Il cercatore di luce
di Carmine Abate
Mondadori, ottobre 2021
di Carmine Abate
Mondadori, ottobre 2021
pp. 339
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
Chi non ha negli occhi le meravigliose immagini dei quadri dipinti da Giovanni Segantini? Il pittore della montagna, delle vallate inondate dal sole, dei monti ricoperti di neve, delle baite, dei casolari, dei "montanari", le persone sfiancate dai duri lavori delle terre alte, ma splendide nella loro semplicità, nel loro adattarsi totalmente ai ritmi e alle esigenze della natura?
Carmine Abate, romanziere di lungo corso (suo il Campiello 2012 con La collina del vento, da noi recensito a suo tempo, qui la recensione), calabrese di nascita e trentino di adozione, si è confrontato con questo grande pittore dando luogo a un romanzo che sta a metà tra la biografia e l'invenzione narrativa, un "bioromanzo", se posso usare un neologismo...
"Il cercatore di luce" è un racconto corale, profondo e stratificato, dove la coralità è data non soltanto dall'insieme dei personaggi che appartengono a epoche diverse, legati dall'incanto che produce l'arte, ma soprattutto dalla natura. Una natura potente e madre, che si esprime sia grazie alle ambientazioni trentine del libro, sia attraverso i dipinti di Segantini, che ritraggono i suoi amati monti della Svizzera. Mai come in queste tele la montagna ha raggiunto vette più alte, fino a trasformarsi in apoteosi della natura, in trionfo del mondo d'alta quota. Il pittore (a cui sono dedicati almeno due rifugi, uno sullo Schafberg, in Svizzera, dove morì, e uno in Italia, al Passo Rolle) per tutta la vita ha cercato di infondere nei suoi dipinti, esposti in gran parte al museo che porta il suo nome a Sankt Moritz, quella luce particolare, inimitabile, unica, dorata e trasparente che scende sui monti dell'Engadina. E la luce è davvero il cuore pulsante del romanzo, la chiave di volta sulla quale appoggiano i mattoni della narrazione.
Visto da vicino, il quadro è ancora più bello e, appena Giovanni sparge in certi punti della tela una polvere gialla, diviene più luminoso. "Che cos'è?" "Sono lamine triturate, polvere d'oro che faccio penetrare nel colore, così ho più luce. In un dipinto e nella vita la luce è tutto". (p. 253)
Per raccontare l'avventura biografica di Giovanni Segantini, Abate immagina un'architettura narrativa disposta su tre piani, uniti tra loro da personaggi di raccordo. Tutto parte da un quadro che il giovane Carlo Adami, la voce narrante, possiede nella sua stanzetta nella baita di famiglia, in Scanuppia. Siamo in Trentino, nei pressi di Castel Beseno (se vi capita di percorrere l'autostrada del Brennero, a un certo punto, dopo Rovereto, alzate lo sguardo alla vostra destra e lo vedrete là, maestoso, sovrano che osserva dall'alto, con la sua imponente bellezza, l'intera vallata).
Il quadro rappresenta una madre pensosa, assorta che tiene in braccio un bimbo, seduta sotto un albero. Quel dipinto è opera di Segantini e fu regalato al nonno Carlo, di cui il nipote porta il nome, proprio dal pittore, grande amico del nonno fin dai tempi dell'infanzia. Carlo si innamora di quel quadro che rappresenta per lui l'ultimo sguardo della sera e il primo saluto del mattino e chiede alla nonna (la Moma, calabrese come Abate) il motivo della sua presenza lì, in una baita di montagna. La nonna non si fa pregare, desiderosa di lasciare al nipote il ricordo di una storia familiare intensa, quella dell'amicizia tra il defunto marito e il pittore delle montagne e apre, non solo metaforicamente, il baule dei ricordi raccontando al ragazzo, nel corso degli anni, tantissimi episodi della vita del pittore e della sua famiglia. Dal baule la nonna estrae, come da un cilindro magico, libri, lettere, oggetti che regala al nipote, instillando in lui sempre più la curiosità e la passione per questo grande artista, vero orso di montagna con i suoi lunghi capelli ondulati e la barba nera. Un orso dal cuore d'oro. Come racconta la nonna, offrendo al ragazzo squarci lunghi e approfonditi sulla vita di Giovanni Segantini, dall'infanzia infelice, orfano di madre, fino all'incontro con la bella Bice Bugatti, l'amore eterno, dalla nascita dei quattro figli fino alla loro vita nomade tra i monti svizzeri alla ricerca della luce, dell'angolo alpino da ritrarre.
Grande protagonista del romanzo è il paesaggio montano. Carlo trascorre le sue estati su in Scanuppia, sopra Castel Beseno, nella baita che custodisce il dipinto e di quel territorio conosce ogni sasso, ogni filo d'erba, ogni panorama. Così come Segantini, che aveva fatto della Svizzera la sua terra d'elezione: Savognino, Maloja, lo Schafberg, Pontresina, paesaggi che al lettore sembra quasi di toccare attraverso la descrizione dei quadri (quanto sarebbe stata bella un'edizione del romanzo con le immagini dei dipinti a corredo!), dal famosissimo Trittico della natura a Il ritorno dal bosco, da Mezzogiorno sulle Alpi all'Ave Maria a trasbordo e tanti, tantissimi altri ancora. L'intero romanzo diventa così una dichiarazione d'amore per l'arte, per la natura e per la natura ritratta nell'arte.
Sorretto da un'evidente conoscenza da parte dell'autore della biografia di Segantini, il libro si snoda attraverso i passaggi più importanti della vita del pittore, scanditi dalla realizzazione delle varie opere e, grazie all'espediente letterario (l'amicizia con nonno Carlo) riesce a restituirci la vita privata della famiglia Segantini con la freschezza e la vivacità di un romanzo. A tratti ho letto però una certa fatica narrativa nel tenere insieme le tre storie familiari, alimentata anche dalla particolare costruzione che spesso vede un cambio di personaggi all'interno di uno stesso capitolo. In questo modo i fili che tengono insieme le tre vicende familiari rischiano di irrigidirsi svelando forse troppo apertamente lo scheletro della scelta narrativa. Al di là di questa piccola difficoltà, che il prosieguo della lettura e la familiarità con nomi e luoghi aiutano a superare, il romanzo è un canto alla bellezza della natura, alla prodigiosità dell'arte, alla genialità e alla creatività umana, nonché un'ode ai buoni sentimenti: l'amicizia, l'amore e la famiglia.
I personaggi sono disegnati con nitore e fuoriescono dalla trama narrativa in tutta la loro freschezza: c'è Carlo che seguiamo nel suo personalissimo romanzo di formazione tra la scuola, i primi amori e il dolore dato dalla separazione dei genitori. E c'è in particolare la Moma, la vecchia nonna che è il legame tra il passato e il presente, tra l'arte e la natura. Lei, giovane maestra calabrese, si innamora di Carlo Adami, l'ingegnere idraulico venuto dal Nord per realizzare una diga sulla Sila e nel contempo si innamora dei racconti della sua infanzia, segnata dall'incontro con la famiglia del pittore. E sono proprio queste parole che la portano a immaginare un paesaggio da lei mai visto, la montagna bianca dei dipinti di Segantini. Finché, seguendo il suo Carlo, non si trasferirà in Trentino, tra l'altro terra natale del pittore che era originario di Arco, a metà tra i monti e il lago di Garda. Una terra lasciata da piccolo, ma che Segantini portava sempre nel cuore.
È il cerchio della vita che si chiude, come quello della natura. E ben lo sapeva il pittore, che l'aveva magistralmente ritratto nel suo famoso Trittico formato dalle tre grandi tele che rappresentano La Vita, La Natura, La Morte.
Sabrina Miglio
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