Tanto si può dire dell'Eneide virgiliana, ma quello che rimane maggiormente impresso nei cuori (più che nelle menti) dei giovani lettori a scuola è il libro IV, quello dedicato all'amore struggente di Didone per Enea che, naufrago, viene da lei soccorso e ospitato alla reggia di Cartagine. Se già nei libri precedenti leggiamo dello sbarco e del racconto che Enea fa della Guerra di Troia, è proprio nel libro IV che si delinea una delle parabole d'amore e di passione più memorabili della storia della letteratura occidentale. Passiamo dalla resistenza iniziale all'innamoramento, fino all'accettazione inevitabile di un sentimento che è soverchiante. Chi non ricorda a memoria la sobria frase «adgnosco veteris vestigia flammae» ("riconosco i segni dell'antica fiamma"), con cui Didone confessa alla sorella Anna che lei, vedova che si era consacrata al Pudore dopo la morte del marito Sicheo, è coinvolta sentimentalmente dallo straniero? Tanto si può dire - ed è stato detto dalla critica nei secoli, per non dire nei millenni - sulla figura di Didone, sulla passione innescata e autorizzata dalla volontà divina, dalla progettualità dietro la storia dei due,... E ancora di più si può questionare sul dialogo finale con Enea, che, silenziosamente, ha fatto ricostruire la flotta per salpare alla volta del Lazio e realizzare quanto voluto dal Fato. Le motivazioni che adduce bastano a non far sdegnare un lettore di oggi? Difficile a dirsi. In ogni caso, tutti - ieri e oggi - restano sgomenti davanti alla bella Didone che, nella sofferenza, si conficca la spada di Enea nel ventre, dopo l'abbandono. Sembra poco credibile questo gesto, per una donna che, da sola, ha dato vita a un regno e che ha resistito alle proposte matrimoniali di tanti pretendenti.
Il romanzo di Marilù Oliva parte proprio da qui: e se le cose non fossero andate esattamente così? Ovvero, e se Didone non si fosse uccisa, come abbiamo sempre letto? E se il suo approccio alla vita fosse estremamente laico e scettico verso le divinità? Dopo un centinaio di pagine, l'autrice avanza la sua audace proposta (che non vi preannuncio): vi consiglio solo di abbandonare le riserve da puristi dell'epica per lasciarvi trasportare in un romanzo che è pieno di colpi di scena e di trovate acute per proseguire la storia narrata dall'Eneide virgiliana in modo verosimile, nonostante la scelta insolita che Oliva ci propone.
L'autrice, già attenta a riscrivere il mito e l'epica secondo una prospettiva femminile e femminista con L'Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (Solferino, 2020), propone in L'Eneide di Didone una rilettura ardita, ma non azzardata (al contrario di quanto era stato fatto nell'opera precedente). L'autrice, nell'incontro che si è tenuto ieri sera online per bookblogger, ha risposto alla mia domanda sulla nascita e il divenire del testo, raccontando che, in effetti, ha avuto un approccio diverso rispetto ai poemi omerici; stavolta, ad esempio, ha dovuto studiare e riavvicinarsi all'opera virgiliana, non amatissima nel periodo scolastico. La scoperta, invece, di alcuni passi estremamente interessanti ha riacceso in lei un grande interesse.
Anzi, il romanzo, che ha tutta una sua piacevolezza intrinseca, anche grazie a un buon ritmo narrativo (alla voce di Didone si alternano quelle di Giunone e di Venere), testimonia come il mito e l'epica non smettano di essere grandi ispiratori. Chissà se la lettura di questo romanzo non inneschi la voglia in alcuni lettori di riaccostarsi all'originale (che è sempre la speranza ulteriore con cui leggo queste riletture)?!
GMGhioni