Questo serpente assassino non si muoverà finché non ne sentirà il bisogno. È un rettile astuto e forte. [...] È acciambellato da qualche parte, occupato a digerire serenamente, aspettando il momento di tornare a farsi vedere quando la tempesta si sarà calmata. (p. 104)
Immaginate una signora ultrasessantenne rallentata dal suo notevole sovrappeso; sta guidando da ore verso Parigi ed è molto stanca. Di tanto in tanto parla con il suo dalmata, Ludo, che riconosce bene l'umore della sua padrona dal suo tono di voce. Poi, finalmente, i due accostano. La donna scende, incrocia un uomo di bell'aspetto che sta facendo passeggiare il suo bassotto. Lui le sorride. E lei gli spara con un'arma di grosso calibro. Ebbene sì, avete capito bene: un colpo al bassoventre e l'altro alla gola, quindi uccide anche il cagnolino, che avrebbe sofferto troppo senza il padrone. Poi, come se niente fosse, la donna sale in macchina e riparte.
È all'insegna del colpo di scena l'inizio di Il serpente maiuscolo, il primo noir che Pierre Lemaitre ha scritto nel 1985, ma che pubblica solo adesso, come addio al genere giallo e noir, che l'autore non intende più frequentare. Come Lemaitre spiega nella prefazione, rileggendo il manoscritto si è accorto che in questo suo primo romanzo ci sono in nuce molti temi, luoghi e personaggi che avrebbe ripreso successivamente nella sua produzione e, pur con qualche difetto, Il serpente maiuscolo ha una sua forza. E viene da confermarlo, dopo aver terminato la lettura, con tante scene forti ancora davanti agli occhi. Come avrete capito dalla scena che vi ho riassunto in apertura, la protagonista, Mathilde, è un'insospettabile: madre di famiglia, un passato brillante nella Resistenza, una casa in campagna dove vive col suo cane, molta solitudine,... Insomma, parrebbe una donna inoffensiva, a non sapere che tiene armi nascoste ovunque, nei cassetti della cucina ma anche nell'orologio a cucù, e perlopiù armi di grosso calibro perfettamente oliate e senza la sicura, perché le piacciono così. Sono armi che non perdonano. Come lei, d'altra parte.
Mathilde non è una donna da seconde possibilità: chi la incrocia e pensa ingenuamente di sbarrare la strada a una signora di una certa età viene eliminato, che sia delle forze dell'ordine o meno. È questa sua determinazione, unita a un freddo cinismo e a una propensione per la crudeltà, ad aver fatto di lei un'assassina su commissione straordinaria. Il mandante di Mathilde, il comandante Henry, rivedendo le vecchie foto del loro passato nella Resistenza, «avverte come non mai la sensualità che sprigiona la sua bellezza e l'attrazione che scatena la crudeltà di cui sa essere capace» (p. 160) e ancora le affida missioni delicate, che richiedono la massima discrezione.
Ma che cosa può capitare, quando una donna come Mathilde rischia di diventare una scheggia impazzita? Lei, che è sempre stata infallibile, inizia ad avere qualche problema di memoria e a essere meno fredda e razionale. Qualche esempio? Non sempre si disfa delle armi dopo la missione (per pigrizia o perché troppo legata alla pistola di turno). Insieme al bersaglio designato, qualcun altro ci va di mezzo. Un vicino astioso rischia di diventare la sua prossima vittima, pur sapendo che questo significherebbe attirare l'attenzione del circondario. Il poliziotto che si interessa degli omicidi che stanno accadendo va assolutamente eliminato, a costo di sorvegliarlo per giorni interi e di ucciderlo davanti a un testimone. E così via, potremmo proseguire a lungo, perché Il serpente maiuscolo è costruito in un crescendo di brutalità e di crimini, tutti raccontati dal punto di vista sconcertante di Mathilde. La donna sa sempre come nascondere la sua ansia e la paura, anche quando le forze dell'ordine sono a un passo dall'incastrarla. Siamo noi lettori, semmai, ad avvertire tutta la suspense suscitata dalle circostanze e a chiederci come, ancora una volta, Mathilde uscirà da una situazione pericolosissima.
A parte il suo invecchiamento, con cui deve fare i conti, ma da cui non viene mai schiacciata, Mathilde ha due grandi punti deboli: la sua passione per i cani e il suo amore per il comandante Henri. Ed Henri è proprio come i cani di Mathilde: da un lato le è affezionato, dall'altro la teme, perché sa bene di che cosa è capace quella donna. Ecco perché lui stesso si trova ad adottare varie misure di sicurezza: non si sa mai che cosa potrebbe accadergli, se Mathilde, sentendosi minacciata, gli si mettesse contro: «Il comandante non è tranquillo, nel suo mestiere la tranquillità è un biglietto per il cimitero, ma è anche sereno come lo è chi ha cercato di prepararsi a ogni eventualità» (p. 202).
A tratti crudo e crudele, eppure macabramente intrigante, Il serpente maiuscolo ha per protagonista un'assassina tanto metodica sulla scena del crimine come lo è quando pulisce la sua casa, tanto accudente verso i suoi cani quanto senza scrupoli verso gli obiettivi della missione. In questo cortocircuito, che trapela a cominciare dal contrasto tra aspetto fisico e caratteriale, si dipana un romanzo che non ha forse sempre lo stesso ritmo narrativo, ma che poi, quando lo trova (già prima della metà), accelera portando noi lettori in un universo distorto, raccontato con una spietata efficacia, perché con difficoltà vorremo lasciare la pagina.
GMGhioni
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