«La vita è così triste, pensava in quei momenti. È così triste, eppure continuiamo a viverla, tutti: le restiamo attaccati, tenacemente, cercando qualcosa che ci offra un po’ di sollievo» (p. 940)
Una cosa che mi sorprende di alcuni scrittori è il modo in cui riescono a trovare la formula per delineare il perimetro di un sentimento umano e all’interno di quello esplorare con le parole. I limiti di un sentimento sono i limiti dell’empatia, suppongo: si può raccontarlo nella misura in cui parliamo lo stesso linguaggio emotivo. Cos’è la tristezza? Ogni frammento di un’emozione esiste nella sensibilità di chi la vive. Eppure, se dovessero chiedermi un libro in cui mi è sembrato di ritrovare tutto, ma proprio tutto, sulle forme della tristezza umana, racconterei del viaggio che ho fatto in compagnia di Una vita come tante, un libro che mi ha spiegato i fragili confini tra i sentimenti in un periodo storico in cui altri confini dominavano la nostra vita, sotto forma di zone gialle e rosse.
Sullo sfondo di una New York immensa e ambiziosa, si svolgono le vite di quattro amici: Jude, Willem, Malcolm e JB, dei quali si seguono le vicende dai tempi del college fino all’età adulta. La storia gravita intorno a Jude, la cui indole pacata e altruista lo rende benvoluto dagli amici, ma anche incompreso. Sul suo passato, infatti, incombono dei traumi che gli rubano anche il presente, a partire da alcuni misteriosi dolori alla gamba, strascichi di un incidente di cui nessuno conosce i dettagli. La narrazione svela lentamente il passato di Jude e porta alla luce episodi di violenza inaudita subiti durante l’infanzia, i quali hanno alimentato nel tempo un tragico senso di colpa: l’anima pulita di Jude non riesce a convivere con dei ricordi che lo fanno sentire sporco e sbagliato, e reagisce con un volontario isolamento dai piaceri della vita e dei rapporti umani. E così l’amicizia fra i quattro amici si scontra con l’enigmatica ritrosia di Jude, una barriera superabile solo da quella volontà, tanto rara quanto meravigliosa, che a volte spinge le persone a legarsi in modo autentico e condividere i propri demoni. Sarà il personaggio limpido e signorile di Willem a suggerire a Jude la possibilità di una vita diversa, illuminata dall'amicizia e dall'amore, «come le cose che non sai di amare tanto finché non appaiono, all’improvviso e nel modo più inaspettato, dentro la tua vita» (p. 716).
Il dolore avvolge ogni angolo di questa storia, come ricordavo all’inizio: la tristezza è il perimetro del romanzo, oltre non si va, anche nei momenti di speranza. Ma è una tristezza profonda, che non è compassione ma un sentimento alto e commosso, che abbraccia tutte le persone che ogni giorno si sforzano di vivere e quelle che vorrebbero arrendersi, ma non lo fanno. Resistono. Guardano dritto, e proseguono. Il messaggio più toccante del libro credo sia questo: le persone non si arrendono finché c’è qualcun altro, un amore, un figlio, un amico, qualcuno che conta molto di più dell’ingenua speranza di una vita felice, qualunque cosa significhi. Jude non ha avuto e non può avere una vita come tante, anche se forse è l’unica cosa che vorrebbe, ma è la sua stessa devastazione a consentirgli di penetrare fino in fondo il potere miracoloso dell’amicizia. Suo malgrado, si ritrova amato, senza sapere come gestire il contrasto fra i due estremi del bene e del male che hanno segnato la sua esistenza. Così finisce per vivere a suo modo, mescolando le carte: il dolore per ciò che è stato e il rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere, la gioia per l’amore e le attenzioni ricevute e lo stupore di sentire che per qualcuno lui, proprio lui, è speciale. In nessun momento questa placida rassegnazione alla sofferenza abbandona Jude: a volte ci illudiamo che possa metterla da parte, essere finalmente solo e soltanto felice, ma il massimo che possiamo ottenere da lui è un sorriso di sofferta fiducia.
Qualcuno ha individuato una nota negativa del libro nell’eccessivo accanimento dell’autrice nei confronti di Jude, al quale in effetti succede proprio di tutto. Ci sono dei momenti in cui quasi ci si arrabbia, perché non si comprende come sia possibile che la vita sia stata così crudele con il nostro amato protagonista. E forse sì, in alcuni punti la storia perde un po’ in verosimiglianza. Tuttavia, considerando l’imprevedibilità del destino che non risparmia qualcuno solo perché gliene sono successe troppe, ritengo che il romanzo rimanga comunque uno spaccato realistico della vita sfortunata che a molti capita in sorte. Ma in ogni caso, non mi sembrerebbe opportuno cercare il valore del libro nei fatti narrati. A rendere speciale questa storia è la delicatezza con cui l’autrice esamina le piccole cose che misurano il nostro amore per una persona: uno sguardo di complicità in mezzo a una folla rumorosa, il piacere che otteniamo dall’osservarla di nascosto, la premura con cui le nascondiamo un fatto che potrebbe ferirla, solo per evitarle un dispiacere, solo per proteggerla.
Se chiudo gli occhi, vedo Jude in tutta la sua struggente dolcezza e mi sembra di conoscere i suoi bisogni e le sue mancanze. Li vedo, perché Hanya Yanagihara ha saputo condurci in punta di piedi nelle stanze più segrete della psiche di un personaggio che, a mio parere, è fra i più riusciti della letteratura contemporanea. Il tutto con uno stile immediato ed essenziale, dove la semplicità è l’opposto della trascuratezza e si ricava dalla ricerca di una forma in grado di condensare tutte le contraddizioni emotive delle vicende raccontate. E non è da tutti saper tenere il ritmo per quasi 1100 pagine, che scorrono senza fatica.
Insomma, chi ha voglia di leggere questo libro deve prepararsi a soffrire, ma ne varrà la pena. Per chi ha sofferto ed è stato aiutato, per chi avrebbe voluto proteggere qualcuno ma non era abbastanza, Una vita come tante è un’autentica carezza sul cuore.