La mia patria sono io
di J.H. Yasmin
POP Edizioni, ottobre 2021
pp. 168
€ 9 (cartaceo)
€ 4,50 (ebook)
Si affidarono al mare insieme a dozzine di altre persone e nella notte intrapresero il viaggio che li avrebbe portati sulle coste italiane [...] Invece il buio li inghiottì, e in lontananza l'eco degli spari della guardia costiera egiziana sembrò un brutto sogno. Wafaa si addormentò cullata dalle onde, mentre l'acqua le schizzava il viso e i pianti e le preghiere intorno a lei l'accompagnavano nel sonno. (p. 136)
J.H. Yasmin definisce le storie racchiuse dentro il proprio libro "fragili e persistenti". Hanno la fragilità del dolore più acuto e la persistenza dei profumi di un mondo affascinante.
La mia patria sono io è la sua prima raccolta di racconti e si anima delle voci di nove donne egiziane che l'autrice ha incontrato e di cui restituisce qui testimonianza. Italiana di origini egiziane, Yasmin vive al Cairo da vent'anni e collabora con varie testate online sulle quali racconta l'Egitto, la sua storia e la sua cultura. Il volume è un omaggio a queste figure femminili che hanno lasciato un'impronta in lei, ognuna in un modo che è singolare e insieme collettivo perché capace di rappresentare il passato e il presente di quel paese.
Il tema portante del volume è la ricerca e la discussione di un'identità personale. Ad accomunare le nove donne protagoniste, molto diverse per età, estrazione sociale e scelte di vita, è il fatto che tutte si mettono di fronte a scelte che hanno a che fare con una propria costruzione identitaria.
Fawzeya si è sposata a sedici anni e nel tempo ha trovato il suo ruolo forte all'interno dello spazio domestico, Amira è riuscita a coronare un sogno d'amore e per farlo si è allontanata dalla propria famiglia d'origine per costruirne un'altra declinata al futuro, Noura ha smesso di esistere nel momento in cui gli uomini attorno a lei hanno deciso di rinchiuderla in casa e ora non le resta che sognare, Jumana ha corso il rischio di abbandonarsi a un sentimento e oggi è consumata dal rimpianto, Wafaa ha avuto il coraggio di affidarsi al mare e partire. In ogni caso sono esistenze fatte di scelte che oggi vengono guardate come allo specchio, con coraggio, orgoglio e in alcuni casi estremo dolore.
Yasmin consegna ai lettori queste storie per invitarli a leggere un intero ventaglio di esperienze di donne d'Egitto lasciando indietro qualsiasi possibile giudizio. È molto facile da qui fabbricare delle proprie idee su un velo, un matrimonio combinato, una relazione extra coniugale. Più complesso il sistema di valori e di sovrastrutture che vi sta dietro e che reclama ascolto e volontà di comprensione.
I racconti sono scritti con una penna molto leggera, anche quando maneggia una grande sofferenza, che plana sulle vite riportandone i fatti salienti. Lo stile è molto giornalistico e asciutto. Danno forza e colore citazioni, estratti e poesie poste a intervallare le storie, come quella che ha lo stesso nome del volume e che parla della patria come del luogo dove il cuore inizia a battere, come qualcosa che è sempre in noi ma a volte poi ci abbandona.
Queste donne, così profondamente legate al contesto socio-culturale del proprio paese, hanno ognuna in sé una patria in cui rifugiarsi. È fatta di radici, foglie, pioggia, occhi arrossati dalla sabbia.
Il volume è un invito a visitare tutte queste patrie interiori interrogandosi su quello che significa oggi identità e, soprattutto, identità femminile, perché è un dibattito ben lontano dall'essere risolto. Nella condivisione delle esperienze sta il tentativo di ricostruire delle personalità che spesso fattori esterni hanno tentato di spezzare, a trovare dei baricentri di significato per mitigare disuguaglianze, violenze di genere e malinconie mettendo a fattor comune elementi di unione e di resilienza.
Fawzeya si è sposata a sedici anni e nel tempo ha trovato il suo ruolo forte all'interno dello spazio domestico, Amira è riuscita a coronare un sogno d'amore e per farlo si è allontanata dalla propria famiglia d'origine per costruirne un'altra declinata al futuro, Noura ha smesso di esistere nel momento in cui gli uomini attorno a lei hanno deciso di rinchiuderla in casa e ora non le resta che sognare, Jumana ha corso il rischio di abbandonarsi a un sentimento e oggi è consumata dal rimpianto, Wafaa ha avuto il coraggio di affidarsi al mare e partire. In ogni caso sono esistenze fatte di scelte che oggi vengono guardate come allo specchio, con coraggio, orgoglio e in alcuni casi estremo dolore.
Yasmin consegna ai lettori queste storie per invitarli a leggere un intero ventaglio di esperienze di donne d'Egitto lasciando indietro qualsiasi possibile giudizio. È molto facile da qui fabbricare delle proprie idee su un velo, un matrimonio combinato, una relazione extra coniugale. Più complesso il sistema di valori e di sovrastrutture che vi sta dietro e che reclama ascolto e volontà di comprensione.
I racconti sono scritti con una penna molto leggera, anche quando maneggia una grande sofferenza, che plana sulle vite riportandone i fatti salienti. Lo stile è molto giornalistico e asciutto. Danno forza e colore citazioni, estratti e poesie poste a intervallare le storie, come quella che ha lo stesso nome del volume e che parla della patria come del luogo dove il cuore inizia a battere, come qualcosa che è sempre in noi ma a volte poi ci abbandona.
Queste donne, così profondamente legate al contesto socio-culturale del proprio paese, hanno ognuna in sé una patria in cui rifugiarsi. È fatta di radici, foglie, pioggia, occhi arrossati dalla sabbia.
Il volume è un invito a visitare tutte queste patrie interiori interrogandosi su quello che significa oggi identità e, soprattutto, identità femminile, perché è un dibattito ben lontano dall'essere risolto. Nella condivisione delle esperienze sta il tentativo di ricostruire delle personalità che spesso fattori esterni hanno tentato di spezzare, a trovare dei baricentri di significato per mitigare disuguaglianze, violenze di genere e malinconie mettendo a fattor comune elementi di unione e di resilienza.
Claudia Consoli