Non è l'anima sotto indagine, ma la corporeità in tutti i suoi dettagli: "Dell'anima non mi importa" di Giorgio Montefoschi

Dell'anima non mi importa Giorgio Montefoschi

Dell'anima non mi importa
di Giorgio Montefoschi
La nave di Teseo, febbraio 2022
 
pp. 320
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

 
 "Io" dice piano, col tono che si usa per ribadire una convinzione, "alla resurrezione ci credo. Non posso accettare l'idea che mio padre non lo rivedrò più, che noi due non ci rivedremo più."
"C'è l'anima."
"A me dell'anima non mi importa." (p. 30)
 
Enrico e Carla hanno vent'anni di differenza, sono sposati, hanno una figlia quasi adulta ormai avviata alla sua vita e spezzano il loro tempo tra incontri con gli amici, pranzi, biglietti per il teatro e vacanze tra Fregene e il Circeo. Vivono la tranquilla esistenza della buona borghesia romana senza alcun affanno fino a che un malore non costringe Enrico in ospedale. Al ritorno, tutto quello che aveva scandito la routine dei protagonisti si scardina, minata com'è dalla noia e dal vago risentimento che la malattia può generare in una coppia. Perché se non è l'anima, può solo essere il corpo, la fisicità a tenere unite le persone: come nei grandi romanzi ottocenteschi, la spinta al tradimento è una delle molle più potenti per mettere in discussione ciò che si credeva di aver consolidato in due decenni di matrimonio.
 
I romanzi di Giorgio Montefoschi, come già Desiderio (di cui trovate qui la recensione), si sviluppano tra le strade di una Roma così dettagliatamente descritta da diventare familiare anche a chi a Roma c'è stato poco. In questo sfondo che è reale e non più solo verosimile, le vite dei personaggi mantengono l'asciutta rappresentazione drammatica che già si era vista con le Livia e Matteo, protagonisti di Desiderio, e un impianto dialogico asciutto, netto, che segue alla perfezione il ritmo di una normale conversazione di tutti i giorni in cui si divaga, si salta di palo in frasca, ma in cui nessuna battuta è superflua; segnando così la grande differenza tra la conversazione reale e il dialogo narrativo ricco di tutti i suoi sottotesti.
"Chi è?" Carla domanda.
"Strauss. La suite del Cavaliere della rosa. Questo che sta iniziando è il valzer."
"Noi non ascoltiamo mai la musica."
"Noi non facciamo mai niente."
"Tu non vuoi fare mai niente."
"Hai ragione." (p. 100)
Da questi scambi di dialogo che sembrano girare sempre intorno ai soliti argomenti – cosa facciamo nel week end? Ha chiamato mia madre. Ci hanno invitato a teatro. Dovrei riprendere a giocare a tennis? – emerge la ricostruzione di una vita che non è di sicuro infelice, ma che è avviluppata dalla solita routine. Routine che, in alcuni casi, rappresenta l'arrivo e la stabilità di una relazione, ma in altri è solo noia. 
Lui quindi la stringe, cercando di soffocare la pena. E, così abbracciati, trascorrono almeno un'ora del lungo fine settimana la cui unica attrattiva potrebbe essere L'olandese volante. (p. 257)
La presenza di citazioni di opere che in Desiderio erano servite come scansione temporale per ricostruire gli anni di svolgimento della narrazione, qui sono usate per creare l'atmosfera e suggerire quello che sarà uno dei momenti di rottura della coppia: il tradimento
"Non avrei mai immaginato che tu fossi un tipo tanto intraprendente. Appeso a una scala," sorrise "non ti ci vede proprio..." 
"Ti sbagli."
"L'hai fatto?"
"Varie volte."
"E non sei mai scivolato?"
"Mai." (p. 18)
Così discutono Carla ed Enrico parlando del Rosso e il nero. Ma anche Madame Bovary, Justine di Lawrence Durrel, Doppio sogno di Arthur Schnitzler, opere di alta letteratura rimandano e creano l'anticipazione per quella che sarà la sbandata di Enrico che, dopo il ricovero, abbandona la moglie per costruire una relazione con una collega, e per la tentazione di Carla. Senza alcun melodramma, senza grandi scene madri con piatti rotti e valigie buttate in strada, questa coppia esprime il proprio tentativo di ritrovare un equilibrio con un'educazione trattenuta che ci si aspetta quasi che esploda, ma che è sempre tenuta sotto controllo. Perché le anime, sono loro quelle che esplodono, si riuniscono "all'anima universale" come dice Enrico una sera: i corpi invece si possono controllare e decidere quando cedere ai loro impulsi oppure no. E Dell'anima non mi importa è un romanzo estremamente fisico, carnale nel suo indugiare nelle descrizioni di corpi, abbigliamento, odori e sapori che creano una mappa in cui ogni senso del lettore è stimolato. 
Ha soltanto quella piacevole sensazione di intorpidimento che lega i muscoli e insieme li distende, inizia a scioglierli piano nelle braccia, nelle gambe, lungo la spina dorsale; le palpebre appena calate; il respiro leggero. (pp. 27-28)
Nessun dettaglio della corporeità, dalla peluria sulle braccia, alle scottature, al sudore che intride una camicia viene trascurato. Così come i dialoghi, anche le situazioni del corpo sembrano ripetersi – rituali prima di dormire, doccia, cambi d'abito – e sono così minute che, senza essere noiose o pesanti, restituiscono la piena verosimiglianza di una giornata, di una vita trascorsa a fare sempre le stesse cose con lo stesso ordine. Si annulla quasi il confine tra la pagina e la vita reale. Una vita così reale, quella sulla pagina, che non riesce a trovare una spiegazione univoca e precisa per il tradimento che sconvolge la coppia.
"Sei davvero innamorato della tua avvocatessa, o sei scappato di casa perché non mi sopportavi più?"
"Perché non ti sopportavo più."
"Perché sono una buona a niente, che pensa solo ad andare in vacanza e a giocare a tenni?" 
"Brava." (p. 158)
Si confrontano Carla ed Enrico dove lui segna il punto con grande ironia. Ma la verità è che non c'è un vero incidente scatenante e pochi narratori sarebbero capaci di portare avanti una storia così a lungo prima di mostrarlo, come invece Montefoschi riesce a fare. Perché nel cercare la massima mimesi, non si può identificare un momento di svolta preciso: si può solo osservare la routine e capire quale insieme di piccole cose hanno portato alla rottura di un rapporto e se tra queste piccole cose c'è anche l'appiglio che permette di tornare indietro e di perdonare.

Giulia Pretta