di Cara Wall
Fazi, febbraio 2022
Traduzione di Silvia Castoldi
pp. 382
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
L’impianto tradizionale, la riflessione intorno a tematiche e spunti universali e mai esaurite, le radici ben piantate nella tradizione letteraria che l’ha preceduto: Amatissimi, romanzo d’esordio dell’americana Cara Wall del 2019, da poco in libreria per Fazi editore nella traduzione di Silvia Castoldi, è una storia «trascinante», come l'ha definita The New York Times Book Review e senza dubbio un esordio interessante. Una narrazione salda, dalla struttura lineare e dal gusto classico, lontana dalle sperimentazioni tematiche e strutturali della contemporaneità – o almeno, di una certa, amatissima, contemporaneità letteraria – e che per impianto richiama le narrazioni del passato, scegliendo la distanza temporale anche come tempo della storia, ambientata tra gli anni Cinquanta e i Settanta del secolo scorso.
Nessuno sperimentalismo, quindi, ma una storia che si regge sulle tematiche e gli spunti intorno a cui ruota, mediante uno stile narrativo ricco di immagini vividissime, la lingua curata, piana, che trova in Castoldi un’ottima interprete. E un esordio notevole, si diceva, cui si perdona qualche ingenuità – una certa tendenza alla risoluzione dei conflitti, la tentazione dell’happy ending – e che ben si inserisce per alcune delle tematiche trattate nella tradizione letteraria nordamericana.
Il matrimonio e la fede sono a un primo sguardo i due pilastri su cui si regge la narrazione, entrambi topoi letterari per consolidati su cui, per fare solo un esempio fra i più recenti, si concentrava anche Crossroad, l’ultimo romanzo di Franzen; non è un caso, a mio avviso, che anche in quel caso la storia fosse ambientata negli anni Sessanta, dove più saldamente l’autore poteva muoversi per ragionare su fede, conflitto generazionale, matrimonio. Due pilastri che attraversano buona parte della letteratura nordamericana, con esiti molto diversi, anche quando intrecciati fra loro, di cui Uomini di poca fede di Nickolas Butler e Resta con me di Elizabeht Strout sono ancora due ulteriori esempi, notevoli, di un filone molto ricco. Eppure, nonostante sia innegabile la centralità in Amatissimi di matrimonio e fede come perni intorno a cui far ruotare la narrazione tutta, è un altro il tema che a mio parere funge da centro nevralgico e che si può riassumere in una parola: differenze.
Sono infatti le discrepanze, in molteplici accezioni, a muovere la storia, ordirne i fili, generare i contrasti, spingere al cambiamento e intrecciarsi appunto alla riflessione sulla fede e sul matrimonio. A partire dalle differenze sociali, di classe: al centro della storia ci sono due coppie, Lily e Charles, Nan e James, ognuno con un background culturale e famigliare diverso, così come le aspirazioni, i desideri, le motivazioni che li portano a fare scelte simili. Lily è cresciuta un po’ discosta in una grande famiglia, figlia unica ma circondata da zie e cugini che abitano tutti nello stesso quartiere, vicini di casa; una stabilità perduta per sempre con il grave lutto che, giovanissima, la rende orfana. Sempre più racchiusa in sé stessa, si allontana dal passato, dal ricordo, dalla felicità e intraprende un ostinato percorso di studi. Solitaria, determinata, diventa una donna, un’intellettuale, atea, per nulla incline al romanticismo o alla felicità. Sposa Charles, che al contrario di lei è totalmente convinto dei propri sentimenti, fin dal primo momento. Charles è figlio di un accademico, la sua vita divisa in due stagioni: l’inverno fra le mura domestiche, l’austerità del padre e la sua figura ingombrante, la serietà della madre, e le estati nella casa dei nonni a Martha’s Vineyard, la spensieratezza, circondato dai cugini e dalla leggerezza. Una strada ben delineata da percorrere cercando però di non restare all’ombra del padre. Poi, d’improvviso, la scoperta della fede: una rivelazione, un sentimento profondo che non può essere ignorato. E contro il parere di tutti, intraprende quella strada. La fede (Charles) e la sua mancanza (Lily), la tendenza alla felicità, l’annientamento nella perdita.
[…] Lily capì che lo sperava, e la verità era che lei non pensava di poter amare nessuno. Poteva amare oggetti, come le lenzuola di lino, le peonie e il tè forte. Poteva amare Richard e Miriam, perché era loro grata di tutto quello che avevano fatto per lei. Ricordava di aver amato i suoi genitori ed era ancora capace di riconoscere quel sentimento nei personaggi delle trame dei libri che leggeva. Ma il prerequisito dell’amore era la fiducia, e Lily non si fidava di niente. (p. 95)
Nan è cresciuta in Mississippi, figlia amatissima di un pastore, educata a essere gentile e rispettosa con tutti, di qualsiasi estrazione sociale o condizione; osserva sua madre e le donne come lei immaginando per sé lo stesso futuro: un buon matrimonio, una casa, dei bambini da crescere, le visite ai vicini, l’impegno nella Chiesa. Un’infanzia ovattata, l’ingenua sicurezza nel futuro. Si innamora di James e la prima, assoluta, differenza tra loro è il contesto famigliare in cui sono cresciuti: un padre alcolista e violento, mai davvero tornato dalla guerra, una casa trascurata, un’infanzia allo sbando.
Quasi tutti i ragazzi che James conosceva avevano paura dei loro padri, perché sapevano che quei padri avevano ucciso altri uomini; che erano capaci di combattere fino alla morte a mani nude, con i coltelli e le armi da fuoco. Quasi tutti quei padri erano tornati dal fronte e avevano tirato avanti. Una volta a casa, avevano costruito dei muri tra le guerre e le loro vite; muri alti, spessi, di filo spinato, che permettevano loro, ogni giorno feriale, di farsi la doccia, radersi, mettersi il cappello e andare al lavoro. (p. 32)
È proprio per non perdersi, per trovare uno scopo e tenersi alla larga dai bar e dalla strada che James coglie un’opportunità, l’unica che gli si presenti, accettando l’aiuto di uno zio che vive in Inghilterra e gli permette di studiare. Poi, la scelta meditata e non priva di dubbi, di diventare ministro del culto. Ancora, una sostanziale differenza fra lui e Nan, l’una guidata da una fede assoluta, “naturale”, l’altro sempre tormentato dal dubbio.
L’incontro fra i quattro segnerà l’andamento delle vite di ognuno di loro, fra distanze e sostegno, amicizia ed estraneità, ancora una volta quindi segnato dal dualismo, dal contrasto su cui si regge la narrazione. James e Charles sono scelti per un ministero congiunto, la storica Terza Chiesa Presbiteriana del Greenwich Village a New York, cui approdano dopo esperienze diverse, all’estero o in piccole comunità della provincia americana, e con un bagaglio personale e matrimoniale differente. Qui, tra una comunità di fedeli che rischia di disperdersi, cambiamenti sociali e crisi personali, costruiscono quarant’anni di vita, di lavoro condiviso, di amicizia o di distanze. Laddove il rapporto fra i due pastori si fa fin da principio strettissimo e necessario l’uno per l’altro, quello fra Nan e Lily sarà sempre segnato da distanze incolmabili e brevi avvicinamenti, basato su differenze troppo profonde per essere ignorate.
Scandito in tre tempi-blocchi narrativi, il romanzo di Wall è quindi una riflessione molto interessante e lucida sulla fede e la sua mancanza, sui dubbi dell’uomo, le difficoltà e, soprattutto, sui rapporti umani: il matrimonio, l’amicizia sono il cuore della narrazione, osservate nelle reciproche differenze, nelle distanze e nelle incomprensioni, mentre intorno a loro il mondo è scosso da gravi crisi – la guerra, ancora – , la società cambia e si evolve ma ne emergono anche nuove criticità.
Il discorso stesso sulla fede è più interessante e articolato di quanto inizialmente pensavo: tralasciando qualche brano di troppo – ma che comunque ben si addice al personaggio di Charles e alla sua impostazione accademica, la vocazione in contrasto con l’ateismo della moglie – rappresenta comunque una riflessione stimolante su questioni che diventano filosofiche, si intrecciano al quotidiano, alle relazioni, alla malattia e alla morte. Nei dubbi di James, nella sua irrequietezza e nel desiderio di confrontarsi col mondo, riconosciamo molte delle incertezze e delle urgenze di cambiamento che non sono solo degli uomini di fede, ma di chi si batte contro l’ingiustizia. Il rapporto fra James e Charles, solido, immediato, necessario l’uno per l’altro, proprio in virtù di quelle differenze che li caratterizzano – come evidente fin dal prologo, con il dolore devastante per la morte di Charles – non si potrà mai specchiare in quello di Nan e Lily che nonostante quarant’anni di vita condivisa restano troppo distanti perché diverse, incapaci di superare le differenze se non per brevi attimi.
Era quella la differenza fra loro due, l’architettura fondamentale che Nan non era mai riuscita a espugnare. Lei era cedevole, Lily inflessibile. Lei oscillava, Lily era un filo a piombo. Perfino in quel momento Nan si rendeva conto che si stava guardando attorno, in cerca di un rinvio; Lily avrebbe già capito che avevano raggiunto un epilogo. (Prologo, p. 10)
È nel tratteggiare questo rapporto conflittuale e imperfetto che a mio avviso Wall da prova di una maturità artistica in divenire, non concedendo buonismi o semplicistiche soluzioni, ma ponendo davanti al lettore due personaggi femminili profondamente diversi che l’amicizia tra i coniugi e problematiche similari non possono bastare ad avvicinare. Compiono scelte e percorsi di vita propri, l’una dedita alla musica e al lavoro per la comunità nel tentativo di soffocare la sofferenza per la mancata maternità, l’altra sempre più affascinata dal mondo esterno, dalla spinta al cambiamento, le contestazioni, il fermento intellettuale. Due donne che restano se stesse.
Nel silenzio, Nan si rese conto che ben presto tutte quelle donne se ne sarebbero andate. Tutte le donne come sua madre, che credevano nel preparare biscotti in forno, nello scambiarsi visite, nell’allevare bambini e nei lunghi pomeriggi trascorsi in casa. Ben presto tutte le donne che la capivano se ne sarebbero andate, e lei sarebbe rimasta sola con le donne come Lily, quelle che si aspettavano si facesse strada da sé, con le proprie forze, nel mondo. (p. 258)
Il tema della genitorialità è altrettanto fondante in questo romanzo: osservata dal punto di vista generazionale, nel rapporto di ognuno di loro con la famiglia d’origine, o vissuta direttamente, tra difficoltà insormontabili, sofferenza, mancanze. Un tema che inevitabilmente si inserisce nel discorso sulla coppia, tra aspettative diverse e simili timori, ma anche in rapporto all’altro duo, ancora una volta senza cedere a facili buonismi ma lasciando intravedere meschinità e sentimenti scomodi, reali.
Credo che il romanzo di Wall possa ben inserirsi nella tradizione letteraria cui si accennava in apertura, ma è anche capace di dialogare con la contemporaneità, se non nelle sperimentazioni tematiche o strutturali nella spinta a riflettere ancora intorno a tematiche mai esaurite, di cui sceglie punti di osservazione mutevoli, obliqui, per questo interessanti. E ci racconta, ancora, la nostra umana fragilità, il dubbio, l’irrequietezza.