La sostituta
di Sophie
Adriansen e Mathou
a cura di
Chiara Gregori
BeccoGiallo, 2022
Titolo
originale: La remplaçante
Traduzione
di Caterina Ramonda
pp. 150
€ 19.00 (cartaceo)
Ogni anno il 10-15% delle neomamme soffre di depressione post-partum. Questo è il dato, probabilmente sottostimato, da cui parte la necessità di un volume come quello di Sophie Adriansen e Mathou, portato in Italia da BeccoGiallo con una prefazione della ginecologa Chiara Gregori, a cui va il merito di averlo scoperto, in una libreria di Bordeaux, e di averne intuito il potenziale comunicativo. Gregori riflette infatti su come in Italia esista una sorta di “mistica della maternità”, che porta a idealizzare la nascita di un figlio e a far sentire inadeguate le donne che non la cercano, o che la vivono con insicurezza o frustrazione. Proprio per questo è importante che se ne parli, che si smontino gli stereotipi e si rifletta sulle molte sfaccettature e le infinite variabili con cui ogni parto (e ogni partoriente) si deve confrontare.
La
sostituta vuole mostrare
questo lato della medaglia, svelare tutti quei momenti di fragilità in cui la donna si imbatte nel momento in cui
la sua vita cambia, insieme al suo corpo, e alle dinamiche sociali e famigliari
in cui è inserita.
La
storia di Marketa potrebbe essere la storia di qualunque giovane madre, e comincia come una fiaba: l’incontro con
un uomo straordinario e l’inizio di un grande amore, che sfocia in una
maternità attivamente desiderata. La sua è però una fiaba dei tempi nostri, narrata e illustrata con una concretezza che aiuta a sentirla
vicina, a rendere subito partecipe il lettore. Una gravidanza serena, vissuta
in uno stato di entusiasmo e grandi attese, si scontra violentemente con la
realtà in prossimità del parto: le contrazioni di Braxton-Higgs che costringono
Marketa per quindici giorni a letto, l’incontro con personale ospedaliero poco
empatico, l’esperienza di un parto molto doloroso, che ferisce corpo e spirito,
portano la donna a vivere l’arrivo della piccola Zoe con uno stato di estraneità, di distacco (“Mia figlia posata sulla mia pancia. Non so bene che cosa farmene”, p.
28). Mentre le persone intorno non possono capire, neanche quelle più vicine e
premurose, Marketa affronta una
battaglia, non solo interiore. Su di lei gravano le aspettative, più che quelle
effettivamente nutrite da altri quelle autoindotte, tanto pressanti da
impedirle di chiedere aiuto per paura di
essere una delusione come donna e come mamma. La vergogna e il senso di colpa la travolgono per il fatto di non
riuscire a provare la gioia che dovrebbe, e non aiuta nemmeno che l’istinto
materno sembri averlo sviluppato tutto Clovis. Nulla per Marketa è naturale,
tutto è difficile. Il senso di solitudine e abbandono, già forte in ospedale,
aumenta una volta rientrata a casa con la piccola. La accompagna in questo
percorso il tratto illuminato di Mathou, che la rivela nelle notti insonni,
nelle giornate in cui tutto risulta nuovo, con occhi quasi sempre pieni di
lacrime. La consapevolezza a cui giunge la neomamma è amara: “l’inferno deve assomigliare a questo” (p.
62).
Le autrici scelgono con
intelligenza, fedeli al loro obiettivo, di mostrare i primi mesi di una madre
col suo bebè indugiando sugli aspetti
più pratici: i pannolini, le poppate, i bagnetti, le prime passeggiate; a
tutto questo, nel caso della depressione post-partum, si aggiungono i pensieri
cupi della donna che non ha spazi per sé e si sente defraudata del proprio corpo. È proprio in questi frangenti che
Marketa inizia a sognare una sostituta:
quella madre perfetta, che saprebbe fare tutto nel modo giusto, occuparsi
di se stessa e del marito, accudire la piccola Zoe con energia travolgente,
tenere in ordine la casa. Ma più fa confronti tra sé stessa e la propria
versione ideale, più Marketa si sente in difficoltà. Colleziona come medaglie
di cioccolata tutti i riconoscimenti che le arrivano dall’esterno, ma anche
queste non sono che gratificazioni momentanee.
Sono solo il tempo, la pazienza, ma
anche la capacità di aprirsi con i famigliari o con specialisti in grado di
aiutarla a permettere un progressivo
ritorno alla normalità. La sostituta è
un graphic novel prezioso proprio
nella sua capacità di dire la crisi, ma
anche la risalita, i modi in cui la madre si può riappropriare di se stessa
e della propria vita, arrivando a instaurare un rapporto con il proprio nato, a
ritrovare quell’amore profondo, viscerale, che stava nascosto in attesa. La
morale è importante: quando nasce un
bambino, nasce anche una madre, ma non è detto che i tempi siano i
medesimi, o che questa seconda nascita sia meno difficoltosa o dolorosa della
prima. In un’opera equilibrata,
intelligente, che sa mostrare attraverso una intensa carica espressiva
tutto il sentire della sua protagonista, le autrici lanciano un messaggio fondamentale
per tutte le donne, che siano mamme o meno, ma anche per gli uomini che a
queste donne stanno accanto.
Carolina Pernigo
Riproduzione delle immagini autorizzata dalla casa editrice
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