Ossessioni e vite spezzate: "La fiamma dei tuoi occhi" di James Purdy





La fiamma dei tuoi occhi
di James Purdy
Racconti edizioni, settembre 2021

Traduzione di Alessandro Roffeni

€ 16,00 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


La fiamma dei tuoi occhi, raccolta di racconti di James Purdy che la casa editrice Racconti edizioni ripropone in Italia a distanza di trent’anni dalla prima uscita, ben concretizza la poetica di questo autore statunitense che ha attraversato il secondo Novecento come un fiume carsico, silenzioso e nascosto, ma costante. E di Purdy la stessa casa editrice ha già pubblicato altre tre raccolte: Non chiamarmi col mio nome, A casa quando è buio, Come in una tomba, segno di un impegno continuo e di un interesse reale per questo autore. Al centro di questa raccolta ci sono i temi presenti in quasi tutte le altre sue opere: la morte, l’amore (spesso omosessuale), la vita degli afroamericani, quella degli esclusi dalla vita sociale. Ma senza dubbio è l’ossessione dei personaggi a prendere l’intera scena. Penso ad esempio al bel racconto intitolato Mr Evening, in cui il tema dell’ossessione si declina nel collezionismo sfrenato per gli oggetti antichi, oppure a La fiamma dei tuoi occhi, racconto che dà il titolo alla raccolta, che unisce all’ossessione anche i temi amati dall’autore come l’amore omoerotico e la vita di esclusi afroamericani.
In questa raccolta sembra che ogni protagonista delle storie narrate abbia come unica ricchezza il peso che si porta appresso, il senso di colpa di una vita passata, che non è mai spiegata e che non cerca nemmeno spiegazioni, che ha addosso. La vita dei personaggi è sempre data dalle loro ossessioni totalizzanti, ogni personaggio ha solo un’ossessione che lo caratterizza e che gli condiziona interamente la vita. Ma l’ossessione non solo li fa vivere e muovere, li conduce spesso verso il finale della storia, verso quella morte che li attende e che il lettore si aspetta quasi in ogni storia. Se nel racconto che apre la raccolta l’ossessione di un tradimento, di un senso di colpa per una mancanza non reale, consuma l’essere umano, conducendolo alla morte, in Il party di Lily l’ossessione del possesso porta, invece, alla solitudine, a un’ingordigia vuota e tracotante e a un senso di perdizione in una sessualità sfrenata concretizzata dalla metafora culinaria che tanta fortuna ha avuto nella letteratura mondiale e che ricorda in qualche modo il capolavoro di Marco Ferrari, La grande abbuffata. E tutti i racconti, anche se sono per lo più stralci di vita, pezzetti d’un’esistenza che si spiega nelle situazioni più disparate e che si muove in una realtà che sembra semplice sfondo per relazioni sempre sbilanciate e monche, si muovono intorno all’ossessione, per lo più erotico-sessuale. È l’ossessione allora a spingere le relazioni umane, è l’ossessione allora che non solo continua a essere il centro nevralgico di ogni volontà creativa di Purdy, ma che risulta l’unico segno di una vita degna di essere vissuta e condensata su carta. E se pure l’ossessione si quieta, e se pure l’ossessione si perde nella quotidianità non si può più sopravvivere. Così nel bel racconto che apre la raccolta, racconto intitolato Uno di questi giorni, quando l’ossessione, che ha spinto il protagonista oltre ogni limite umano e biologico, si scioglie, termina subito anche la sua misera vita. La storia si conclude con le ultime parole del protagonista ed emblematicamente con le ultime parole scritte su un foglio.

Ma dopo aver scritto tutto quanto, mi sono sentito tranquillo nella mente e nel cuore, e allora con un certo sforzo ho scritto il mio nome sull’unica cosa che ho da lasciare, e che mi hanno portato via pochi istanti fa mostrandosi assai perplessi, perché neppure quella persona era loro nota, e ovviamente era impossibile fornire l’indirizzo, e hanno accettato che gliela dessi, immagino, solo perché sentissi che si prendevano cura di me. (p. 20)

Non resta che morire di freddo allora, di dolore, di solitudine, di svanire in un burrone e sparire in un’ombra. Ogni storia racconta in poche righe attimi di vite spezzate, neglette per lo più dalla società. In ogni bella frase dell’autore sembra esserci un senso del dolore che vibra e che si disperde nell’aria come la foschia novembrina. E quando questa foschia ci raggiunge non ci rimane che chiederci cosa resta in noi quando scende la sera e non si ha più il nutrimento delle ossessioni a spingerci e a farci muovere, perché muoversi è vita. Forse allora non rimane che fare come farebbero i protagonisti di queste storie, non rimane che guardare il cielo e pensare che se non è buio ancora, certamente lo sarà fra un po’.

Giorgio Pozzessere