Monica Vitti
di Cristina Borsatti
Giunti Editore, 2022
pp. 288
€ 19,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
Ci sono molti modi per dare sfogo alla propria ammirazione nei confronti di un attore o un’attrice. Il principale è quello di non perdersi un’interpretazione (al cinema, in TV o a teatro), approfittando poi di vhs, dvd e altri archivi disponibili online per guardare e riguardare a piacimento le varie performance recitative. Poi ci sono le immagini, quelle fotografie d’autore e quegli scatti rubati che santificano i divi e le dive alla stregua di icone o che, viceversa, ne rivelano gli aspetti più terreni e mortali. E poi, ancora, ci sono le parole, dette e scritte: quelle delle interviste, quelle delle recensioni critiche e, quando la carriera e il successo lo permettono e lo richiedono, quelle delle monografie, delle biografie e delle autobiografie. Il pubblico di Monica Vitti (Roma, 3 novembre 1931 – 2 febbraio 2022) ha goduto, in questo senso, di ogni beneficio, e anzi, soprattutto negli ultimi vent’anni, corrispondenti al ritiro dell’artista dalle scene e dalla vita pubblica, ha imparato a fare di necessità virtù. Adesso che Maria Luisa Ceciarelli (questo il suo vero nome) non è più, tutte le prove, le testimonianze e le tracce del suo passaggio nel mondo dello spettacolo sono diventate un repertorio di talento e carattere a cui tornare con rinnovato apprezzamento, profonda gratitudine e sincera malinconia, come sempre accade quando se ne va (ma per restare) una figura unica e inimitabile, ma che è stata, nel contempo, simbolo e modello per generazioni di donne e professioniste.
Così, tra i molteplici omaggi che si sono succeduti per onorarne la memoria, è appena tornato in libreria, in una nuova edizione Giunti, un volume a firma di Cristina Borsatti pubblicato per la prima volta nel 2005: una biografia – già supervisionata e autorizzata dall’artista – che ne ripercorre la vita attraverso film, pièce teatrali e partecipazioni televisive; un lavoro il cui titolo onomastico – Monica Vitti – enuncia un’identità precisa (con il suo non de plume) nella consapevolezza di contenerne però a decine, tante quante le donne interpretate dall’attrice sul set e sui palcoscenici italiani ed europei. Un contributo in onore di una carriera lunga e più che soddisfacente, ricca di successi ma soprattutto di scommesse, di prime volte e di innovazioni che non solo hanno fatto la rivoluzione nella settima arte, ma hanno lasciato il segno negli usi e costumi di un’Italia in piena trasformazione, sia registrandone puntualmente le evoluzioni/involuzioni sia anticipandone aspetti critici, drammatici, contraddittori, buffi e grotteschi.
Nel libro di Borsatti – che è giornalista cinematografica, scrittrice, docente di sceneggiatura, story editor e sceneggiatrice in veste di script doctor nonché produttrice – convivono due anime: la prima, più narrativa, dà voce al racconto biografico vero e proprio, articolandolo in dieci capitoli (pp. 11-186); la seconda, più schematica ma comunque abbastanza estesa, raccoglie invece materiali utili ai fini di una consultazione rapida, includendo non solo Filmografia e Teatrografia (con la prima completa di dati tecnici e trame), ma anche l’elenco delle apparizioni e dei programmi sul piccolo schermo (La televisione) e dei premi ricevuti nel corso della carriera (Riconoscimenti); non mancano poi Bibliografia (con Testi di e su Monica Vitti e Testi di carattere generale), Articoli e recensioni (la suddivisione è per film), Indice dei nomi (con tanto di mini biografie dei personaggi citati) e Indice analitico (pp. 187-288). C’è tutto ciò che occorre, dunque, per ripercorrere la carriera dell’artista, nella consapevolezza però che quanto si andrà a leggere sfiorerà appena le questioni più personali, delegando la responsabilità di indugiare in ambito privato ai libri che la stessa Vitti scrisse di sua iniziativa negli anni Novanta, ovvero Sette sottane (1993) e Il letto è una rosa (1995):
«nell’uno e nell’altro» ricorda Borsatti «Monica si racconta come non aveva mai fatto prima. Neppure in televisione, nei programmi a lei dedicati. Non così a teatro, non al cinema. Per sapere qualcosa di più su Monica, bisogna andare lì, tra quelle pagine. Leggerle piano, con rispetto, lasciare che sia lei, con la sua voce roca e bellissima, a sussurrarle» (p. 186).
L’altra voce, quella che qui conduce il racconto, è invece un’istanza narrativa piena – anzi traboccante! – di ammirazione, che nella dedica iniziale e nei ringraziamenti finali non fa mistero di un coinvolgimento personale, familiare: «un grazie a mia madre» scrive Cristina Borsatti «che come Monica ora non c’è più. Se ho scritto questo volume è perché quando erano giovani si somigliavano tanto» (p. 287). E chi, del resto, non avrebbe desiderato (e ancora oggi non desidererebbe) somigliarle almeno un po’? A lei, a Maria Luisa/Monica, certo, ma anche a tutte le sue eroine, interpretate con un trasformismo mimetico insuperabile e con una capacità del tutto inedita di passare dal dramma alla commedia, dalla tragedia alla farsa. Borsatti le ricorda una per una nella scansione che va di pellicola in pellicola, di copione in copione, evidenziando come ciascuna parte, anche quella risolta nel più breve sketch di un film a episodi, godesse sempre della medesima cura e del medesimo slancio, nonché della medesima gratitudine per recitazione in sé, antidoto tra i più efficaci contro i veleni della vita.
Arricchito da un fascicoletto di belle immagini a colori e in bianco e nero (una selezione di ritratti in posa, istantanee di scena, scatti di backstage) e intervallato da quattro interviste ad altrettanti “uomini illustri” che con Monica Vitti lavorarono in momenti cruciali della sua carriera (Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola, Franco Giraldi), il libro di Borsatti non si perde nei gossip e nei discorsi, per così dire, collaterali: e se, per esempio, anche d’amore si parla – a partire dall’importante relazione con Michelangelo Antonioni, di cui fu compagna e musa allo stesso tempo – l’accenno è presente perché necessario e non altrimenti omettibile, senza nulla concedere a dettagli pettegoli sul ménage. Perché è questa la cifra di questa biografia, nonché la meta della sua ambizione: riuscire a condensare in poco meno di trecento pagine l’enormità del contributo “vittiano” alla storia del nostro cinema, mettendone in evidenza la maestria nell’essere praticamente ogni donna possibile, ogni donna “nuova” in seno a una società in rapida trasformazione come quella italiana dagli anni cinquanta agli anni ottanta. Per questo, corredate e argomentate anche con le citazioni della critica, le lodi dell’autrice insistono soprattutto sulla capacità dell’interprete nell’essere stata l’emblema del cinema dell’incomunicabilità ma anche l’unica vera equivalente femminile dei cosiddetti attori “mattatori” e “colonnelli” della commedia all'italiana (i vari Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Giancarlo Giannini, per non parlare di Alberto Sordi, suo partner d’eccellenza): non un’attrice intrappolata in un ruolo eternamente replicato con poche variazioni sul tema, ma un vero e proprio talento camaleontico, capace di suscitare pianto e risata, di sedurre e giocare con la propria bellezza non convenzionale (“lei è antifotogenica!”, le dissero agli esordi), di trasformare i presunti difetti (su tutti: la voce bassa e roca) in punti di forza e di attrazione, di essere donna del proprio tempo e di farsi “mostro” all’occorrenza, in piena parità di pregi e difetti con i colleghi maschi.
Da annoverare tra i molteplici e riusciti omaggi riservati all’attrice a ridosso della sua scomparsa, la riedizione del libro di Cristina Borsatti offre, in questo momento, un contributo commemorativo a tutti gli effetti “artistico”. Difatti, proprio per la sua sobrietà nei confronti della vita privata della donna che fu Maria Luisa Ceciarelli, il volume è un puro tributo all’attrice, all’interprete e all’autrice. E se è vero che le pubblicazioni autografe sono i luoghi librari in cui scavare per trovare i tesori più intimi del discorso autobiografico, qui, per così dire, si ammira ancora una volta (o magari per la prima volta) la descrizione di quella preziosità che stava già tutta in superficie: la superficie di un grande o di un piccolo schermo, ma anche quella mascherata nel diaframma trasparente e invisibile che a teatro isola la ribalta e le sue luci dal buio della platea, dei palchi e del loggione. Una proiezione ininterrotta, dunque, lunga un’intera vita, e una maratona sulle assi di quei palcoscenici la cui polvere non ha né corrotto né corroso il materiale di cui era fatta l’amatissima diva che li animava, a ogni replica, con la stessa passione del debutto. Non resta altro, scrive Borsatti, che uno scrosciare di applausi; e con esso l’ultimo, struggente, desiderio di un impossibile bis.
Cecilia Mariani
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