Nessun nome per Emilio
di Fabio Morábito
Exòrma Edizioni, novembre 2021
Traduzione di Adrián N. Bravi e Marino Magliani
pp. 168
€ 15,50 (cartaceo)
Prima di dire ad alta voce come vi chiamate in un cimitero, assicuratevi che ci sia già un defunto con il vostro stesso nome. Altrimenti i morti, per guadagnare il nome che manca, potrebbero alzarsi dalla tomba e venire a prenderselo. Emilio, ragazzino di dodici anni appena trasferitosi in una nuova città in seguito al divorzio dei suoi genitori, lo sa molto bene. Senza amici e abbandonato a lui stesso, trascorre le giornate a vagare in un camposanto - sorto in cima a un terreno vulcanico –, memorizzando tutti i nomi dei morti che lì riposano, cercando tra le lapidi sbiadite il suo. E con i morti, Emilio crede pure di riuscire a parlare attraverso il suo rivelatore di barzellette, insolito strumento che capta e registra le battute che i luoghi assorbono. Un giorno, tra le erbacce del cimitero, sbuca una donna. Inizia così il lento declino dell’innocenza di Emilio.
Nessun nome per Emilio (Exòrma Edizioni) è il primo romanzo di Fabio Morábito a essere stato tradotto in italiano. Nato ad Alessandria d’Egitto da genitori italiani e con un’infanzia trascorsa a Milano, Morábito si trasferisce a quattordici anni in Messico, luogo che ritorna costantemente nella sua produzione letteraria. Professore universitario, traduttore (tra i vari autori, di Eugenio Montale), poeta e scrittore, Fabio Morábito arriva (o ritorna?) in Italia con un romanzo che ha dell’incredibile. Nessun nome per Emilio è un libro, prima di tutto, che turba. Turba perché Morábito racconta in modo totalmente inedito – e quasi brutale - come può finire l’età dell’innocenza. E a iniziare Emilio alla vita da adulto sarà proprio quella donna sbucata nel cimitero: Euridice, nome dal rimando mitologico ma che, in questo romanzo, ha perso il suo Orfeo, ossia suo figlio Roberto. La donna si reca tutti i giorni al camposanto per portare delle margherite al suo bambino morto, quasi a volerlo risvegliare. Nel primo incontro, i due si guardano come si guarderebbe uno specchio: cercando nelle fattezze riflesse quello di cui si ha bisogno, o, forse, quello che si è perduto. Euridice rivuole suo figlio. Emilio vuole capire come funziona il suo corpo.
Così, Nessun nome per Emilio è un libro che si muove a ritmo di quelle forze freudiane che oscillano tra Eros (energia psichica legata alla pulsione sessuale) e Thanatos (principio di morte), entità che serpeggiano tra i vicoli incolti del cimitero che ospita – come nessun altro luogo potrebbe ospitare - la vicenda dei due protagonisti, insieme a quella di tutti gli altri personaggi. Emilio e Euridice si inseguono, si baciano, si toccano, mostrano il proprio corpo senza però mai consumare il loro rapporto; Apolinar, operaio licenziato dal cimitero perché analfabeta, ha una storia segreta con Euridice dopo che la stessa si era invaghita di Adolfo, altro operaio del camposanto che, per scongiurare la morte, cambia le date alle tombe; la madre e il padre di Emilio, invece, rimangono affascinati da Euridice che, per sbarcare il lunario, lavora come massaggiatrice “intima” per sole donne: la madre cerca Euridice per colmare il vuoto lasciato dal marito, mentre il padre desidera Euridice perché le sue caviglie ricordano quelle della sua amante francese con cui ha tradito la moglie; infine Emilio, che nel pieno dei turbamenti adolescenziali, non distingue maliziosamente l’uomo dalla donna e finisce per baciare un chierichetto di undici anni perché «non aveva mai visto un bambino in così perfetto equilibrio tra i due sessi» (p. 150).
Per la sua carica emotiva, sensuale e sessuale, Nessun nome per Emilio ricorda titoli quali Agostino di Moravia, Ernesto di Saba e I turbamenti del giovane Törless di Musil. Il romanzo è una lunga ballata in cui le “canzoni dell’innocenza” (vedi William Blake) vengono tramutate in “canzoni dell’esperienza”, i quali ritmi differenti – ma necessariamente complementari – tengono in perfetto equilibrio l’erotismo, il senso della morte, i paradossi e l’ironia infantile. Tutto coesiste perfettamente dentro il cimitero. Morte e vita sono due lati della stessa medaglia. Uomo e donna sono due riflessi dai confini labili e valicabili. Amore e tradimento sono due poli opposti che si attraggono reciprocamente. Ironia e dramma si completano a vicenda. Infanzia e vita adulta sono prolungamenti naturali di inevitabili processi vitali. A coronare la conclusione del romanzo non può che essere una serie di incalzanti eventi che si svolgono proprio nel Dia de Los Muertos, in cui i morti sembrano cantare all’unisono e ad anticipare al lettore come si conclude (o non si conclude) la storia. In questo caos magmatico che è nascere, crescere e relazionarsi con gli altri, i personaggi capiranno che la certezza in questo mondo è una sola, essere vivi: «la vita è molto breve ed essere vivi è un privilegio in mezzo a tutta la materia cosmica» (p. 70).
Nicola Biasio
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