di Sally Rooney
Einaudi, marzo 2022
Traduzione di Maurizia Balmelli
pp. 312
€ 20 (cartaceo)
€10,99 (ebook)
E di cosa parlano, i tuoi libri? Oh, non so, disse lei. Delle persone. (p. 12)
No, Sally Rooney non è una scrittrice sopravvalutata. Quando un autore – specie se giovane, specie se donna – ottiene piuttosto in fretta attenzione di pubblico e critica la domanda che gira spesso è quanto reale sia il talento o quanto invece sia frutto di un’ottima campagna di marketing. Rooney, classe 1991, irlandese, si è imposta sulla scena letteraria internazionale fin dal suo romanzo d’esordio, Parlarne tra amici (qui la recensione di Gloria Ghioni e qui l'approfondimento di Debora Lambruschini), seguito dal successo di Persone normali da cui è stata tratta una bellissima serie Tv di cui lei stessa ha curato la sceneggiatura; ora torna in libreria – in Italia sempre per Einaudi e nell'ottima traduzione di Maurizia Balmelli – con un nuovo romanzo dal titolo emblematico, Dove sei, mondo bello e, ancora una volta, ci si interroga sul valore letterario dei libri di Rooney.
Credo di aver già chiarito in apertura dove si colloca il mio giudizio: i romanzi di Rooney non sono privi di difetti e dividono i lettori, ma tra quelle pagine ho trovato molta vita, molta stratificazione e capacità di vivisezionare i rapporti umani, in un dialogo letterario più ampio, attento alle istanze del contemporaneo. Si dice spesso di Rooney che sia una "scrittrice generazionale", per la capacità di scandagliare così bene l’animo e le contraddizioni dei Millennials alle prese con le incertezze dei tempi attuali, la crisi famigliare, la precarietà del lavoro, le insicurezze dei sentimenti; sì, Rooney è molto brava a raccontarci e rappresentiamo il suo pubblico ideale, quello che d’istinto comprende molte delle sfaccettature di questi personaggi in equilibrio precario, ma sarebbe un errore credere che sia solo una scrittrice generazionale appunto. Sia i romanzi precedenti che, a un livello ancor maggiore, Dove sei, mondo bello, rivelano la capacità di Rooney di scandagliare le pieghe dell’animo umano, concentrando lo sguardo sulle relazioni, sulle distanze e le difficoltà di comunicazione, sulla frattura tra ideale e realtà, intrecciandovi una non stereotipata riflessione sulle differenze di classe, sulla contemporaneità, sull’arte e la cultura.
Di tutti questi elementi erano disseminati anche i romanzi precedenti e in questo ultimo lavoro trovano un’espressione più matura, uno sguardo ancora nuovo. Se vi è un punto debole in Dove sei, mondo bello è in quella leziosità che a tratti appare nelle email che si scambiano due delle protagoniste, Alice e Eileen, il mezzo per l’autrice di aprire la narrazione a spunti altri, alla riflessione sulle contraddizioni della società contemporanea, sull’arte, la decadenza, il consumismo, la politica, ma che scivolano spesso nel manierismo e che, per una narratrice capace come Rooney, appaiono un po’ come una scorciatoia narrativa. Romanzi imperfetti, si era detto, eppure anche con quei difetti si costruisce una narrazione affascinante che rinnova una materia letteraria per sua natura non originale grazie a uno sguardo nuovo, non stereotipato. I sentimenti, le relazioni, le persone, sono il perno narrativo di Rooney, di cui sceglie di osservare le fragilità, le incomprensioni, le mancanze, lo scostamento fra ciò che di noi vediamo e ciò che gli altri percepiscono, le dinamiche di potere all’interno dei rapporti e, non da ultima, la questione di classe, un punto di vista che pareva essere un po’ scomparso dalla narrativa contemporanea ma che assume qui ulteriori caratteri.
Se poi allarghiamo lo sguardo ad abbracciare un po’ della produzione letteraria dall’Irlanda contemporanea è piuttosto evidente quanto sia – ancora – terreno assai fertile, da cui arrivano tra le voci più interessanti, originali e spesso disturbanti della narrativa di oggi: penso, solo per fare alcuni esempi, a Megan Nolan e al suo potente Atti di sottomissione, i romanzi brutali e bellissimi di Eimear McBride (Una ragazza lasciata a metà, Bohémien minori), Naoise Dolan (Tempi eccitanti) quasi sempre – ed erroneamente – accostata alla Rooney appunto, Anna Burns (Milkman), Nora Hoult, Sinéad Gleeson. E da qui arriva anche Rooney, con la sua prosa misurata, secca, priva di orpelli inutili; i suoi romanzi, compreso Dove sei, mondo bello, non hanno la brutalità di alcuni fra quelli citati poc’anzi, né incendiano la pagina scorticando il lettore, ma sono capaci di insinuarsi sotto pelle, mettendoci a nudo, indagando tra le pieghe e le oscurità dei suoi personaggi, tra il peso della solitudine e le paure.
Dove sei, mondo bello si colloca quindi perfettamente nell’universo letterario di Rooney e come Parlarne tra amici la narrazione ruota intorno a quattro personaggi: Alice, la ricca scrittrice reduce da un crollo nervoso che cerca di rimettere insieme i pezzi; Felix, conosciuto su Tinder, un lavoro modesto e un passato problematico; Eileen, l’amicizia che la lega ad Alice, la precarietà lavorativa e dei rapporti; il suo legame con Simon, amico d’infanzia, consulente politico e cattolico, tra continui avvicinamenti e paure. Ecco in superficie quello che c’è in questa narrazione, ma è appena più sotto che si trova la parte più interessante: tra le pieghe di quelle email che Alice ed Eileen si scambiano o nei loro silenzi, nelle distanze, nei messaggi non inviati, nelle porte chiuse, nelle conversazioni, nel sesso. La questione di classe, si diceva, una costante nelle opere di Rooney, un noi e loro che torna sempre: è la distanza fra Alice e Felix, il mezzo o la colpa con cui esercitare il proprio potere all’interno della relazione; è l’accesso a un mondo – quello letterario – da cui gli altri sono preclusi, ricchezze e privilegi intrisi di irrealtà, sconforto, distanza. Sul mondo letterario e la distanza dal mondo reale si aprono poi squarci davvero interessanti:
La verità è che della “vita ordinaria” loro non sanno niente. La maggior parte di loro non alza gli occhi sul mondo reale da decenni. […] e molti di loro vengono da ambienti normali tipo il mio, tra l’altro. Non sono tutti figli della borghesia. Il punto è che hanno tagliato i ponti con la vita ordinaria […] e adesso quando si voltano indietro cercando di ricordare come fosse, la vita ordinaria è talmente lontana che devono strizzare gli occhi. (p. 87)
La macchina delle presentazioni letterarie, i circoli culturali, la personalità autoriale, attraverso Alice Rooney ricostruisce molte delle dinamiche di un mondo più complesso e contraddittorio di quanto il lettore talvolta immagina, scardinando qualche stereotipo e lanciando qui e là riflessioni scomode:
[…] un esempio perfetto della nostra “cultura del libro” superficiale e autocompiaciuta, che respinge i non-lettori tacciandoli di inferiorità morale, e secondo la quale più libri leggi, meglio sei degli altri. (p. 294)
Il successo, la ricchezza, conquistati da giovane hanno permesso ad Alice di allontanarsi dall’ambiente e dalla famiglia d’origine, dall’alcolismo del padre, dalla mediocrità della vita di provincia; è stato il mezzo per innalzare un muro fra loro e lei, ma di quel mondo letterario ne osserva anche le crepe, le ipocrisie. È una celebrità, ha una pagina dedicata su Wikipedia dove accanto a premi e bibliografia ci sono tutti i suoi fallimenti personali come le ricordano spesso gli estranei, morbosamente curiosi di saperne di più, del crollo nervoso, del successo. Alice è un personaggio complesso, affascinante e vero, che riflette su quanto realtà e ideale discostino fra loro, su quello che è stato sacrificato, sulla necessità della scrittura e l’idea talvolta che tutto quanto manchi di un senso. Ma è lo stesso per tutti, anche per chi nel mondo culturale è rimasto ai margini, come Eileen, redattrice in una rivista letteraria, con scarse possibilità di carriera; nel caos del mondo – che proprio alla fine si apre sulla contemporaneità più immediata – e nella precarietà delle cose torniamo all’amore, all’amicizia, al sesso:
[…] ecco che nel bel mezzo di tutto, con il mondo messo com’è, l’umanità sull’orlo dell’estinzione, io mi ritrovo qui a scriverti un’altra mail a proposito di sesso e amicizia. C’è altro per cui valga la pena vivere? (p. 126)
No, o forse poco altro. E mentre Eileen come gli altri tenta di capire che cosa sia successo alla propria vita, si avvicina e si allontana da Simon, ferisce e distrugge. Simon, sé stessa. Credevamo che fosse Alice il personaggio più fragile, all’indomani di un crollo che l’aveva costretta in ospedale, allontanata dal mondo, forse anche dalla scrittura; pagina dopo pagina mi sono resa conto che ognuno di loro, in modo diverso, è fragile. E ha paura, come l’abbiamo tutti. Di fallire, di non essere amati o di deludere chi ci ama. Di non riuscire a raggiungere quell’idea infantile di felicità, di non avvicinarcisi nemmeno un poco:
Quando cerco di immaginarmi come potrebbe essere una vita felice, mi accorgo che da quando ero bambina l’immagine non è molto cambiata: una casa circondata da alberi e fiori, un fiume nei paraggi e una stanza piena di libri, e qualcuno che mi ami, nient’altro. (p. 192)
Ecco, se c’è qualcosa che rende adatta l’etichetta di scrittrice generazionale per Rooney è proprio qui, nella comprensione delle paure, delle ombre, del peso della solitudine, del sentirsi sbagliati, danneggiati a volte. È qui che scava dentro di noi e ci mette a nudo, con quella scrittura misurata, i dialoghi e la narrazione del sesso mai artificiosi, per un attimo capace di annullare la distanza fra testo e realtà. Con i suoi personaggi, fragili, spesso antipatici, outsider, non troverà sempre la simpatia dei lettori ma, di certo, tra quelle pieghe, nelle zone grigie, proprio lì ci sono le persone normali di Rooney.