Passarono insieme tutti e tre anche il giorno seguente, le due donne si volevano bene (nessuna vuole allontanarsi dal fanciullo neppure un minuto) e diffidavano l'una dell'altra. (p. 91)
In una Roma realistica, di cui riconosciamo strade e quartieri, il 7 maggio del 1900 avviene un fatto straordinario. Nelle primissime righe, Bontempelli ci avverte che ci troviamo in un «racconto strano», e così è. Facciamo subito la conoscenza del piccolo Mario, a tavola con la madre Arianna, il padre Mariano Parigi e l'istitutrice Elena: è il suo compleanno, ma bastano poche battute per capire che il padre, rigido e affettato borghese, non pare credere in lui; viceversa, la madre Arianna è protettiva e affettuosa e l'istitutrice assiste con un certo fastidio alle osservazioni del capofamiglia. Poi, finalmente, la possibilità di una lunga passeggiata: Mario viene lasciato a giocare e quando, poco tempo dopo, la madre lo raggiunge, lo nota «assorto». Immaginate lo sgomento di Arianna, quando lui le chiede di essere riaccompagnato da sua madre. Non c'è modo di far ragionare Mario. Che cosa può essere accaduto? Benché Arianna sia «pallidissima» e le sembri «di essere morta» (p. 21), decide di accontentare la strana richiesta del figlio e lo accompagna in via del Muro nuovo, a Trastevere, ben lontano dal suo agiato quartiere.
Qui, con sgomento, Arianna nota che Mario si introduce in una casa e sembra riconoscere le stanze, la disposizione degli oggetti e dei suoi giocattoli. La governante informa i due che la padrona, Luciana, è lontana, perché da quando sette anni prima esatti le è morto il figlio, non torna mai a casa, se non nel giorno dell'anniversario di morte, che cade proprio il 7 di maggio. Quando Arianna si accorge che una fotografia ritrae un bambino identico a Mario, sviene. Ma questo non è che l'inizio di un percorso sempre più sorprendente, perché, quando Luciana viene avvisata e torna a casa, crede che Mario sia il suo Ramiro, redivivo, tornato da lei dopo sette anni. Non le importa che sia ancora un bambino, anziché essere ormai un quattordicenne; non c'è logica che possa placare la fame d'affetto di una madre che ha vissuto il suo dolore per sette anni. Dall'altra parte, Arianna vuole far rinsavire Mario e convincere Luciana che quello non è Ramiro. Così facendo, i tre si trovano a trascorrere insieme le giornate, studiandosi a vicenda per capire il da farsi. Piuttosto annichilito e in ogni caso assente, Mariano Parigi punta a risolvere la questione legalmente, senza voler indagare su ciò che, in effetti, è inspiegabile.
Quando la notizia trapela, perché alcune persone di Transtevere hanno riconosciuto in "Mario" Ramiro, stampa, scienza e giurisprudenza si interessano alla questione. E qui Bontempelli non manca di intessere con amaro umorismo un quadro sconfortante su come ognuno punti a perseguire i propri interessi, trasformando cinicamente il bambino e le due donne in un caso di cui occuparsi.
Bontempelli sa bene come far crescere la curiosità, portando noi lettori a chiederci come i personaggi riusciranno a risolvere una questione apparentemente senza via d'uscita. La storia proseguirà sulla china del romanzo fantastico? Sceglierà un disvelamento finale? Bontempelli preferirà lasciare tutto aperto e irrisolto? Per rispondere alle nostre domande, occorre accettare, ancora una volta, di sospendere l'incredulità e seguire Bontempelli in una storia che ha dell'incredibile e che ci chiede di abbandonarci all'imprevisto e all'imprevedibile. Enorme punto di forza in questo romanzo adorabilmente bislacco è il quadro sulle due donne: Arianna e Luciana sono antitetiche, sì, ma accomunate da un enorme amore materno per Mario-Ramiro. Disposte a tutto per non rinunciare al proprio figlio, affiancano al desiderio di riaffermare la propria identità di madre una grande compassione per l'altra. Invece, il padre è una figura evanescente, di ben poco carisma (non è un caso, ci fa notare Marinella Mascia Galateria nella prefazione, se il titolo è Il figlio di due madri) e rappresenta quella società alto-borghese piena di fredde aspirazioni di autoaffermazione e di possesso. In tal senso, Mario non è altro che una proprietà da riavere.
In questo romanzo, diverso dalle prove precedenti di Bontempelli, l'autore si misura con la forma lunga e si conquista anche il pubblico meno avvezzo ai racconti fantastici attraverso colpi di scena da «romanzo d'appendice», degni di avvincere anche i frequentatori del romanzo realistico, come scrive lo stesso Bontempelli su 900. Di sicura presa, poi, è la scelta di uno stile cinematografico, svelto nei dialoghi ed estremamente attento alle riprese dell'ambiente circostante: niente avviene per caso, nell'asciuttezza di Bontempelli, che non abbonda nell'impiego di aggettivi ed è estremamente chirurgico nel raccontarci una realtà che sfugge da tutte le parti verso l'impensabile. E così anche in questo volume, il secondo riedito dalla casa editrice Utopia (ci siamo occupati di Gente nel tempo qui), si esplicita la geniale originalità di uno scrittore primonovecentesco da riscoprire assolutamente. Tanta è la gioia nel ritrovare in libreria un altro suo volume, ancora più grande quella di sapere che la casa editrice si occuperà di riproporre tutta la sua produzione.
GMGhioni
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