“Nascondersi” di Jaime Fountaine: una formazione adolescenziale realistica perché fallimentare e incompleta



Nascondersi

di Jaime Fountaine
Pidgin, 10 novembre 2021

Traduzione di Stefano Pirone

pp. 87
€ 14 (cartaceo)
€ 6,99 (ebook)


Chi di noi, da adolescente, non ha mai provato il desiderio di nascondersi? Per una vergogna che magari oggi ci sembra una sciocchezza, per un corpo che all’improvviso diventa troppo grande, troppo visibile, o troppo ingestibile. Il desiderio che la terra si apra e ci inghiotta, di chiudere la porta della nostra cameretta per creare uno spazio solo per noi. L’adolescente protagonista di “Nascondersi” di Jaime Fountaine, invece, è presa nella morsa del desiderio di essere visibile, e nemmeno noi che la accompagniamo per un breve tratto della rovente e vuota estate dei sobborghi riusciamo davvero a vederla; tant’è che non conosciamo nemmeno il suo nome.

La narrazione in prima persona tradisce una consapevolezza del mondo e delle logiche sociali che va ben oltre i tredici anni della protagonista, tant’è che tutti coloro che la circondano – e soprattutto i maschi – la scambiano per una ragazza più grande. Tramite gli occhi della protagonista senza nome, così ben nascosta dentro di sé da diventare una lente lucidissima per la nostra osservazione esterna, assistiamo voyeuristicamente a come la solitudine e il desiderio di essere visti sia un sentimento che caratterizza in realtà tutti i personaggi del romanzo, presi in un eterno limbo tra il nascondersi e la necessità di rivelarsi, tra l’avvicinarsi agli altri e la necessità di allontanarsi, come nella metafora dei porcospini di Schopenhauer. Non si nascondono solo i ragazzi del quartiere che passano le serate a giocare a “Caccia all’uomo”, una specie di nascondino a squadre che però è solo una scusa per avere del tempo da soli per tentare di rivelarsi a qualcuno e stabilire una flebile connessione – il ragazzo che ci piace, la ragazza che si lascia toccare sotto la maglietta, il ragazzo più grande a cui vorremmo assomigliare; anche gli adulti si nascondono per provare a svelarsi, come fa la madre della protagonista che finge di essere qualcun altro per piacere ai suoi innumerevoli fidanzati, o come fa il “maniaco”, uomo che gira in macchina per il quartiere con una maschera da sci in volto e le parti intime scoperte.

L’amara consapevolezza della protagonista della caducità di ogni rapporto umano, che sia familiare, amicale o sentimentale, è ben presente fin dall’inizio del romanzo, ma con il proseguire della storia ciò che viene meno è il controllo che la protagonista riesce a esercitare su questo mondo così ostile; se all’inizio la protagonista riesce a gestire i propri rapporti con gli altri tramite un freddo utilitarismo atto ad allontanarla il più possibile dalle sofferenze adolescenziali, alla fine del romanzo sarà proprio l’aprirsi del baratro tra ciò che vorrebbe e ciò che c’è a sua disposizione a prepararla per l’evento culminante della sua formazione.

Formazione che però rimane incompleta, e accade oltre le pagine conclusive del romanzo; ancora una volta, non c’è nessuno ad assistere agli eventi più importanti della vita della protagonista, che si configura come un lunghissimo corridoio di specchi, pieno di volti eppure vuoto, che dalle catacombe dell’adolescenza cerca di farsi strada verso la superficie, verso la fine del tempo del nascondersi forzato, verso qualcosa di vero e sincero. Un tempo che non è arrivato ancora, e che nessun adolescente è certo che arriverà mai.

Marta Olivi