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Le vite che non conosciamo: "Tutti i soldi di Almudena Gomez", il nuovo romanzo di Valentina Di Cesare

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Tutti i soldi di Almudena Gomez
di Valentina Di Cesare
Alessandro Polidoro Editore, 2022
 
pp. 224
€ 14 (cartaceo)

La morte non si può raccontare Almudena, non sono io ad averlo scoperto e i sogni nemmeno. Sono le uniche cose che appartengono solo a noi: la morte e i sogni. (p. 113)
Cosa sappiamo delle persone che incontriamo nella nostra vita? Cosa sappiamo dei loro obiettivi, dei loro sogni, delle loro paure? Pensiamo ai compagni di scuola, a quelli di università, a tutti i colleghi in cui ci imbattiamo, con i quali pranziamo e abbiamo conversazioni quasi ogni giorno ma dei quali – salvo casi eccezionali – quando usciamo dall’ufficio per tornare nelle nostre abitazioni quasi dimentichiamo l’esistenza fino al mattino successivo. Cosa sappiamo di loro, dei loro figli, delle loro abitudini? Riusciamo a immaginarli in pigiama, intenti a fare colazione con gli occhi appesantiti dal sonno?
Poniamoci un secondo queste domande. Diamo loro il tempo di diventare una riflessione concreta sulle vite degli altri, su quel nucleo inconoscibile che le persone accanto a noi, a cui magari diciamo di voler bene, si portano appresso.

Ora applichiamo lo stesso tipo di riflessione a chi pulisce le nostre case, a chi serve i nostri caffè, a chi accudisce i nostri anziani. Andiamo ancora più nel dettaglio e concentriamoci su coloro che hanno lasciato il proprio paese alla ricerca di un futuro migliore: lì hanno lasciato gli affetti, la terra natia, i colori e gli odori a cui erano abituati, per venire qui, fra noi, e vivere il più delle volte una vita appartata, reclusa, lontana dalla nostra. Pensiamo – un istante soltanto – agli ordini che impartiamo alle donne delle pulizie, alle badanti, agli operai che ci entrano nelle case; pensiamo a tutte quelle volte in cui, dopo avergli dato del tu senza pensarci due volte, li abbiamo scrutati con sospetto per controllare se gettassero occhiate furtive alle banconote lasciate sul mobile.

Se tutta questa lunga – e pur doverosa – premessa ha causato una qualche riflessione allora avete avuto un assaggio della potenza del nuovo romanzo di Valentina Di Cesare. Al di là della trama che, a ben vedere, tende un poco a perdersi nel finale e che, in generale, risulta a tratti fin troppo statica, il vero cuore di questo testo sta in due elementi fondamentali: il rapporto intenso fra Almudena e la signora Cols, a cui fa da badante fino all’ultimo giorno; e il silenzio in cui Almudena è immersa e che, per contrasto, rivela tutto il suo mondo interiore.

Almudena Gomez si ritrova a lavorare in casa della signora Ivetta Cols cinque giorni alla settimana per circa quindici anni. In questo lasso di tempo vede la donna farsi piccola, debole, malata, incapace di essere autosufficiente, infine spirare. Con Almudena la signora Cols può essere se stessa più che con le altre persone. Uno dei suoi insegnamenti infatti è che la gente ti ama solo fintanto che mostri loro il tuo lato migliore. È proprio a causa del rapporto di subordinazione che esiste fra le due donne, però, che questa relazione si trasforma nel corso degli anni da rapporto di lavoro ad amicizia sincera. A pensarci bene è un processo quasi naturale: la badante è una delle poche persone che, per il ruolo che ricopre, può vedere l’anziano in tutti i momenti di debolezza e, molto spesso, in tutta la sua nudità. Senza contare il tempo trascorso assieme, che quasi sempre supera quello che i figli possono permettersi, presi dal lavoro, dalle proprie famiglie e dall’egocentrismo causato da una vita in pieno sviluppo. La scrittura di Valentina Di Cesare, delicata e intima, riesce a cogliere alla perfezione il rapporto fra due esseri umani che nulla hanno da perdere: una perché è al termine della propria vita e l’altra perché niente ha costruito nel paese in cui è emigrata vent’anni prima.

C’è poi il discorso del silenzio. Almudena parla pochissimo eppure pensa molto. Riflette su ciò che ha intorno, sugli incontri quotidiani, sugli insegnamenti della signora Cols. Il suo silenzio e l’imperturbabilità del suo volto sono ciò che dà il là alle interpretazioni degli altri. Chiunque entri in contatto con lei si sente in dovere di attribuire il suo essere dimessa a un qualche motivo. I luoghi comuni si sprecano. Di Cesare è brava a barcamenarsi fra gli stereotipi, anzi li sfrutta per muovere una critica neanche troppo velata a questo nostro modo da benpensanti di porci nei confronti del prossimo, soprattutto quando viene da paesi lontani. Quasi ogni singolo personaggio del romanzo – a cominciare ovviamente dai figli della signora Cols, personaggi subdoli che non hanno un solo attributo positivo – si arroga il diritto di consegnare il silenzio di Almudena a un qualche affare losco, a una truffa che sta portando avanti per intascarsi l’eredità della defunta. Il suo silenzio è clamoroso e, come spesso capita, rivela più delle chiacchiere vane delle altre persone.

Va segnalata una piccola nota negativa al testo: la poca attenzione dedicata alla punteggiatura. Capita più volte infatti di trovare virgole fuori posto che indeboliscono la potenza di una frase o addirittura ne modificano l’intenzione originaria. Lo sforzo del lettore nel rimettere a posto i periodi tende ad allontanarlo da una lettura che invece dovrebbe essere scorrevole. È un piccolo difetto che, pur presente, non pregiudica in ogni caso la godibilità complessiva di un romanzo in grado di emozionare e far suscitare intensi ragionamenti.

David Valentini