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Conoscere, per combattere pregiudizi e odio: le "Questioni di un certo genere" che devono interessare tutte le persone

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Cose, spiegate bene. Questioni di un certo genere
Autori vari
Iperborea, 2021

pp. 223
€ 19 (cartaceo) 


La lettura di questo libro nasce da un’esigenza personale: sono una donna adulta, eterosessuale, lavoro in ambito culturale e cerco da sempre di svincolarmi da stereotipi e preconcetti in cui, prima o poi, tutti quanti ci imbattiamo, specie se donne; ciò di cui mi sono accorta di recente, con non poca amarezza, è che pur condannando fermamente ogni forma di odio e pregiudizio, io stessa talvolta sono caduta in errore, nel pregiudizio dato dalla scarsa conoscenza di determinate questioni. Parallelamente mi pare chiaro come l’ultimo decennio abbia reso evidente che il mondo – anche in questo minuscolo puntino su una mappa dove vivo io – non si può più velocemente liquidare secondo il principio binario con cui siamo quasi tutti cresciuti. C’è una ricchezza, una varietà e, per contro, una serie troppo alta di discriminazioni e stereotipi che è fondamentale prima di tutto conoscere e poi tentare di combattere con i mezzi a nostra disposizione. Quel che voglio dire è che sicuramente le questioni di genere non sono una novità di ieri, ma l’urgenza è tale da rendere necessario oggi essere più che mai informati e consapevoli, per poter anche noi, nel nostro quotidiano, maturare quella sensibilità e comprensione che forse la mia generazione non possiede da principio, ma che va educata e accresciuta, poi trasmessa. 

Questioni di un certo genere è il secondo volume pubblicato da Iperborea in collaborazione con Il Post – il primo di questa serie Cose spiegate bene era dedicato al mondo dei libri – e similmente a quanto accade con The Passenger, altra pubblicazione seriale di Iperborea di particolare interesse, il taglio giornalistico e la varietà dei contributi rende questo libro non solo il punto di partenza ideale per ragionare a trecentosessanta gradi sulle questioni di genere, ma anche per approfondire taluni aspetti, fra queste pagine o mediante suggerimenti e spunti che nascono dalla lettura. È una lettura molto formativa, quindi, che affronta tematiche complesse riuscendo sia dal punto di vista della chiarezza per il lettore poco addentro la materia, sia presentando la stratificazione di un argomento e di una realtà che è nostro dovere comprendere, spingendo alla riflessione nel tentativo di modificare quegli atteggiamenti dettati da ignoranza o scarsa sensibilità di chi non si sia mai trovato direttamente oggetto del pregiudizio e della discriminazione. 
Il primo punto fondamentale da cui partire a ragionare è un principio base ma che è bene ricordarci: identità di genere e orientamento sessuale non sono la stessa cosa. Se, come si accennava in apertura, in generale siamo cresciuti in un mondo basato sul principio binario (maschile/femminile), appare chiaro come questo dualismo escluda tutte le persone non binarie appunto; l’identità di genere (in termini molto minimi: chi sentiamo di essere) è influenzata da diversi fattori e ha una dimensione anche psicologica e culturale, che non si può ignorare. È qualcosa di diverso, quindi, dall’orientamento sessuale, ossia da chi ci si sente attratti sessualmente e, anche in questo caso, la questione è complessa e intrecciata a fattori diversi. Era necessario partire da qui, da una distinzione che forse può sembrare banale spiegare, ma che apre a considerazioni e problematiche con cui è necessario confrontarsi ed essere consapevoli per esplorare poi la questione di genere in molte delle sue diramazioni e risvolti.

Tra le più recenti e legate anche all’ambito culturale vi è sicuramente la questione dello schwa, simbolo dell’alfabeto fonetico internazionale su cui negli ultimi tempi in Italia si sta particolarmente dibattendo, sui social network, sulla stampa, nel mondo accademico e, in una certa misura, anche nel quotidiano: un simbolo su cui si ragiona almeno dal 2015 e che più di recente ha avuto particolare risonanza anche in seguito all'uso da parte della scrittrice Michela Murgia in un articolo pubblicato su un giornale di tiratura nazionale; un argomento su cui da sempre lavora, come altri colleghi, la sociolinguista Vera Gheno, che ne evidenzia punti di forza e criticità, a partire dall'osservazione puntuale della società e dei suoi mutamenti. È una questione che forse a molti potrà sembrare di poco conto, ma chi fa il mio mestiere, chi lavora con le parole, chi si interessa di osservare e comprendere la società intorno a noi, è tenuto a considerare ponendosi tutte le domande del caso e prendere atto di una riflessione molto più ampia di quanto si potrebbe erroneamente pensare. Perché l’utilizzo dello schwa rompe con una tradizione linguistica improntata sul sessismo e sulla necessità sempre più impellente di trovare «un’autorappresentazione linguistica» in modelli alternativi a quelli tradizionali.
Sono una sociolinguista, lavoro con le parole. La mia militanza, dunque, si compie in questo ambito: nell’osservazione e nell’analisi di come comunicano le persone intorno a me, nel tentativo di creare più consapevolezza linguistica, convinta che questa garantisca un’esistenza migliore. (“L’importanza di avere un nome”, Vera Gheno, p. 38)
Riconoscersi nei modelli e nei simboli di una società è, anche, potersi riconoscere nella propria lingua, trovarvi rappresentazione. È chiaro come la questione sia quanto mai problematica e il dibattito intorno allo schwa è interessante e talvolta chiassoso. Da che parte si scelga di stare, comunque, credo sia importante riflettervi e forse anche smettere di considerare la lingua come qualcosa di granitico e immutabile. C’è chi, come la casa editrice Effequ, ha scelto senza mezzi termini quale posizione accogliere e ha avviato una piccola rivoluzione scegliendo d’ora in poi di adottare lo schwa quando è il caso per tutte le pubblicazioni di genere saggistica, ma proponendo anche formule alternative e pratiche come per esempio “la comunità scientifica” al posto del plurale maschile sovraesteso “gli scienziati”.

Mi sono dilungata su questi argomenti fra i molti trattati nel testo in oggetto perché, va da sé, sono questioni su cui è fondamentale per me riflettere e in modo consapevole, ma anche a dimostrazione della varietà dei contributi e degli spunti attualissimi che il libro contiene e che ne fa senza dubbio una lettura molto utile per comprendere meglio certi aspetti della società entro cui viviamo. Una società che, purtroppo, tende ancora a discriminare e a rendere particolarmente complicate certe esistenze, come evidente nei saggi e negli approfondimenti dedicati a importanti questioni quali la transizione e il tormentato iter legale cui necessario sottoporsi:
In Italia l’iter di transizione è un percorso lungo e complesso che incastra vari livelli […]. Chi vuole che la transizione da un genere all’altro sia riconosciuta dalle istituzioni, e indipendentemente dal fatto che decida di procedere o meno con la riattribuzione chirurgica di sesso, deve comunque obbligatoriamente intraprendere un percorso rigido che prevede il coinvolgimento di diverse figure professionali e di un giudice. (“Storie di transizioni”, p. 45)
O, ancora, le testimonianze intorno alla questione molto dibattuta delle atlete trans, la giungla burocratica delle adozioni, l’inadeguata rappresentazione di persone e personaggi trans al cinema e nelle serie, il ruolo fondamentale dell’educazione dei figli maschi, le evoluzioni storiche, il femminismo intersezionale. Ecco, quest’ultimo punto, ancora, mi ha spinto a una riflessione più lunga e, al di là delle mie personali conclusioni, ho trovato molto interessante la scelta di inserire fra gli altri anche questo saggio e porre l’attenzione su un argomento anche in questo caso tutt’altro che marginale.

Ognuno trae le proprie conclusioni, approfondisce taluni aspetti, si apre a punti di vista che forse prima non aveva considerato e, senza dubbio, impara che la società in cui viviamo è molto più ricca, complessa certo, ma anche più interessante e variegata di quanto molti vorrebbero credere. Conoscere, a mio parere, resta sempre il modo migliore per combattere il pregiudizio e l’odio. E allenare la nostra sensibilità, scrollandoci di dosso una volta per tutte i residui della tradizione patriarcale.

Di Debora Lambruschini