THE PASSENGER - Irlanda
Iperborea, novembre 2021
Fotografie di Kenneth O Halloran
Illustrazioni di Edoardo Massa
Infografica e cartografia di Pietro Buffa
pp. 192
€ 19,50 (cartaceo)
Siamo costruiti sulle ferite e sulle benedizioni del passato: ovunque siamo, siamo già stati. E se c’è un paese capace di esprimere le agili contraddizioni del XXI secolo, per me è l’Irlanda che ho conosciuto e amato. (“Ricordi d’Irlanda”, Colum McCann, p. 70)
Ogni paese è fatto di tantissime cose, spesso difficili da comprendere oltre gli stereotipi: del suo passato, delle persone che lo abitano e di quelle che se sono andate, dei mutamenti ben visibili e di quelli meno evidenti, di tradizioni e modernità. Dell’Irlanda, questa terra meravigliosa piena di fascino e contraddizioni scegliamo di volta in volta di concentrare lo sguardo su un aspetto: la sua fiorente tradizione letteraria che in tempi recenti sta dando una bella scossa al panorama culturale internazionale, le tensioni e gli atti di terrorismo dei Troubles, la profonda influenza della chiesa cattolica che per lungo tempo ha permeato la vita delle persone. Ognuno di questi aspetti rappresenta o ha rappresentato l’Irlanda, la Tigre Celtica, ma in modi ben più stratificati e complessi di quanto superficialmente si ha la tendenza a considerarli, con implicazioni diverse e lontane dagli stereotipi che scegliamo di raccontarci. E, soprattutto, l’immagine che abbiamo di questa terra è molto spesso una fotografia sbiadita dal tempo, che non corrisponde alla realtà odierna, non del tutto almeno. Mi è parso particolarmente evidente quando nel 2018, di fronte alla vittoria del si al referendum sull’aborto (con il 66,4% dei voti), ci siamo ritrovati tutti estremamente stupiti del progressismo di una nazione che tendevamo inconsciamente a considerare la stessa degli anni Settanta: quel giorno l’Irlanda – o meglio, i suoi cittadini – ci ha sorpreso e di lì a poco altri piccoli e grandi cambiamenti sociali e politici ci hanno costretti a rivedere l’idea che ne avevamo. Perché l’Irlanda, tutta, è un paese complesso e molto mutato negli ultimi decenni e la dimostrazione che siamo un po’ troppo abituati forse a pensare per stereotipi. Una complessità che abbiamo bisogno di comprendere per ricostruire la vera identità del paese, attraverso le sue voci, i suoi protagonisti, certi sguardi marginali, fra storia e attualità. Con la nuova uscita di The Passenger, dedicato appunto all’Irlanda, ho scoperto il volto eclettico di un paese dalla storia complessa, le contraddizioni e il progressismo, la rinascita e le crisi, attraverso le voci di giornalisti, scrittori, esperti, che ognuno con il proprio peculiare sguardo e sensibilità privo di retorica ha saputo fotografare facendo dialogare la realtà di oggi con il passato e la tradizione, scardinando un bel po’ di preconcetti.
Mediante questa selezione di reportage, saggi narrativi, inchieste e schede informative, riusciamo a ricostruire il volto di un paese e dei suoi abitanti, seguendo le tracce del passato che hanno portato fino ai profondi cambiamenti messi in atto a partire dagli anni Novante quando l’influenza della Chiesa cattolica nella vita politica e sociale inizia a mostrare le crepe. La presa di coscienza degli abusi perpetuati nella “Mother and baby homes”, istituti cattolici per madri non sposate, ha scosso profondamente l’opinione pubblica e fatto vacillare un sistema basato su decenni di soprusi e repressione nei confronti delle donne e che aveva permeato non solo la mentalità ma le stesse scelte politiche del paese.
Tantissime donne erano state rinchiuse negli istituti per ragazze madri da preti, medici, assistenti sociali, consultori familiari, dalle stesse famiglie, da genitori a cui le suore e i preti avevano ripetuto che sarebbe stato meglio per loro o che temevano l’opinione dei vicini. (“La messa è finita”, Caelainn Hoga, p. 17)
Interessante che la ricostruzione di questo passato recente e i profondi cambiamenti che hanno investito l’Irlanda degli ultimi decenni, si affidi al dialogo fra due scrittrici appartenenti a generazioni e sensibilità letteraria diverse come Catherine Dunne e Caelainn Hogan: un incontro da cui è scaturito questo reportage narrativo dal doppio sguardo, mediante il quale seguire il lungo processo che ha portato l’Irlanda, da paese estremamente chiuso e conservatore schiacciato dal peso della Chiesa cattolica, a un luogo completamente nuovo e diverso. Gli abusi subiti per decenni, i viaggi all’estero per abortire legalmente, l’omosessualità considerata reato, il divorzio proibito dalla legge: fino alla rottura del silenzio e le battaglie che nel giro di pochi decenni hanno radicalmente mutato la società irlandese, alla legge sull’aborto e sul matrimonio gay. Proprio su quest’ultimo punto l’Irlanda segna un altro primato particolarmente interessante, che contribuisce a scardinare l’idea falsata che ancora persiste di questo paese: è stato il primo al mondo infatti a legalizzare per via referendaria il matrimonio omosessuale, a cui si è arrivati grazie all’esercizio di un nuovo, fondamentale, strumento democratico, ossia l’assemblea di cittadini. Una macchina particolarmente complessa, ma che ha contribuito in modo notevole ai mutamenti politici degli ultimi anni, sintomo di quanto i cittadini siano più avanti rispetto ai politici che dovrebbero rappresentarli.
Leggendo questi reportage e approfondimenti ricostruiamo l’identità multiforme e stratificata dell’Irlanda, fatta anche di contraddizioni e un passato come è noto assai complesso e problematico, non solo per le ingerenze della chiesa cattolica nelle questioni politiche e sociali, ma anche per le tensioni secolari che dividono il paese fra Nord e Sud, sfociate in un trentennio di scontri, terrorismo, paura. Ripercorrendone sommariamente le tappe storiche, appare evidente come al di là delle narrazioni e della percezione, i Troubles siano stati un conflitto di carattere politico e nazionalista e non religioso e, cosa tristemente interessante, quanto profonde siano ancora oggi a distanza di più di vent’anni dalla firma del trattato di pace le ripercussioni di un trauma collettivo. Mediante un racconto particolarmente sentito, la giornalista di Belfast Lyra Mckee – assassinata a ventinove anni durante gli scontri a Derry fra gruppi dissidenti nazionalisti e la polizia – ragionava infatti sull’alta percentuale di suicidi in Irlanda del Nord tra i “figli del cessate il fuoco”, come veniva chiamata la generazione post Troubles. Un dramma privato e sociale di cui McKee sottolineava il problema della trasmissione inter generazionale del trauma, che ha riscontri anche biologici.
[…] la questione è che dal 1998, che guarda caso è l’anno dell’accordo di pace, nell’arco di dieci anni il tasso di suicidi da noi è quasi raddoppiato. (“La guerra uccide anche quando è finita”, Lyra McKee, p. 115)
La storia personale di McKee stessa si intreccia a ulteriori riflessioni sulla società irlandese, legata ovviamente al conflitto che le è costato la vita, ma anche all’omosessualità in un paese dove, si diceva, fino al 1993 era considerata reato.
Ma anche dove, per esempio, le tensioni secolari fra Nord e Sud trovano un accordo attraverso lo sport: la nazionale di rugby è la prima a rappresentare unitariamente il territorio, non senza difficoltà, ma creando un importante precedente nel lungo e complesso processo che un giorno potrebbe portare all’unione. Ancora una volta un reportage mette in luce anche le zone d’ombra e raccontando al lettore la forza positiva di questo simbolo Brendan Fanning non manca di denunciare il carattere elitario di uno sport che resta un privilegio per pochi.
Terra di contraddizioni, dal passato pesantissimo e slancio verso una società più equa per tutti i suoi individui, l’Irlanda è anche il racconto di chi l’ha lasciata: il saggio narrativo di Colum McCann è fra i testi letterari più belli di questa raccolta, attraverso cui ci restituisce l’ambivalenza di sentimenti con cui pensiamo al luogo che chiamiamo casa, anche quando si sceglie di allontanarsene e che apre la riflessione ben oltre i confini specifici territoriali su cui si poggia questa pubblicazione.
Mi viene in mente che forse una delle ragioni per cui ho lasciato l’Irlanda è che non volevo dimenticarne l’insita bellezza. È nella natura dell’emigrante infliggersi una ferita per poter ricordare: partiamo per ricordarci di com’era un tempo. (“Ricordi d’Irlanda”, Colum McCann, p. 72)
È un racconto sentito ma onesto, che riflette sugli aspetti più cari della propria terra e le numerose problematiche, che forse è possibile comprendere solo prendendone un po’ anche le distanze. Andare o restare, lo struggimento dell’esule e la frustrazione di chi è restato hanno alimentato moltissima letteratura irlandese – penso, solo per fare un esempio recente, ai meravigliosi racconti di John McGahern pubblicati lo scorso anno da Racconti edizioni – e delineato quel “sentimento dell’Irlanda” che è identità. Irlanda è casa, anche quanto abitata dai fantasmi di un passato con cui non è facile venire a patti, o quando la si è lasciata:
Sono costretto a rendermi conto che nonostante sia stato via dall’Irlanda per molti anni, in realtà non sono mai partito. Mi perseguita. Sempre l’ha fatto e sempre lo farà. E, forse, partire fa proprio questo: ti costringe a restare. (“Ricordi d’Irlanda”, Colum McCann, p. 83)
Sono tante le implicazioni e le riflessioni intorno a questi reportage, che ci permettono di ridefinire la nostra idea di un paese che è fatto dalle persone che lo compongono, ma pure – e qui sta forse la rilevanza di questa raccolta – di considerare nuovi punti di vista e possibilità, allenare lo sguardo a cogliere le varie sfumature del reale, allontanarci da facili stereotipi e preconcetti. E tentare di comprendere meglio ciò che questi ultimi anni con la pandemia e la Brexit possono significare per l’Europa tutta.
Riflettere sulla storia e la società di un luogo, riflettere sul sentire di ognuno di noi.
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