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Nella nota che chiude questo volume Michele Porzio, figlio del giornalista, critico, poeta e traduttore Domenico Porzio, usa un'immagine molto potente: dice che si tratta di un libro la cui trama è stata spezzata dal destino. Ci restituisce così il senso di un'incompiutezza, del non lineare progredire di un testo che avrebbe dovuto essere pubblicato nel gennaio-febbraio 1989 e che invece ha impiegato ancora degli anni prima di arrivare nelle mani dei lettori.
Leonardo Sciascia e Domenico Porzio si sono incontrati varie volte lungo il 1988 e hanno dialogato.
Il desiderio era dar vita a un volume di conversazioni che parlasse dell'autore siciliano, della sua visione del mondo, della letteratura e della vita. Ma le cose sono andate diversamente: nel novembre 1989 la scomparsa di Sciascia, nell'agosto 1990 quella di Porzio, hanno spezzato questa storia.
Leonardo Sciascia e Domenico Porzio si sono incontrati varie volte lungo il 1988 e hanno dialogato.
Il desiderio era dar vita a un volume di conversazioni che parlasse dell'autore siciliano, della sua visione del mondo, della letteratura e della vita. Ma le cose sono andate diversamente: nel novembre 1989 la scomparsa di Sciascia, nell'agosto 1990 quella di Porzio, hanno spezzato questa storia.
E così la pila di cassette magnetiche contenenti i materiali delle loro conversazioni è rimasta per lungo tempo su uno scaffale dello studio di Porzio in attesa di prendere vita, di nuovo. Fuoco all'anima, arrivato in libreria nel 2021, anno del centenario della nascita di entrambi, in sintesi è proprio questo: due amici che dialogano e cercano di comporre un discorso. Nel farlo scompongono e ricompongono mondi diversi, evidenziano fratture e riempiono vuoti. Riflettono, insieme, sulle cose.
Il loro conversare richiama il significato dell'etimologia della parola: trovarsi insieme, dimorare in uno stesso spazio. Sciascia e Porzio occupano un luogo ideale che diventa discorso. Il filo rosso di questo loro parlare è la stima reciproca, una fraternità che ci riporta a un certo modo di fare cultura: elegante, militante, d'altri tempi. Si abbandonano a un vagare ondivago, la conversazione non è lineare - quale vera conversazione, poi, lo è - mentre ricordi personali, letterari e politici vengono a galla.
Tra i temi portanti della conversazione c'è la Sicilia, metafora della letteratura sciasciana come Terra che ha al centro la ricchezza della terra, isola degli zolfi e della navigazione. Avvicinandosi agli altri grandi siciliani come Bufalino, si parla della familiarità con la morte, delle origini della mafia, si richiamano i Grand Tour ottocenteschi in cui viaggiatori europei vedevano l'isola a tre punte per la prima volta. Tra pupi di zucchero, scene di vita contadina e giochi di scenografie sociali, lo scrittore illumina la Sicilia e il ruolo che ha avuto nella sua produzione.
Ci sono le amate letture - tra le varie Stendhal, Savinio, Manzoni, Pirandello - e si rievocano le prime prove di scrittura, gli insegnanti incontrati lungo la via. Sciascia e Porzio rileggono insieme autori e opere che a volte li uniscono, altre li separano. Poi si parla di religione e di politica ed è qui che la visione illuminista dello scrittore siciliano viene fuori luminosa e chiara. Un uomo contro la mediocrità, contro l'oppressione, sempre a favore della politica ragionevole. L'Italia di fine anni '80 viene così disvelata negli sguardi dei due conversatori e messa in relazione con il suo passato, in particolare con il fascismo come momento chiave, di snodo, nei destini della nazione.
Il dialogo racchiuso in Fuoco all'anima è bruciante come promette il titolo. Sebbene i protagonisti siano ormai arrivati al tramonto della propria esistenza, e non a caso la morte compare spesso tra le pagine, il dialogo arde di una vitalità che a volte somiglia all'ironia (o meglio, all'umorismo pirandelliano), altre alla speranza. C'è il sentire umano, il ricordare l'infanzia e il guardare avanti. Sciascia sarebbe scomparso di lì a poco, eppure lo vediamo ancora proteso verso nuovi libri, storie e progetti. Intento a fabbricare, anche quando avviato alla conclusione.
E il lettore che ruolo ha in tutto questo, verrebbe da chiedersi. Io credo sia come invitato ad accomodarsi al caffé sulla piazza o sul terrazzo assolato dell'appartamento in cui Sciascia ha vissuto per anni, mentre accanto e sotto il mondo accade. Quella di sedersi a guardare u passìu è un'arte. Chi è nato in Sicilia lo sa. Ci si siede a guardare la vita che passa e mentre si ragiona, ecco che si mostrano in tutta la loro bellezza le imprevedibili "forme di felicità".
Il loro conversare richiama il significato dell'etimologia della parola: trovarsi insieme, dimorare in uno stesso spazio. Sciascia e Porzio occupano un luogo ideale che diventa discorso. Il filo rosso di questo loro parlare è la stima reciproca, una fraternità che ci riporta a un certo modo di fare cultura: elegante, militante, d'altri tempi. Si abbandonano a un vagare ondivago, la conversazione non è lineare - quale vera conversazione, poi, lo è - mentre ricordi personali, letterari e politici vengono a galla.
Tra i temi portanti della conversazione c'è la Sicilia, metafora della letteratura sciasciana come Terra che ha al centro la ricchezza della terra, isola degli zolfi e della navigazione. Avvicinandosi agli altri grandi siciliani come Bufalino, si parla della familiarità con la morte, delle origini della mafia, si richiamano i Grand Tour ottocenteschi in cui viaggiatori europei vedevano l'isola a tre punte per la prima volta. Tra pupi di zucchero, scene di vita contadina e giochi di scenografie sociali, lo scrittore illumina la Sicilia e il ruolo che ha avuto nella sua produzione.
Ci sono le amate letture - tra le varie Stendhal, Savinio, Manzoni, Pirandello - e si rievocano le prime prove di scrittura, gli insegnanti incontrati lungo la via. Sciascia e Porzio rileggono insieme autori e opere che a volte li uniscono, altre li separano. Poi si parla di religione e di politica ed è qui che la visione illuminista dello scrittore siciliano viene fuori luminosa e chiara. Un uomo contro la mediocrità, contro l'oppressione, sempre a favore della politica ragionevole. L'Italia di fine anni '80 viene così disvelata negli sguardi dei due conversatori e messa in relazione con il suo passato, in particolare con il fascismo come momento chiave, di snodo, nei destini della nazione.
Il dialogo racchiuso in Fuoco all'anima è bruciante come promette il titolo. Sebbene i protagonisti siano ormai arrivati al tramonto della propria esistenza, e non a caso la morte compare spesso tra le pagine, il dialogo arde di una vitalità che a volte somiglia all'ironia (o meglio, all'umorismo pirandelliano), altre alla speranza. C'è il sentire umano, il ricordare l'infanzia e il guardare avanti. Sciascia sarebbe scomparso di lì a poco, eppure lo vediamo ancora proteso verso nuovi libri, storie e progetti. Intento a fabbricare, anche quando avviato alla conclusione.
E il lettore che ruolo ha in tutto questo, verrebbe da chiedersi. Io credo sia come invitato ad accomodarsi al caffé sulla piazza o sul terrazzo assolato dell'appartamento in cui Sciascia ha vissuto per anni, mentre accanto e sotto il mondo accade. Quella di sedersi a guardare u passìu è un'arte. Chi è nato in Sicilia lo sa. Ci si siede a guardare la vita che passa e mentre si ragiona, ecco che si mostrano in tutta la loro bellezza le imprevedibili "forme di felicità".
Edizione di riferimento: Leonardo Sciascia, Fuoco all'anima. Conversazioni con Domenico Porzio, Adelphi, 2021 (a cura di Michele Porzio)
D.P.: Nella letteratura siciliana e nella vecchia poesia dell'isola, esiste una costante fratellanza con la morte, con la morte amica?L.S.: Sì, c'. Nel Gattopardo, ad esempio, la visione finale del principe ha ricordato a qualcuno il finale del film su Toulouse-Lautrec, quando la morte gli appare in aspetto di bella donna. Ma non c'entrava per niente. È l'idea della morte che aveva il principe a esprimersi in quel modo. Prima della guerra, diciamo, fino agli anni Venti, la persona che stava per morire nel proprio letto e non aveva perso coscienza, ne veniva informata. Non solo perché doveva ricevere l'estrema unzione; ma perché il vicinato, ad esempio, accorreva a mandare i saluti ai propri defunti mediante la persona che stava per morire.
D.P.: Il primato che dai a Stendhal nella conoscenza dell'uomo, glielo aggiudichi dopo averlo paragonato a Manzoni, Dostoevskij e ad altri. Perché pensi che proprio lui abbia indovinato la quintessenza dell'animo umano?L.S.: Soprattutto ha letto se stesso e si è rappresentato al mondo. In questo senso la Vita di Henry Brulard è un libro straordinario.
D.P.: Per Borges, in effetti, la felicità sta nell'infanzia, nell'avventura. Penso che Borges abbia letto Stevenson in una di quelle edizioni illustrate ancora in uso ai suoi tempi. Forse non sarà la felicità suprema come lui sosteneva, perché nn credo che qualcuno possa possedere la felicità nella sua totalità, però le si avvicina.L.S.: Sono delle forme di approssimazione. Forme di approssimazione alla felicità. Per me la felicità è in gran parte legata ai libri. I libri letti, i libri da rileggere, i libri che rileggo, i libri che scopro e anche le stampe, la scoperta di una certa acquaforte...
A cura di Claudia Consoli
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