordi
del suo passato. Non capisce a cosa si riferisca il numero sulla porta della
sua camera, perché mai Lugosi, il funzionario dell’accoglienza cieco, si sia
preso così a cuore le sue sorti, né chi siano gli abissali, creature
ultraterrene che portano via alcuni ospiti della fortezza. La permanenza all’interno
di quella che si configura sempre più come una prigione è in realtà un percorso
irto di ostacoli alla ricerca di una via d’uscita, verso la quotidianità rassicurante della vita di prima, che riemerge attraverso reminiscenze sempre più vivide. Per quanto la protagonista
desideri salvarsi insieme agli amici trovati nell’oscurità, il fascinoso Tito e
l’esuberante Penelope, detta Pepi, il varco è stretto e appare sempre meno
probabile che possano farcela restando insieme. Il limbo evocato dal titolo diventa
condizione di stasi esistenziale, magma lattiginoso in cui si rischia di
sprofondare sempre di più, prigionieri delle proprie paure o dei propri sensi
di colpa.
È superato ormai da tempo il pregiudizio che etichetta i graphic novels come opere semplici e
univoche: questo di Manlio Castagna è fittissimo di simboli e si può leggere a
più livelli. Pensato per un pubblico adolescente, con le sue sfumature letterarie e psicanalitiche riesce a toccare nel profondo anche il lettore
adulto che, insieme a Ottavia, può compiere a sua volta un viaggio di
immersione all’interno di sé. Nato inizialmente come sceneggiatura per una
serie audio prodotta da Emons, il testo trova nell’adattamento per il fumetto
una nuova vita, si arricchisce di nuove sfumature. Abbiamo voluto porre qualche
domanda all’autore, per provare a saperne di più.
I diari del limbo si pone in
equilibrio tra i generi: ha infatti una spiccata connotazione horror, ma
attinge anche all’indagine psicologica ed emotiva dei personaggi, a cui
rimandano molti elementi (le reminiscenze, il peligro che ciascuno vede a modo
proprio, gli abissali...). Inoltre c’è l’elemento dell’investigazione, che è
tale sia per i personaggi che devono trovare una via d’uscita dalla Fortezza,
sia per il lettore che deve assemblare gli indizi insieme a loro per
comprendere la verità su Haresind. C’è una dimensione che dovrebbe prevalere
sulle altre? Qual era in partenza il tuo intento autoriale?
La mia idea iniziale era scrivere una storia che avesse una
dimensione molto vicina a videogame “survival” dal forte potere evocativo
come Little nightmares, Limbo o Inside. Non volevo scrivere una serie horror, né un mistery,
né un fantasy, ma attingere a elementi di tutti questi generi per creare un’esperienza
dai toni sicuramente dark, densa di un’atmosfera allucinatoria. Quindi non
credo che nei I diari debba esserci
la prevalenza di un sapore sugli altri: è nell'alchimia degli ingredienti, nella
loro amalgama, che dovrebbe stare la sua potenza, o la sua caratteristica
principale.
A proposito di questo, mi pare
che la Fortezza sia un luogo pieno di simboli. Vuoi spiegarcene o commentarne
qualcuno?
La Fortezza è un luogo dove ci si perde, un luogo che ti costringe
a spogliarti della tua identità. Essendo un posto metaforico è imbottito di
simboli. La struttura stessa, fluida e assurda, ricorda un’incisione
di Maurits Cornelis Escher. Poi ci sono i funzionari che rimandano alla
mostruosa burocrazia di Kafka. La medusa è il simbolo di una natura
indecifrabile, chiusa in un silenzio oceanico, forma di altri mondi. Ci sono le
lumache mortali che vengono dritte dritte da una frase che pronuncia il
colonnello Kurtz, folle protagonista e profeta d’orrore nello splendido Apocalypse Now. E poi la guida non
vedente che incarna il principio di una percezione che può prescindere dagli
occhi, come a dire che la vista non è l'unico senso possibile e anzi a volte
può ingannarci. Perché l'apparenza più che rivelare, spesso nasconde.
Tu hai una produzione
vastissima, in cui hai affrontato numerose tematiche e lambito diversi generi.
Quella della sceneggiatura per una audio serie è però una novità. Quali
difficoltà hai trovato nel passaggio transmediale? Quali invece sono state le
opportunità?
Sì, questa dell'audio serie era una sfida molto intrigante. Scrivere una
sceneggiatura senza l'ausilio del "vedere" può sembrare un limite e
invece finisce col diventare una sorprendente opportunità. Essere creativi
spesso lo associamo all’idea di un’immaginazione sfrenata e invece per me la
creatività è il fuoco che divampa a partire dalle scintille generate dalla
collisione tra un’esigenza e gli ostacoli per soddisfarla. Non avere a
disposizione gli occhi dei lettori/spettatori/ascoltatori mi ha permesso di
concentrarmi sul potere della parola detta, dell’effetto sonoro, dell’involucro
audio di un significato. È stato un viaggio anche dentro le mie possibilità di
narratore e ne sono uscito arricchito, onestamente. Altra bella sfida era
adattare 11 puntate di circa 45 minuti ognuna in unico graphic novel con un numero di tavole standard. La trasposizione
rischiava di mortificare il respiro della storia. Per fortuna il lavoro di
adattamento di Lorenzo La Neve e la preziosa direzione da editor di Elisabetta
Sedda hanno preservato lo spirito della serie.
Nova è una disegnatrice fresca,
piena di energia e il suo tratto inquieto si adatta meravigliosamente alle
atmosfere della Fortezza. Come avete gestito la vostra collaborazione? Cosa ha
aggiunto lei alla forza della tua narrazione?
Nova ha un gran talento e una energia pulsante. Abbiamo chiarito
prima di partire col suo lavoro il look
and feel del fumetto e il carattere dei personaggi, poi lei è andata in
autonomia. Non c’è stato molto dialogo né confronto: mi sono fidato di lei e ho
fatto bene. Lei ha spostato in una dimensione ancora più onirica, lisergica, la
trama dei Diari del Limbo.
A me pare che in questo volume
venga in qualche modo risemantizzato il concetto di Limbo, che riprende la sua
valenza tradizionale di luogo di sospensione, ma ne assume anche una più cupa,
legata al tormento e in qualche modo al senso di colpa che ciascuno si autoinfligge.
Come sei riuscito a conciliare questi due aspetti?
Hai detto benissimo, mi piaceva tornare al concetto primordiale di
Limbo legato alla sua radice etimologica di orlo, di soglia (limbus in latino è esattamente questo).
Quindi di linea di demarcazione solo accennata, di fascio d’ombra tra luce e
buio, sospensione appunto. Non a caso Haresind, il nome della fortezza,
deriva da una parola azera, aresinda, che significa “nel mezzo”.
Essere nel Limbo allo stesso tempo è anche trovarsi in una situazione di
peccato o meglio di colpa non intenzionale. Che va espiata se si vuole
uscirne.
Pur essendo un testo rivolto a
un pubblico giovane, coetaneo dei protagonisti, I diari del Limbo non cerca un lieto fine a tutti i costi. Questo è
dovuto al desiderio di proseguire la serie, o a una scelta precisa, legata al
messaggio più profondo che vuole trasmettere la storia?
Le storie imbevute di oscurità non devono necessariamente condurre
alla luce piena. Io preferisco, per questo genere di narrazione, un finale in
penombra. Con tutto ciò che deriva da questa condizione non del tutto
determinata. Il finale aperto è come una porta socchiusa. Fa passare aria,
rende possibile il respiro.
Carolina Pernigo