Il crepuscolo del mondo
di Werner Herzog
trad. Nicoletta Giacon
Feltrinelli, ottobre 2021
pp. 128
€ 14 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Sono affascinato dall’idea che la nostra civiltà sia come un sottile strato di ghiaccio sopra un oceano profondo di caos e tenebre.(W. Herzog, Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita, minimum fax, 2018)
Racconta il regista tedesco Werner Herzog che nel 1997 era a Tokyo per una delle sue regie di teatro d’opera. Il compositore, uomo molto popolare e apprezzato in Giappone, una sera, a cena, gli comunicò, eccitatissimo, che l’imperatore aveva espresso il desiderio di incontrarlo.
Improvvidamente, Herzog rispose che non avrebbe saputo proprio di cosa parlare con lui, una battuta che equivaleva a un rifiuto, per la rigida e formale sensibilità giapponese. Mentre cadeva un silenzio pieno d’imbarazzo, qualcuno gli chiese chi allora avrebbe voluto incontrare e Herzog rispose Hiroo Onoda.
Al di là del tono epicheggiante dell’aneddoto - Werner Herzog ha saputo creare intorno a sé un immaginario fatto della stessa materia di cui sono fatti i suoi film - questo soldato giapponese rimasto a difendere una remota isola dell’arcipelago delle Filippine per molti anni dopo la resa del Giappone agli Stati Uniti, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è un personaggio che siede benissimo accanto al soldato Stroszek di Segni di vita, a Fitzcarraldo, Aguirre, Woyzeck. Uomini accerchiati da un nemico che forse non esiste e che restano soli con la loro ossessione.
Non stupisce dunque che a questo incontro e a questa storia il quasi ottantenne Herzog abbia voluto dedicare il suo ultimo libro, Il crepuscolo del mondo, appena tradotto da Nicoletta Giacon e pubblicato da Feltrinelli.
Può sembrare una banalità dirlo, ma Herzog scrive benissimo. Anche le sceneggiature dei suoi film sono costruite come fossero libri, lasciando agli attori (o a coloro che sceglie in quel momento di usare come attori, non necessariamente professionisti) l’onere e l’onore di far vivere il personaggio.
E anche Il crepuscolo del mondo è scritto talmente bene che il lettore riesce a vedere non soltanto la foresta, le uniformi sempre più malconce dei soldati, il tormento degli insetti e la paura delle notti, le armi che si arrugginiscono per l’umidità, le incursioni nei campi per procacciarsi cibo e munizioni ma anche le emozioni e i sentimenti, soprattutto quelli contrastanti, di un giovane tenente giapponese che sente passare il tempo chiedendosi cosa stia davvero accadendo.
Il libro parte dalla fine, febbraio 1974, quando Onoda sorprende nella notte un giovane viaggiatore che scambia per un agente americano. Il ragazzo è il primo a incrinare seriamente la sua convinzione che la guerra sia ancora in atto. Nonostante dall’esercito abbiano provato in ogni modo a fargli arrivare notizie della resa del Giappone, lui ha sempre interpretato queste informazioni come tentativi di depistaggio.
Ogni tanto, è vero, si è chiesto “Ma la guerra sogna se stessa? Può essere che io stia solo sognando questa guerra?”
Ma si è sempre risposto che questo è il suo posto, il suo dovere è resistere a un nemico tanto invisibile quanto ben presente nel senso dell’onore di un samurai e difendere l'avamposto che diventerà un luogo chiave per la riconquista delle Filippine.
Deve solo aspettare, mimetizzarsi nella natura come gli animali predatori, in attesa del momento giusto per attaccare.
E quegli aerei che vede volare nel cielo (che sono gli aerei americani che invadono prima la Corea, negli anni ‘50 e poi il Vietnam, ma questo lui non può saperlo) sono il segno inequivocabile che i combattimenti stiano andando avanti.
In effetti una qualche guerra che va avanti c’è - ci sarà sempre, verrebbe da dire - ma non è più la sua, quella per cui pensa di combattere.
La guerra di Onoda è irrilevante per l’universo, per il destino dei popoli, per il corso della guerra. La guerra di Onoda è l’unione di un nulla immaginario e di un sogno, ma questa guerra, così generata dal nulla, è un evento travolgente, strappato con forza all’eternità.
La parte centrale del libro è un lungo flashback che ci racconta gli anni dal dicembre 1944 alla fine del 1972, con salti temporali che cuciono, proprio come sequenze di un film, l’ennesima storia di un donchisciottesco “conquistatore dell’inutile”.
Fino ad arrivare al 9 marzo del 1974, all’incontro di Onoda - orchestrato dal giovane viaggiatore - con l’unica persona che può revocare l’ordine al quale sta obbedendo, perché è quello che glielo ha dato: il suo comandante, maggiore Taniguchi.
“Tenente, la vostra guerra è finita.”
“Signor maggiore, dentro di me infuria una tempesta.”
“Rompa le righe, tenente” dice Taniguchi. “Per pura formalità, devo aggiungere che l’ordine entra in vigore oggi, 9 marzo 1974, alle ore 08.00.”
Onoda si accascia “come se una bastonata lo avesse colpito dietro al ginocchio” e sconcertato riesce a dire solo :“Se oggi è il 9 marzo, allora sono indietro di cinque giorni sul mio calendario”.
Ma è indietro di ventinove anni, è la replica del maggiore.
A partire dal titolo, e anche dalla bella veste grafica scelta per la pubblicazione, questo libro di Herzog è affascinante esattamente come ci si aspetta. Una scrittura scarna, che non concede altro che l’essenziale al racconto, ma che in poco più di cento pagine riesce a creare una narrazione potentissima.
E non delude né chi sa di potersi fidare della straordinaria capacità del suo autore, né chi decida - pur non avendo visto o letto nulla di suo (siete pazzi però, non sapete cosa vi state perdendo) - di immergersi per la prima volta in queste pagine.
Con un interrogativo, che sembra restare sospeso: quanto di Hiroo Onoda c'è in ognuno di noi? E, soprattutto, chi può sancire il senso legittimo di una battaglia?
Se dopo aver visto Fitzcarraldo hai il coraggio di portare avanti i tuoi progetti, allora il film ha davvero centrato il suo obiettivo. Se trovo una persona che, uscendo dal cinema dopo aver visto un mio film insieme ad altri trecento spettatori, non si sente più sola, allora ho ottenuto tutto ciò che mi sono prefisso.
Giulia Marziali