Percepisco tutto, tutta l’ostilità, la voglia di massacrarsi a vicenda e la frustrante impossibilità di farlo. Percepisco ogni briciola di mostruosità altrui, la vedo attaccata ai loro volti e alle loro mani come una patina di sporco. (pp. 50-1)
Nella costruzione cristiana del mondo, uno spazio importante è occupato dalla teodicea. Dal greco theos, dio e dike, giustizia, questa branca della teologia indaga il rapporto fra Dio e il male, o meglio: indaga come sia possibile l’esistenza del male in un cosmo creato a immagine e somiglianza di un Dio benevolo e misericordioso come quello cristiano. Uno dei più importanti filosofi dell’antichità ad esempio, Agostino d’Ippona, afferma che il male altro non è se non l’assenza di bene, vale a dire una diminuzione del bene. Un'altra teoria sostiene che il male derivi unicamente dal libero arbitrio dell’uomo, il quale ha sempre modo di scegliere quale percorso seguire.
Insomma, la presenza del male in un mondo
perfetto come quello creato da Dio ha sempre smosso le menti dei pensatori, perché
la sua stessa esistenza può mettere in dubbio quella del Creatore.
Tanto premesso, ciò che colpisce del libro
di Palomba è che quel che vi ritroviamo non ha alcunché di ontologico
– non esiste di per sé – né tantomeno è giustificabile tramite una teodicea.
Non è il male supremo del nazismo, che minaccia di dissolvere l’equilibrio
morale dell’umanità. È piuttosto quello di cui parla Hannah Arendt nel
suo capolavoro Eichmann a Gerusalemme, nel quale, fondamentalmente, si viene
a comprendere come il male perpetrato dal gerarca nazista Adolf Eichmann non
sia stato dovuto a iniziativa individuale, a un odio personale verso gli ebrei,
bensì all’aver eseguito gli ordini dati da qualcun altro. Da qui, l’idea
di banalità del male. In modo similare, vediamo come i personaggi
di Palomba, gente comune che vive in una cittadina anonima, lavora in empori e
scuole e abita in condomini come tutti noi, scelgano di comportarsi male non per qualche
ideologia, né tantomeno per portare avanti dei piani criminosi, bensì per
motivazioni ben più banali. Alcuni si annoiano, altri agiscono senza
riflettere. Quasi tutti abitano il male perché non trovano valide alternative nel
bene.
È questo elemento a rendere inquietante il
romanzo di Palomba: è come avere a che fare con un sociopatico il quale,
interrogato sulle proprie azioni, fornirà risposte perfettamente coerenti ma al
contempo fuori da ogni logica. Comprendere i comportamenti di qualcuno è l’unico
modo per poter dare una giustificazione razionale a quanto
avvenuto e, di conseguenza, fare una quadra della situazione. Davanti all’incomprensibile,
invece, davanti a quanto non può essere spiegato, non vi può essere pace . Allo
stesso modo pace non può esservi davanti a spiegazioni che non danno conto del male provocato. È quanto accade nel bullismo, ad esempio, le cui azioni molto
spesso portano a conseguenze impreviste e distruttive e che, soprattutto, non giustificano le motivazioni futili che vi sono dietro. Ciò che resta, dopo, è
un silenzio carico orrore per l’impossibilità di comprendere quanto accaduto.
Palomba ci presenta un mondo grigio,
asfittico, malato, e tutti questi elementi sembrano manifestarsi fisicamente mentre
la storia prosegue. Il grigiore si espande sui personaggi, le stanze si fanno
più piccole fino a soffocare, la malattia mangia vive le persone.
Tutto degrada, tutto si corrompe e non sembra esserci via d’uscita. Quando
le belve arriveranno è uno di quei romanzi in grado di nauseare per quanto
forte è l’odore di corruzione che promana dalle sue pagine. E questo, in fondo,
è ciò che viene richiesto talvolta alla letteratura: nauseare.
David Valentini
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