«La nostra mente è molto più pericolosa della nostra coscienza»: l’ultimo romanzo di Donato Carrisi, “La casa senza ricordi”

 



La casa senza ricordi
di Donato Carrisi
Longanesi editore, novembre 2021

pp. 398
€ 22 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

Lo devo ammettere: ogni volta che so dell’uscita di un nuovo romanzo di Donato Carrisi, lo aspetto con ansia e subito mi avventuro nella lettura. Questa volta, però, mi è sorto un dubbio: se un romanzo di un autore che adori, una volta letto non ti convince fino in fondo, cosa succede? Se in qualche modo non soddisfa le tue aspettative? Inizio questo romanzo, dunque, con qualche timore perché con i romanzi di Carrisi, questo può capitare: ci ha abituati a trame intricate, ma mai disordinate, a storie mozzafiato e a una suspense mai banale e quindi diventa difficile raggiungere questo livello ogni volta.

Ecco, non è giunto ancora questo momento, perché La casa senza ricordi è un romanzo che difficilmente si dimenticherà e per certi aspetti è ancora più avvincente del precedente volume La casa delle voci

Ritroviamo l’addormentatore di bambini, Pietro Geber, che sta attraversando un momento complesso della sua vita: dopo il caso di Hanna Hall, Pietro è stato abbandonato dalla moglie, la quale ha portato con sé l’adorato figlio Marco. E come sempre, Pietro è chiamato dal magistrato Anita Baldi per un caso a dir poco complesso.

Un bambino, Nikolin (Niko), viene trovato in un bosco della Valle dell’Inferno, nell’Alto Mugello, da un allevatrice di cavalli che in qualche modo, ma non per caso, si ritrovava nella zona. Niko però non parla, è come assorto in un’altra realtà parallela e dunque non riesce a collaborare con gli inquirenti.

Insieme con lui, qualche mese prima era scomparsa anche la madre, Mira, di cui però non c’è traccia. Proprio in questo momento che l’addormentatore di bambini entra in gioco, perché Niko parla solo attraverso l’ipnosi, di cui Pietro è un maestro, conosciuto da tutti per i suoi metodi psicoanalitici.

Siamo sicuri, però, che a parlare sia proprio il bambino? O forse, la voce che sente Pietro è di un’altra persona che si è intromessa nella mente del povero Niko?

La triste realtà è subito compresa, perché a parlare non è il bambino, ma un altro uomo: l’affabulatore come lo chiama Pietro, e subito gli detta le condizioni per ascoltare questa storia:

Primo: non dovrai parlare a nessuno di me. Secondo: ascolterai ciò che da dire…fino in fondo. […] Qual è la terza condizione? Non dovrai mai cercarmi là fuori. (p. 87)

Siamo così trascinati in una storia di venti anni fa attraverso Niko e per comprendere quello che succede oggi, è necessario capire quello che è successo nel passato e solo in questo modo si potrà risolvere l’enigma di Niko e di sua madre. Da qui, come una ragnatela ben tessuta, la trama si dipanerà in molte direzioni e una sarà legata inesorabilmente all’altra, come in un macabro e contorto gioco mentale di cui anche lo stesso Pietro non potrà esimersi, trovandosi ben presto nel mezzo del gioco.

Un gioco fatto di scatti, quasi livelli, per “attivare” il povero bambino a parlare e a raccontare una storia mai ascoltata e, come altre volte, Pietro dovrà fare i conti con l’eredità del padre, il Signor B., anche lui psicoterapeuta infantile, che però non trova pace: un lascito pesante, quello del Signor B., che nasconde ancora molti scheletri dell’armadio.

Il padre di Geber era stato il primo, autentico addormentatore di bambini. E soltanto i bambini erano autorizzati a chiamarlo signor Baloo o signor B. […] Li ipnotizzava facendogli ascoltare Lo stretto indispensabile con un vecchio disco di vinile che a metà del secondo ritornello s’incantava. Ma era un trucco perché il suono della puntina che saltava ripetutamente sullo stesso solco diventava una guida del buio: seguendola i piccoli pazienti scivolavano in uno strato di trance senza accorgersene. Era stato lui a tramandare al figlio le proprio conoscenze. (p. 156)

E quando abbiamo la sensazione che ogni pezzo del puzzle vada al suo posto, ci accorgiamo che niente è come sembra e che la realtà spesso è ben diversa da quella raccontata e che, forse, la soluzione è ben lontana da quella immaginata. I racconti, che si sovrappongono l’uno sull’altro, sono di bambini e la domanda che ci poniamo è: li crediamo oppure no? Sarà il frutto della loro immaginazione? Su queste domande s’intreccia questo romanzo di Carrisi. Le storie di Nikolin e dell’Affabulatore sono racconti di due dodicenni, lontani nel tempo e nello spazio, ma in qualche modo vicini e spaventosamente simili.

In un intreccio di vite, giochi, boschi, ruderi, dolori e menzogne, Carrisi ancora una volta ci trascina all’interno del labirinto della mente e ci fa percorrere, con una straordinaria scorrevolezza di cui ormai ne conosciamo la profondità, gli spettri dell’animo umano. E come in altri romanzi, siamo trascinati in queste folli storie di demoni e ci facciamo trascinare senza paura, perché il grande merito dell’autore è di voler percorrere insieme ai suoi lettori queste intricate vie mentali, senza indugio e paura. Non ci accorgeremo nemmeno di immergersi fino in fondo in questa storia, di essere lì con Pietro Geber che cerca di sbrogliare questo difficile caso, tanta è la fluidità delle parole di Carrisi che, come una bussola, ti orientano nel caos della psiche.

Giada Marzocchi