La violenza del ricordare: "Il quartetto Razumovsky", l'ultimo romanzo di Paolo Maurensig

 


Il quartetto Razumovsky
di Paolo Maurensig
Einaudi, gennaio 2022

pp. 152
€ 17,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Non mi rendevo conto che malgrado le mie abnormi e incontrollabili paure, il mondo andava avanti anche senza di me. (p. 120)

Si conclude parlando di musica e di storia la produzione di Paolo Maurensig, autore dell'amatissimo Canone inverso e di molti altri romanzi, che hanno tradotto in parole armonie e dissonanze del presente e del passato. Questo Il quartetto Razumovsky, appena uscito per Einaudi, è stato consegnato all'editore pochi giorni prima della morte improvvisa dell'autore, e l'editore ha scelto una pubblicazione il più possibile conservativa, operando ben poche modifiche rispetto alle bozze. Anche se viene effettivamente spesso da chiedersi, durante la lettura, se Maurensig non avrebbe operato scelte diverse in sede di revisione, il testo mantiene una potenza distruttrice e sconvolgente, fin dall'apertura. 

Bastano pochissime pagine, infatti, per scoprire che la voce narrante appartiene a un assassino, che, per di più, è un narratore inaffidabile, perché la sua memoria si sta disfacendo, in seguito a un incidente che ne sta provocando una perdita progressiva. Ecco perché il protagonista ha scelto di consegnare alla carta le sue memorie, finché ci sono, benché a tratti queste appaiano sfilacciate e disordinate. Resta, peraltro, da chiedersi se questo risponda a una consapevole strategia narrativa dell'autore, o se anche la struttura del romanzo sarebbe stata rivista, in sede di editing. 

Dunque, all'avvio delle memorie, il protagonista rievoca la fine del quartetto Razumovsky, alla vigilia del debutto ufficiale, per la morte del loro leader, Max Brentano. Era stato lui, insieme al suonatore di viola, Benedict, a proporre una "reunion" musicale al protagonista, che ha adottato il nome fittizio di Rudolf Vogel. I tre si trovano da trent'anni negli Stati Uniti, dove si sono creati una nuova vita dopo la Seconda guerra mondiale: certo, tutti ricordano con una certa commozione di quando hanno suonato davanti a Hitler, in un concerto che ha rappresentato l'apice del loro successo, ma sono tempi andati. Adesso Rudolf si trasferisce di città in città molto spesso, perché nessuno lo riconosca, nonostante la nuova identità e gli anni che hanno cambiato la sua fisionomia. Al contrario, Max, con le sue ricchezze di famiglia, sta assecondando la sua ossessione per la perfezione e non fa che suonare, rifiutando di continuo occasioni per esibirsi, mentre Benedict ha preso a insegnare in una scuola di musica. A completare il quartetto manca Victoria, attualmente in un centro di cura, per via di una demenza senile precoce, in veloce peggioramento. Verso di lei, il protagonista dovrebbe provare un profondo senso di colpa: è stato lui a mandarla in campo di concentramento, e lo ha fatto per gelosia, dal momento che sia il protagonista sia Victoria erano innamorati di Max. 

Tempi andati, certo, ma non così tanto, se per l'io narrante è fondamentale portare con sé, di casa in casa, Mein Kampf, che definisce "la sua bibbia". Capiamo già che qualcosa non va, che è solo presunta l'armonia del quartetto, a cui si è unita una giovane musicista, Vanessa, reclutata più per l'avvenenza e la freschezza che per la sua bravura. Eppure è dalla seconda parte del romanzo che l'inquietudine solo intuita all'inizio si infittisce: Rudolf Vogel, col suo passato torbido e il suo nuovo nome, ci trascina senza pietà in un gorgo di nefandezze, autogiustificazioni, pentimenti mancati, terribili misfatti... 

Se all'inizio del romanzo potremmo empatizzare con un uomo che dichiara: «il mio soggiorno in America è stato per gran parte minato dall'urgenza e dalla paura» (p. 82) e che è in conflitto continuo con sé stesso per la propria omosessualità, in seguito sarà inevitabile (e sano) prendere le distanze da Rudolf Vogel. Il passato torna a morderlo ai talloni, certo, ma constateremo con sgomento che non esiste pentimento nel protagonista, soprannominato "il Torturatore", ai tempi della Shoah. Tutto, nella sua mente malata, è giustificabile (ma è davvero giustificato?). Quello che emergerà con la fine del romanzo è sconvolgente e ci porterà a un'inquietante attesa dell'esecuzione di questo personaggio controverso, che non sappiamo quanto vittima di traumi infantili e quanto realmente spietato. Ecco perché la musica che suona si fa via via dissonante, e pare dissolversi in un silenzio di morte, quando il racconto si sposta sul fronte storico. 

GMGhioni