I Greenwood di Michael Christie traduzione di Fabio Zucchella Marsilio, 2021
pp. 592
€ 21 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Se si è poveri si impara presto che l’integrità è veramente un lusso. (p. 32)
I Greenwood, il secondo romanzo dell’autore canadese Michael Christie, è uno di quei libri la cui lettura porta a chiedersi quale sia stata la storia editoriale del manoscritto, vale a dire: come il manoscritto sia giunto in redazione, quale lavoro di editing l’abbia visto coinvolto, quanti tagli e quali aggiustamenti abbia subito.
La curiosità non nasce per mero interesse personale o per una morbosa curiosità libresca, bensì a causa della struttura stessa del testo, o meglio: a causa dello spazio dedicato ai vari momenti della narrazione e alla “promessa infranta” che in qualche modo l’incipit si porta dietro.
Ma facciamo un passo indietro (spoiler free): siamo nel 2038, in un mondo infestato dalla siccità causata dai disboscamenti dissennati. Jacinda “Jake” Greenwood lavora come guida turistica su Greenwood Island, un’isola/riserva naturale/santuario/villaggio turistico il cui accesso è riservato alle persone benestanti, mentre ai poveri e ai derelitti è concesso di vivere solo altrove, là dove la polvere entra nei polmoni e fa tossire le persone fino a spaccar loro le costole. Per il pianeta sembra non esserci nulla da fare, come se l’umanità avesse superato quel punto di non ritorno di cui spesso si sente parlare nelle convention ambientaliste. Qui a prevalere sono i temi ecologisti, ben trattati e in grado di far empatizzare il lettore. Inoltre questo futuro distopico non è stato creato tramite apocalissi o guerre nucleari, tecnica largamente usata nella narrativa contemporanea, e questo è un punto a favore dell’autore.
Sul più bello però veniamo trascinati indietro. Prima nel 2008, dove troviamo il padre di Jacinda, Liam, intento a riprendersi da una caduta rovinosa durante un lavoro di falegnameria, dopo la quale, immobilizzato, può solo perdersi nei meandri della memoria; poi andiamo nel 1974, e qui la protagonista è Willow Greenwood, madre di Liam e nonna di Jacinda, intenta a ripulire il mondo dai disboscatori attraverso il sabotaggio dei macchinari industriali; ancora, andiamo nel 1934, a cavallo delle due guerre mondiali, dove scopriamo il passato di Willow e conosciamo i fondatori della casata Greenwood, il facoltoso Harris e il disperato Everett; infine, andando al centro del nucleo, arriviamo nel 1908, anno in cui i due fratelli vengono ritrovati dopo un incidente ferroviario e cresciuti a "pane e alberi". Da qui, veniamo catapultati in avanti, di nuovo nel 1934, poi nel 1974, nel 2008 e infine al presente/futuro, passando per degli “oggetti di scena” ricorrenti, alcuni leit-motiv e scoprendo il destino dei personaggi incontrati finora. La struttura, molto peculiare, è azzeccata perché, facendo largo uso di flashback, cliffhanger e altri strumenti narrativi che Christie adopera con ragione, consente all’autore di creare una storia articolata, complessa, mai banale (soprattutto grazie ai diversi periodi storici) e che stimola nel lettore una curiosità spasmodica per la quale alla fine si vuole sapere dove tutto andrà a parare.
Solo che, quando in effetti si giunge al presente/futuro, là dove tutto è iniziato e dove tutto presumibilmente deve finire, ciò che c’è stato sembra svanire nel nulla. Ciò che d’importante si era manifestato – alcuni “oggetti di scena” in particolare – sembrano quasi ricoprire un mero ruolo di McGuffin proprio laddove invece avrebbero dovuto essere fondamentali. Il risultato è un finale tronco e insoddisfacente, soprattutto dopo il lungo viaggio compiuto per arrivarci: ben 130 anni, 600 pagine e quattro generazioni di Greenwood!
Ci siamo chiesti quale sia stato il motivo di questo mancato finale, e la risposta che abbiamo trovato è nello spazio dedicato ai vari anni. Li riportiamo: il 2038 occupa 92 pagine, il 2008 68, il 1974 solo 59, mentre al 1908 l'autore ne ha destinate ben 44. Il 1934 invece, che vede protagonisti Harris ed Everett e, a ben vedere, è una sorta di thriller il cui tema principale è l’inseguimento, è spalmato su 287 pagine. Sommando le pagine dedicate agli altri anni, ne abbiamo 263. Il che vuol dire che l’anno 1934 occupa più della metà del testo e, in definitiva, a quel singolo anno sono dedicate più pagine rispetto a tutti gli altri messi assieme.
La scelta è curiosa, perché mentre di Harris, Everett e gli altri personaggi, anche secondari, che appaiono nel 1934 veniamo a sapere tutto e siamo così in grado di avere una panoramica completa delle loro vite e delle loro vicende, tutti gli altri – Willow, Liam, Jacinda –, che pure sarebbero fondamentali per comprendere la storia e avere quel senso di saga familiare che probabilmente era nelle intenzioni dell’autore, risultano delle bozze, degli schizzi incompleti. Le stesse trame che vengono sviluppate nei loro capitoli non sembrano sfociare in nulla di conclusivo. Il finale di Jacinda non è neanche un vero finale. Per dare l’idea del problema: alcuni personaggi secondari e, in fin dei conti, irrilevanti per il presente/futuro, sono costruiti meglio dei protagonisti degli altri anni.
Al netto dunque di una capacità di scrittura notevole e dell’aver strutturato un romanzo comunque solido e che si fa leggere benissimo dall’inizio alla fine, con un impianto forte e stabile, Christie ha probabilmente affossato la sua opera distribuendo male lo spazio a disposizione. A nostro avviso questo libro avrebbe dovuto essere lungo il doppio, così da garantire una completa conoscenza della famiglia Greenwood; cosa che, dopo circa 600 pagine, sarebbe stata una più che giusta ricompensa.
David Valentini
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