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Quando la Storia ci colpisce: la tenera storia di Eržan in “La fiaba nucleare dell’uomo bambino”

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La fiaba nucleare dell'uomo bambino
di Hamid Ismailov
Utopia editore, 2 dicembre 2021

Traduzione di Nadia Cigognini

p. 118
€ 17 (cartaceo)
€ 9.99 (ebook)

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Tutto sembra normale: due persone s’incontrano in un vagone del treno e iniziano a parlare. Iniziano a raccontarsi la propria vita, ma quello che sentiremo non ha niente di normale, anzi, ci trasporta in una storia triste, drammatica e malinconica.

Un viaggiatore e un bambino si conoscono, ma quello che appare un undicenne, in realtà è un uomo adulto, un ragazzo cui la vita ha risparmiato ben poco ed è così che conosciamo il protagonista di questa fiaba. Si chiama Eržan e vive in una stazione di transito, circondato dalla steppa, con la sua numerosa famiglia: i nonni materni e paterni, gli zii, i cugini e la madre. 

Accompagniamo Eržan fin dalla nascita e scopriamo che non è il frutto dell’amore, ma quello di una violenza talmente brutale che la madre perderà per sempre l’uso della parola, nascondendo il suo dolore dietro a un eloquente mutismo. Cresce così in un piccolo villaggio; la sua vita è scandita da riti magici, leggende, fiabe, dall’educazione rigida del nonno e dall’amicizia per la vicina di casa, una bambina che ben presto lo farà innamorare.

Un’infanzia normale e serena che gli permette di scoprire il suo amore per la musica, quando il nonno gli regala una dombra, uno strumento musicale a corde, e lo zio poi un violino. Così Eržan trova la sua pace; con il potere della musica esprime se stesso e rallegra la sua famiglia. L’amore per le note è talmente forte che riuscirà a diventare un fuoriclasse, arrivando a suonare davanti a tutta la scuola.

Non tutto è perfetto però, a rovinare la loro vita sono una serie di esplosioni che di tanto in tanto sconvolgono il piccolo villaggio. Un’ombra nera si addensa infatti su di loro e arriva dal centro della steppa: la zona.

La zona è una parte del territorio nella quale si svolgono esperimenti nucleari dell’Unione Sovietica nel clima della Guerra Fredda, quando con gli Stati Uniti si contendevano la supremazia e così questi esperimenti servono, per usare le parole dello zio di Eržan, “[…] a raggiungere l’America” (p. 41). È  in questo clima che si sono svolti tali tentativi, ma la famiglia di Eržan questo non lo sa e non sa nemmeno che conseguenze possono avere sulla loro salute.

È proprio durante una gita che accade un evento quanto banale quanto disastroso: Eržan nella sua ingenuità di bambino si tuffa nel Lago Morto, nato dopo una delle esplosioni. L’acqua cristallina e quel color smeraldo lo invitano a buttarsi, ma la bellezza del lago nasconde dentro una tremenda natura di scorie nucleari che gli sconvolgerà la vita per sempre.

Quando tutti iniziano a crescere, lui rimane lì fermo a quell’altezza, immobilizzato nel momento del tuffo. Non capisce il motivo né lui né la sua famiglia che prova ogni tipo di mezzo a farlo crescere, anche con modi brutali, come quando il nonno lo lega dietro il cavallo e lo trascina per le strade del villaggio con la speranza di allungargli le ossa. Oppure quando lo zio gli lega le mani e i piedi alle sponde del letto per farlo crescere, ma questo non accade, Eržan rimane immobile, senza crescere di un millimetro. E così con il nonno va in ospedale e alla fine gli confermano che la sua crescita si è arrestata.

Ed è così che a Eržan crolla il mondo addosso, quel mondo che aveva amato e che adesso per lui non ha più senso. A scuola i compagni crescono, in famiglia nessuno se lo domanda più perché non cresce e così Eržan si trova isolato ad affrontare un problema che non ha soluzione, la rabbia aumenta dentro di lui e lo spinge a trovare i colpevoli di questo:

A chi importava di lui? Tutti non facevano che fingere, specialmente le nonne, per non parlare degli altri… Al nonno interessava soltanto che i suoi scambi ferroviari fossero ben lubrificati; per non parlare di Šaken, con il suo lavoro di sorveglianza in quel sito dove cercavano di raggiungere e sorpassare l’America. O di Kepec che stava con Ajsulu in groppa al suo asino! Eržan era l’unico a non occupare alcuno spazio nelle loro vite, a lui non era destinato alcun posto (p. 74)  

Questo romanzo breve quanto intenso ci obbliga a riflettere su precise domande: è mai possibile che la volontà di pochi influenzi la vita di tanti? È mai possibile che le loro decisioni cambino la vita di povere persone per sempre? La storia di Eržan ci mostra questo. E ancora, ci chiediamo: cosa accadde quando il corpo si ferma ma la mente e i pensieri diventano quelli di un adulto? Accadde alla mente quello che è successo al corpo?

Hamid Ismailov, con insuperabile maestria, racconta la violenza della Storia attraverso la tenera vita di Eržan. La delicatezza dell’autore attraverso le fiabe e le leggende non fa mai provare pena al lettore per il protagonista e non sminuisce mai il suo dolore, ma riesce a scatenare un senso di rivalsa che pochi autori sono riusciti a trasmettere. Restiamo così sbalorditi dalla storia di Eržan che non possiamo non fare a meno di ascoltare, come quel viaggiatore sul treno.

 Giada Marzocchi