I dettagli perfetti della cucina “di famiglia” che nutre il Palazzo del Quirinale:
cronaca di una visita
Immaginate di essere uno straniero in visita in Italia, ospite di un italiano che gli apre le porte della sua casa. Cosa vi aspettereste di trovare a darvi il benvenuto? Del buon cibo, certo, un buon calice di vino, sicuramente. Ma c’è una parola che è sinonimo di italianità in tutto il mondo: l’accoglienza. Immaginate adesso di trasferire la gestualità semplice di un incontro tra persone comuni ai piani più alti della società civica del mondo, quella della politica e della diplomazia. Vi ritroverete così immersi nella stessa dimensione in cui mi sono trovata io durante lo splendido tour al Palazzo del Quirinale organizzato il 2 dicembre in occasione della pubblicazione del volume Tutti i piatti dei Presidenti di Lorenza Scalisi, edizioni L’Ippocampo (che la mia collega Cecilia Mariani ha recensito qui). Un pomeriggio trascorso all’insegna dell’orgoglio e dello stupore.
“Sono i dettagli a fare la differenza”, ha detto in un intercalare Domenico Santamaria (Food &Beverage Manager), che ci ha fatto da cicerone insieme a Martino Merigo (Ufficio Stampa del Palazzo del Quirinale) lungo tutte le tappe di questa visita, guidando un contingente un po’ particolare ma che ha camminato sugli stessi passi percorsi dagli ospiti ufficiali del nostro Presidente della Repubblica. In un Palazzo del Quirinale inedito perché abbellito da pezzi di arte contemporanea e di
design, affinché la residenza esca dalla sua tradizionale immagine di tempio della politica o di museo congelato in un’epoca lontana, iniziamo la visita negli Appartamenti imperiali: in queste stanze, fino al Presidente Giorgio Napolitano, potevano dormire gli ospiti stranieri in visita nella Capitale per più giornate, e nel letto a baldacchino che abbiamo visto per primo ha infatti dormito anche la regina Elisabetta. La casa reale inglese torna anche nella sala attigua: la grande poltrona appoggiata al muro è stata ribattezzata dagli addetti ai lavori “la sedia di Carlo”, poiché si dice che il principino Carlo treenne fece proprio lì un pisolino in assenza di un letto adeguato alla sua età.
Continuando a passeggiare tra i corridoi, ci viene spiegato che il rituale di accoglienza e la relativa etichetta con cui Santamaria e la brigata di cucina capitanata da Chef Fabrizio Boca (che incontreremo di lì a poco) cambia in base alla tipologia di visita che il contingente straniero compie al Quirinale: in ordine di importanza troviamo la Visita di cortesia, la Visita Ufficiale e la Visita di Stato, quella che noi stiamo mimando serpeggiando tra drappi e corridoi. Dopo l’arrivo nel Cortile d'Onore del contingente ospite con i relativi onori militari, la delegazione si sposta nella Sala del Brustolon (dal nome di un ebanista del barocco veneziano), dove avviene il tradizionale scambio di doni. Potrebbe sembrare l’aperitivo che bagna questo incontro il primo vero impegno del personale addetto all’accoglienza e al ricevimento: in realtà tutto il personale di Domenico Santamaria, per l’occasione in livrea rossa, è sempre e silenziosamente presente in ogni momento della giornata. Sta al fianco degli ospiti in maniera discreta ma pronta a reagire al primo segnale di necessità, anche fosse quello di un semplice bicchiere d’acqua o di un tovagliolo con cui detergere il sudore (di nuovo: “Sono i dettagli a fare la differenza”).
Il Salone dei Corazzieri è la tappa successiva della visita delle delegazioni e degli invitati: è infatti prassi che il Presidente della Repubblica inviti in questa occasione personalità dell’arte, della cultura, della società civica, dello sport e della diplomazia a partecipare al pranzo di Stato (che ha questo nome anche nel caso si tratti di una cena). Proprio nella Sala dei Corazzieri avviene la presentazione di ogni singolo ospite: questo, dopo aver ricevuto il saluto, sfilerà lungo la Galleria dei Busti dove riceverà il saluto dei Corazzieri in alta uniforme. Camminiamo anche noi lungo il Salone dei Busti, e passo dopo passo arriviamo fino al centro nevralgico del pranzo di Stato: il Salone delle Feste. Si dice che questo Salone, insieme all’attigua Sala degli Specchi, ospitasse il tappeto più grande d’Europa, ma poco importa. Da qualche tempo il tappeto è stato rimosso per lasciare spazio a un maestoso pavimento in legno. Ancora più chiara, allora, la funzione originaria dell’enorme stanza: la sala da ballo del Palazzo, con in alto la loggia che ospitava l’orchestra. Sembra di udire le note di valzer ritmati e di vedere orli di gonne volteggianti; oggi è forse uno dei luoghi più conosciuti della politica italiana, dato che è la stanza dove presta giuramento ogni nuovo Governo.
In occasione di un Pranzo di Stato è in grado di ospitare 124 ospiti con il tavolo disposto a ferro di cavallo, estesi a 160 con l’aggiunta di un dente centrale. Il Presidente della Repubblica siede sul lato corto del ferro di cavallo, accanto a lui gli ospiti stranieri e lungo gli altri bracci tutti gli altri ospiti a seguire. Tutti i commensali vengono serviti allo stesso momento: torna allora la danza che il Salone ospitava, ma questa volta è ballata da personale in livrea rossa che si muove con grazia in perfetta sincronia. Com’è possibile? Santamaria ci spiega che come ogni spettacolo che si rispetti, anche loro fanno delle prove nei giorni precedenti l’evento, soprattutto per coordinare gli spostamenti da e verso la cucina mobile allestita nella Sala degli Specchi. Sì, perché se la cucina del Palazzo, la Cucina Grande che visiteremo di lì a poco, si trova al piano seminterrato, il Salone delle Feste si trova al secondo piano dell’edificio: ecco allora che nella Sala degli Specchi vengono trasferiti sofisticatissimi macchinari e lampade in grado di mantenere la temperatura ideale di pietanze preparate tempo prima nella cucina fissa, trasportate fin lì e solo al momento necessario impiattate e ultimate per debuttare sulla tavola del pranzo. “Nessuno si è mai accorto che i piatti non sono preparati in maniera espressa”, e noi ci crediamo davvero, solo a sentir parlare della meticolosa attenzione con cui ogni gesto viene compiuto. Anche oggi, in un’epoca complicata per gli eventi e la convivialità a causa della pandemia da Covid-19: il servizio alla francese è stato sostituito da quello all’italiana, dove cioè ogni ospite riceve il suo piatto coperto da una cloche. Una fatica per il personale, certo, ma immaginate l’eleganza del momento in cui tutte le cloches vengono alzate contemporaneamente sotto gli occhi attoniti degli ospiti: una vera danza, un’espressione di quella ospitalità all’italiana che tutti gli stranieri si aspettano.
Siamo così al pranzo vero e proprio, di durata non superiore di quarantacinque minuti (non si può infatti trascorrere più di questo lasso di tempo dovendo parlare solo con chi sta alla propria destra e alla propria sinistra dato che chi siede di fronte si trova a centoventicinque centimetri di distanza) e di tre portate: un primo, un secondo con contorno e un dessert. Il menù tiene presente delle richieste e delle esigenze degli ospiti di Stato, e spesso, infatti, le ambasciate mandano schede informative per dire chi mangia cosa. Il primo pensiero va comunque al palato dell’ospite d’onore: è lui che deve essere soddisfatto, per gli altri si troveranno tutti gli adeguamenti del caso. Finito il pasto si torna al Salone dei Corazzieri, dove finalmente si può iniziare a intavolare una conversazione più articolata e dove vengono serviti caffè, liquori e cioccolatini.
Anche per noi è venuto il momento del dialogo, e prima di salire sul punto più alto di Roma ci fermiamo a scambiare quattro chiacchiere con Lorenza Scalisi che ci ha concesso un’intervista in esclusiva per parlare del suo progetto divenuto libro, Tutti i piatti dei Presidenti.
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1- Ciao Lorenza, benvenuta su Critica Letteraria e ancora congratulazioni per l’uscita di Tutti i piatti dei Presidenti! Da oltre vent’anni ti occupi di viaggi e lifestyle per testate nazionali e internazionali e hai scritto diverse guide. Questo che hai appena pubblicato con L’ippocampo è il tuo primo libro vero e proprio, e la scelta di dedicarlo per intero alla “casa degli italiani” è tanto originale quanto sorprendente: un esordio in volume molto patriottico e identitario e, al contempo, molto diplomatico e aperto alle culture più varie, che sembra quasi l’occasione perfetta per fare il punto dopo tanti anni di esperienza. Ti ritrovi in questa interpretazione?
Assolutamente sì. Il mio sogno, dall’età di 14 anni, era quello di scrivere, magari per un quotidiano, per poi viaggiare e arricchire le mie conoscenze. Ho una formazione classica, con laurea in storia romana, e a 25 anni ho iniziato a fare l’inviata di un’importante testata di viaggi, che mi ha consentito di girare il mondo e conoscere molte culture. Per questo, dico sempre che volevo scrivere per viaggiare ma ora viaggio per scrivere. Amo ogni angolo di Roma, ma mai avrei pensato di arrivare a scrivere un libro sul palazzo più rappresentativo non solo della nostra Capitale, ma addirittura dell’Italia. Per me, un onore immenso.
2- Questo libro, come già abbiamo sottolineato nella recensione, esce in un momento molto particolare per la vita politica del nostro Paese, con la nomina del prossimo Presidente della Repubblica sempre più al centro del dibattito. Leggerlo proprio adesso che il 2021 volge al termine ci ha riportato alla mente anche un altro appuntamento importante che, sempre tramite un ideale link culinario, avvicina la sede del Quirinale alle nostre case: ci riferiamo al tradizionale discorso di fine anno, la cui messa in onda a reti unificate va a coincidere con l’inizio dei veglioni domestici; una dimensione intima in cui il Presidente, ogni dodici mesi, si pone quasi come il convitato ideale al di là/al di qua dello schermo. Quanto ha contato l’elemento della “familiarità” per la progettazione e la realizzazione di tutto il lavoro?
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Foto di Lorenza Scalisi
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È stato fondamentale. Quando nel 2015 intervistai per la prima volta l’Executive Chef Fabrizio Boca, rimasi colpita più da questo aspetto di “normalità” che si respira all’interno del Quirinale, che dall’idea di “spiare” e conoscere i gossip dell’entourage presidenziale. La privacy della più alta carica dello Stato è sacrosanta e deve rimanere tale, e non ho mai neanche fatto mezza domanda a riguardo a nessuno del personale di servizio. Se questo progetto ha preso vita è proprio grazie al tipo di cucina che viene offerto, sia nel quotidiano al Presidente stesso, sia ai commensali che si avvicendano a Palazzo per ragioni di Stato. Come credo la maggior parte delle persone, all’inizio mi immaginavo banchetti luculliani a base di pietanze ben diverse da ravioli di ricotta e spinaci o lasagne al ragù. Ecco dove sta l’originalità di Tutti i piatti dei Presidenti: nell’accorgersi, e quindi nell’apprezzare, che alla tavola del primo cittadino d’Italia si servono solo piatti della tradizione, che forse andrebbero un po’ riscoperti, perché le nuove generazioni sono spesso attirate più da mode come sushi e poke che dalle tagliatelle tirate come una vera sfoglina emiliana. Questa è stata sicuramente la scintilla che mi ha fatto scattare la curiosità e il desiderio di approfondire un profilo professionale, e perciò un ambiente, unici nel loro genere. Poi, una volta entrata in quella particolare realtà, mi sono resa conto che anche i colleghi di Fabrizio, e in primis Domenico Santamaria, Food & Beverage Manager del Quirinale, sono dotati dello stesso aplomb molto low profile, assolutamente lontano dalla corsa alla fama e all’esposizione di social media e tv che ormai governa anche il mestiere dei cuochi. In tempi non sospetti, il grande Gualtiero Marchesi preferiva definirsi cuoco anziché chef, mentre oggi tutti puntano a essere chef star o masterchef, o “re” dei social con milioni di follower. A Palazzo, questo non accade. Non si ha il tempo neanche per pensarci. E comunque, stonerebbe con la necessità di riservatezza richiesta dal contesto.
3- Ciò che più si apprezza nel libro è la sua sostanziale indifferenza per aspetti mondani, scandalistici, pettegoli e gossippari, e sì che sarebbe stato fin troppo facile concepire e realizzare un prodotto editoriale che avesse un taglio da “buco della serratura” (per intenderci: la buvette di Montecitorio avrebbe offerto – come in effetti offre – infiniti spunti di questo tipo). Invece, con un effetto che va a incidere anche sulla tua narrazione, la vera parola chiave di tutta la macchina quirinalizia è proprio “sobrietà”, a dispetto dello sfarzo architettonico e artistico e della disponibilità di risorse: ti aspettavi che le cose stessero proprio così prima di iniziare?
Come detto prima, no. In Italia, ma direi non solo, si associa agli ambienti della politica di Palazzo l’idea di sfarzo e spreco. Durante le varie fasi di lavorazione mi sono immaginata due tipi di critiche, sia da parte dei colleghi giornalisti che del pubblico: la prima, in negativo, sull’eccesso di “normalità”, nel proporre una certa cucina come forma di rappresentanza a importanti ospiti stranieri, la seconda, in positivo, di un giusto plauso a una formula più morigerata e in linea con i tempi. Diciamo che al momento il pubblico sta optando per la seconda linea, e ne sono contenta. In molti mi hanno cercato sui
social, su FB e IG (
@lorenzascalisi), per scrivermi che leggendo il libro hanno riscoperto l’orgoglio italiano. Se un ricettario – anche se
sui generis – porta a questi risultati, allora viva la cucina di tradizione!
4- Dal tuo libro emergono con chiarezza tutti i valori del cibo più spiccatamente legati all’ospitalità, alla diplomazia, all’accoglienza, alla mediazione tra culture diverse anche a livello alimentare: non c’è menu e non c’è piatto singolo che oltre a proporsi nella sua bontà non si ponga anche come “storia” e “discorso” con cui nutrire i commensali. Ti ha stupito scoprirlo o lo immaginavi già prima di metterti all’opera?
Si sa che è sempre attorno a un tavolo che si concludono i migliori affari. E capita anche al Quirinale. Anche per questa forza straordinaria che ha il “ben mangiare”, a Palazzo si “sfruttano” occasioni ufficiali per promuovere il Made in Italy. La scelta di proporre prodotti di piccoli produttori, rigorosamente italiani, nasce anche da questo: nessuna bottiglia blasonata o d’annata, bensì di aziende frutto di un lungo lavoro di ricerca sul territorio, fatto da Domenico, Fabrizio e Massimo Sprega, sous chef di Boca, che con grande coraggio e lungimiranza – oltre che per fare una giusta economia delle risorse a disposizione – preferiscono stupire l’ospite con prodotti di nicchia piuttosto che con l’etichetta premiata da Wine Spectator. Anche perché quelle, con molta probabilità, le conoscono già e le hanno nella loro cantina, alla White House o a Buckingham Palace.
5- Le fotografie di Chiara Cadeddu che corredano il libro sono le comprotagoniste perfette dei testi, e soprattutto la complessità nel fotografare il cibo o nel cogliere le atmosfere di backstage è cosa nota ai più. In particolare, le immagini che propongono le pietanze impiattate, con la loro scala che sfiora l’1:1, sono altamente coinvolgenti per chi legge, quasi un modo per farlo sentire a sua volta con “un posto a tavola” al Quirinale (un po’ l’equivalente del “posto in prima fila” dell’abbonamento RAI). Era vostra intenzione ottenere questo effetto “illusionistico”? E quanto è stato importante, in questo senso, lavorare con una casa editrice leader nel settore dei libri illustrati e fotografici?
Quando siamo entrate la prima volta a Palazzo ci siamo rese conto delle oggettive difficoltà nel realizzare gli scatti dei piatti: tempistiche di servizio da rispettare senza intralciare il lavoro di brigata di cucina e sala, luci non adatte, impiattamento da creare ad hoc perché, almeno fino al Covid, si serviva alla francese, quindi con le pietanze portate al tavolo su vassoi e poi sporzionate a seconda dei desiderata dei commensali. Per esigenze fotografiche e di maggiore opportunità, noi invece abbiamo presentato un servizio all’italiana, cercando di dare l’idea della singola porzione. Non sapendo come sarebbe stato il layout finale, abbiamo scattato tutti i piatti con più tagli, anche di tre quarti, oltre che in pianta. La scelta finale dell’impaginazione è merito dell’Ippocampo, che ha voluto replicare la visione dall’alto del piatto usato in copertina. Scelta che si è rivelata azzeccata sia nella cover, sobria ed elegante come i contenuti espressi dal servizio di Palazzo, sia nelle pagine interne. E sì, l’effetto finale è proprio quello di una scala 1:1, che invita a sedersi idealmente a tavola con ospiti illustri. L’incontro con L’Ippocampo è stato la giusta chiosa di un lavoro lungo e meticoloso, perché hanno saputo esaltare i concetti espressi da testi e foto: carta uso mano pregiata, una Fedrigoni da veri intenditori, un layout semplice ed elegante come vuole essere oggi il servizio di Palazzo, una stampa curata e senza sbavature realizzata a Vicenza… Tutto Made in Italy! Non potevo immaginare una resa migliore per il mio “bambino”! Aggiungo che inizialmente avevo molti dubbi sul tono e lo stile da adottare nella stesura dei testi, perché temevo che la prima persona fosse poco rispettosa o troppo di rottura, in un libro con un risvolto tutto sommato istituzionale. Ma poi, Patrick e Sebastiano Le Noel, fondatore e art director della casa editrice, mi hanno incoraggiata a seguire il mio istinto: non capita tutti i giorni di sentirsi dire da un editore “scrivi a sentimento!”, anzi… Il risultato è una visione in prima persona, l’occhio di un cittadino che ha avuto il privilegio di osservare e trasmettere agli altri.
6- Il mercato editoriale sembra non raggiungere mai un ragionevole senso di sazietà per quanto riguarda libri che parlano di cibo e di cucina, ormai declinati nei modi e per i target più vari: chi sono i lettori ideali del tuo, così al crocevia tra il reportage e il ricettario?
La platea cui è destinato è quanto mai amplia e variegata, e se è vero che comprende una buona parte di appassionati di ricettari di ogni genere, si allarga poi ad amanti della cura del dettaglio e de l'art de la table, estimatori del buon gusto, del bello e della storia, ma anche a chef professionisti o aspiranti tali, maître di sala di ristoranti stellati e hotel di lusso, camerieri di ogni grado e livello, maestri di cerimonie e di corte, wedding planner ed event manager in cerca di ispirazione. E ancora, a lettori curiosi interessati a sapere cosa accade nel “dietro le quinte” degli eventi ufficiali, o, perché no, “primi inter pares”, a cittadini italiani orgogliosi di mettere piede nel luogo più rappresentativo del proprio Paese. Prima idealmente e poi magari di persona. Perché no!
7- A quale ricevimento di Stato tra quelli di cui parli nel libro ti sarebbe piaciuto essere presente? E perché?
Chiara Cadeddu ed io siamo state presenti a ben otto ricevimenti di Stato, quelli dalla fine del 2017 in poi. Colazioni e pranzi dal 2000 in poi li abbiamo invece ricreati su un set fotografico allestito in un ambiente della Cucina Grande del Quirinale. Fra questi, non mi farei mancare una colazione nel Torrino con S.M. la Regina Elisabetta, per carpire una sua battuta di spirito o un “
quote” che diventerebbe subito Storia. Extra queste visite di Stato, siamo state invitate anche alla Festa della Repubblica del 2018, un evento vissuto interamente a partire dalla settimana precedente fino alla serata
clou dell’1 giugno. Il Presidente riceve i suoi ospiti la sera prima perché il 2 è già una giornata piena di impegni. Ecco, devo dire che per musiche suonate dal vivo dalle orchestre delle interforze, personalità presenti e, in generale, per l’atmosfera da sogno che ho vissuto, senz’altro non dimenticherò mai un solo istante di quella magica serata. Se volete scoprire qualche curiosità e dettagli del
backstage dei vari eventi, seguitemi su
@lorenzascalisi, e per Chiara
@chiaracadedduphoto.
8- Quali sono gli aspetti che ti hanno maggiormente sorpreso nel corso della tua ricerca e nel contatto diretto con gli addetti ai lavori? E hai mai trovato qualche difetto, sebbene infinitesimale, all’interno della “macchina” della ristorazione quirinalizia?Oltre alla totale assenza di prodotti come tartufo, aragoste e altre costose materie prime, mi ha sorpreso la calma, almeno apparente, con cui tutti riescono a svolgere il loro lavoro, con tempi e spazi che devi davvero avere cuciti addosso per riuscire a rispettarli. Un palazzo del Cinquecento impone regole per muoversi, attenzione massima e savoir faire, doti non comuni a tutti. Eppure, le ho trovate in Domenico Santamaria, straordinario mentore di giovani allievi tirocinanti che poi magari sono anche entrati nello staff di Palazzo. Bello vedere l’emozione negli occhi di ragazzi poco più che ventenni, che d’un tratto passano dai banchi di scuola a servire il rango di ospiti tanto importanti. Difetti? Direi di no, piuttosto, mi stupisce la loro resistenza a dosi di stress non da poco, oltre che l’affezione a un mestiere che li fa stare sempre dietro le quinte, ma con il privilegio di vivere dal vivo momenti che passeranno alla storia. L’ultimo? Il G20! Riuscite a immaginare una soddisfazione più grande del poter dire “Io c’ero!”?
9- Adesso che hai potuto renderti conto in prima persona di come funzionano le cose nelle cucine e nelle sale di ricevimento del Quirinale, c’è qualche altra sede di rappresentanza di cui ti piacerebbe occuparti allo stesso modo in Italia o all’estero? Ci dici quale e perché? E credi che “il modello Quirinale” possa avere equivalenti in altre parti del mondo?
Una domanda che mi sento fare spesso, dal 28 ottobre, giorno dell’uscita del libro… Al momento, ciò che importa è che passi il messaggio che mi preme di più: sfogliate queste pagine, leggetele e appassionatevi a un Palazzo che è patrimonio di tutti noi. Scoprite le vicende che ogni giorno lo animano, anche le più piccole e apparentemente insignificanti, quei gesti carichi di passione e attenzione che messi tutti insieme fanno sì che chiunque vi transiti riporti a casa il ricordo di quell’eccellenza Made in Italy per la quale siamo famosi nel mondo. In virtù di ciò, il Quirinale è senz’altro un modello sotto molti aspetti. Quanto al futuro… Per ora mi voglio godere tutto ciò che porterà questo libro, forse il primo capitolo di una serie. Chissà…
Ringraziamo ancora Lorenza Scalisi per questa intervista e Chiara Cadeddu per le bellissime fotografie inedite presenti in questo articolo, e vi ricordiamo che chiunque voglia cimentarsi nella preparazione di una o più ricette illustrate nel libro è invitato a condividerle sui propri social con l'hashtag #tuttiipiattideipresidenti!
Cronaca e intervista a cura di Federica Privitera e Cecilia Mariani
I ritratti di Lorenza Scalisi e le foto del Quirinale sono pubblicate su gentile concessione di Lorenza Scalisi e Chiara Cadeddu @chiaracadedduphoto