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Incontrerai molte maschere e... altrettanti autori: Patrizia Foglia e Patrizia Albé tracciano un itinerario visivo della Commedia dell'Arte nella grafica tra Seicento e Novecento

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Maschere.
Dalla Commedia dell’Arte personaggi e costumi nella grafica tra Seicento e Novecento

di Patrizia Foglia e Patrizia Albé
Nomos Edizioni, 2021

pp. 270
€ 59,00 (cartaceo)

Se un Arlecchino a Natale vi sembra fuori luogo, sappiate che siete in torto. Prima di tutto perché, anche rispettando alla lettera le ricorrenze del calendario, eventuali Babbi (e Befane) non verrebbero giammai respinti a una festa di Carnevale. In secondo luogo perché la maschera più amata e popolare della tradizione non conosce stagioni, e con lei tutte le colleghe e comprimarie: ciascuna di loro – con tutto ciò che rappresenta e a cui rimanda in senso concreto e simbolico – ha difatti, fin dalla sua origine, il dono dell’eternità e dell’universalità, e come tale non ha bisogno di particolari appuntamenti per giustificare la propria presenza. Proprio nella consapevolezza di come il mascheramento abbia accompagnato da sempre la storia degli esseri umani, la casa editrice Nomos ha appena dato alle stampe un bellissimo volume a tema, il cui focus sulla Commedia dell’Arte (prima e dopo la riforma goldoniana) porta implicitamente con sé l’invito a un’interpretazione filosofica della vita, qualunque siano i drammi che quotidianamente vi si compiono. Vietato dunque, e specialmente in questi tempi di obbligato nascondimento del viso, lasciarsi indispettire o immalinconire dal titolo (Maschere, per l’appunto), fraintendendolo sulla base delle contingenze. Molto meglio farsi conquistare dal sagomato in copertina, riproduzione di un cartamodello d’epoca da ritagliare, incollare su supporto rigido e rimontare insieme con l’aiuto del filo: come si vede, pur messo a dura prova da uno smembramento in sette parti, il personaggio non perde né il sorriso divertito né lo sguardo fiducioso, quello di chi già si vede di nuovo tutto intero e pronto all’azione.

Opera di Patrizia Foglia e Patrizia Albé (quest’ultima, come si apprende, venuta purtroppo a mancare prima della conclusione del progetto editoriale), questo importante volume adotta un taglio critico ben preciso: la fortuna grafica – in ambito prevalentemente italiano, ma anche europeo – dei personaggi del teatro in maschera dal Seicento al Novecento, ovvero la storia della rappresentazione a mezzo stampa dei tipi codificati nel XVI secolo e poi evolutisi nel corso del tempo in base ai contesti, ai gusti, agli stili, alle mode commerciali e agli accadimenti coevi. Articolato in dieci capitoli – considerando il primo, Arlecchino non muore mai, come una sorta di introduzione generale –  il lavoro delle autrici fa esplicitamente convivere il rigore scientifico con la fascinazione per l’oggetto di studio:

«anche noi (…)», scrivono, a conclusione del preambolo, in una prima persona plurale che vuole includere i lettori, «assistiamo allo spettacolo dell’Arte e dei suoi protagonisti, alle tante mascherate (…), ci lasciamo incantare dalla piacevolezza dei giochi di carta e sedurre dai manifesti pubblicitari, oppure condividiamo la critica ironica o sarcastica contro costumi, cattiva politica e prevaricazioni in questo variopinto viaggio attraverso le immagini» (p. 25).

Esplorabile in un’infinità di direzioni, il territorio delle “identità nascoste” è di quelli che può far perdere la bussola ai suoi pellegrini anche quando, come in questo caso, se ne vuole tracciare un itinerario dal punto di vista più prettamente grafico. Proprio per questo, oltre ad avere fissato degli estremi cronologici precisi, le autrici hanno scandito la trattazione in modo tale da offrire volta per volta un approfondimento e un punto di osservazione mirato, nel rispetto di una rigorosa contestualizzazione delle fonti: dalle più elitarie, sofisticate e pregiate a quelle più popolari, in serie e di consumo; dal magistero delle incisioni di Jacques Callot (1592-1635) al manifesto in litografia a colori del film Pagliacci (1915) di Francesco Bertolini, realizzato da Leopoldo Metlicovitz. Così, per esempio, il primo capitolo è tutto dedicato alla raffigurazione di tipi, costumi e personaggi, ed ecco dunque le possibili versioni grafiche degli Zanni, di Arlecchino, di Brighella, di Pantalone detto anche il Magnifico, di Pulcinella, di Pierrot e del Capitano (senza dimenticare le altre maschere francesi e le tipologie femminili). Il capitolo immediatamente successivo illustra invece ciò che c’è sotto le maschere e dietro i sipari, ovvero i cosiddetti “volti dell’Arte”, e cioè i ritratti degli attori e degli autori in carne e ossa che hanno legato la loro fama a un’interpretazione o a un copione, dando vita, non di rado, a un vero e proprio gioco di specchi e di ruoli (come nel caso del mimo Jean-Baptiste Deburau e del suo Pierrot). Più avanti ancora, ecco che la prospettiva comincia a farsi più ampia, e dalla focalizzazione sul singolo ruolo e sul singolo individuo si passa alle scene d’insieme, atte a mostrare i luoghi di un’azione concepita per contesti teatrali di piazza e di fiera (quelli in cui venivano storicamente messi in scena gli spettacoli a inizio Settecento) ma anche, nel caso dei libri che raccoglievano più opere di uno stesso autore, per introdurre (frontespizio) o illustrare (immagini interne) i contenuti e i momenti delle commedie stesse (si pensi, su tutte, alle opere di Carlo Goldoni).

Procedendo ancora oltre, il discorso si fa progressivamente meno referenziale, per far entrare in gioco le valenze simboliche e metaforiche dei personaggi e delle situazioni comiche, esaltandone gli aspetti più vitalistici e carismatici: è qui che le maschere, le loro attitudini e il loro momento annuale di massima espressione (il Carnevale, esempio emblematico di un mondo “alla rovescia”) vengono mostrate all’apice del ruolo sovversivo e dissacratore che più gli si addice, ed è sempre qui, in queste atmosfere di socialità tanto mondana quanto equivoca, che la prassi del mascheramento si esplicita in una molteplicità di occasioni, circostanze e accezioni di “svago”. Godibilissimi e ad alto tasso di nostalgia sono, infine, i capitoli conclusivi, testimonianza di tempi relativamente più recenti in cui le maschere (Pantalone in primis) vengono valorizzate dalla stampa satirica e umoristica per le loro potenzialità di critica politica, sociale e culturale (impossibile non pensare ai precedenti artistici di Francisco Goya e William Hogarth), oppure diventano presenze fisse sulle copertine, negli indici, nelle strisce a fumetti delle riviste per l’infanzia oltre che nei manifesti pubblicitari, nelle réclame commerciali, nelle locandine cinematografiche e in vari gadget cartacei per bambini (come i segnalibri e le tavole con le carte da gioco e i personaggi da ritagliare) e nondimeno per adulti (si pensi alle celeberrime figurine Liebig, agli almanacchi e ai calendari).   

Libro che si apprezza per il valore storico e simbolico del suo argomento, questo di Patrizia Foglia e Patrizia Albé soddisferà senza dubbio almeno due tipologie di pubblico: gli appassionati e gli studiosi di teatro e storia del teatro da una parte, quelli di arte e storia dell’arte dall’altra; soprattutto, esso è un autentico parco di divertimenti per i patiti delle tecniche di stampa, data la  quantità e varietà di tipologie esemplari presenti in volume (tavole acquerellate, incisioni, acqueforti, silografie, litografie, cromolitografie, riproduzioni tipo-litografiche…). Anche in virtù degli apparati molto accurati, posti in coda e comprensivi di note, bibliografia, indice dei nomi e crediti iconografici, quello pubblicato da Nomos si presta certamente a una consultazione di tipo specialistico, sebbene la grande popolarità del tema e la transitività dello stile con cui viene trattato lo rendano molto gradevole a prescindere da finalità di tipo accademico. In più, come spesso accade con i testi che riguardano le arti visive e performative, anche questo lavoro, in qualche modo, reca in sé l’invito implicito a una fruizione dal vivo di ciò che ne è l’oggetto (e ovviamente nei modi, nei luoghi e nei tempi al momento consentiti): se le autrici hanno ricordato al lettore la fortuna “bidimensionale” delle maschere, è noto come la vita più autentica di queste ultime – attori, burattini o marionette – sia pur sempre quella di scena. Bello da leggere fino all’ultima didascalia ma bello anche solo da sfogliare per godere delle tavole a colori e in bianco e nero, Maschere è il libro giusto soprattutto “per chi ci crede”: per chi, alla fine di ogni spettacolo vissuto da interprete o da spettatore, assiste alla chiusura del sipario ben sapendo che l’esistenza in sé è già pronta ad aprire nuovamente il suo.

Cecilia Mariani