Un dramma di simmetrie non sovrapponibili, di origini affini e amore malcorrisposto: "Ippolito" di Euripide

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Ippolito. La tragedia dell’amore
di Euripide
Illustrazioni di Emanuela Orciari
rueBallu, 2021

pp. 79
€ 18 (cartaceo)


La malattia mortale: l’amore. Questa è l’origine della tragedia di Euripide, Ippolito, pubblicata nella magnifica ed eterea edizione di rueBallu per ragazzi, con le illustrazioni dal tratto impalpabile e talvolta giottesco di Emanuela Orciari, avvalorato dalla Materica (carta naturale realizzata con fibre di cotone). Le linee sottili dell’artista seguono il malinconico e tormentato sentimento umano preso e rimestato dagli dei e da oscure storie di antiche discendenze, guidando lo spettatore in un mondo altro, quello degli incubi vestiti di armonia e affabilità.

Quello di Euripide è un dramma di simmetrie non sovrapponibili, di origini affini e amore malcorrisposto.
Da una parte, Ippolito e Teseo, figlio e padre, discosti per ragione e sentimento; il primo, figlio di un unione non nobile, il secondo figlio di leggende, ma entrambi riconosciuti e legittimati alla vita da mortali illustri. Dall’altra, Fedra, moglie legittima di Teseo, e l’insidiosa malevolenza della nutrice. Essi sono specchi incapaci di riflettere, sono bocche inabili alla parola valevole, sono volontà altere, che si dimostrano inadatte all’esercizio della condivisione, dunque della risoluzione. Eppure, nessuna colpa è imputabile direttamente alle loro vite, ma solo alla dea dell’amore e della bellezza, Afrodite, adirata con la cocciuta dedizione di Ippolito alla verginità e alla resistenza al matrimonio, giovane fedele solo alla dea Artemide, protettrice dell’illibatezza e della pudicizia.

Come si possono rifiutare i piaceri della carne e la gioia divina dell’amore? Quali altre punizioni meritano coloro che rifiutano il sentimento afrodisiaco se non il declino della vita?
Afrodite ha chiaro il suo piano: Fedra, la matrigna di Ippolito, si infiammerà di una cieca passione per il giovane, e non ha importanza quante parole tratteranno le sue labbra, quante lacrime cadranno mute sulla terra, ella sarà la polvere nera granulata del filo della vita, inconsapevole di essere pronta a divampare.
«Reggetemi, il capo, amiche, reggetemi: mi sento mancare. Le mie belle mani prendete, ancelle, anche la benda sul capo è pesante: toglietela, lasciate che i riccioli mi scendano sopra le spalle [...] Che mi succede? Sono folle, sono preda di un Demone. Ahimè! Nascondi di nuovo il mio capo, nutrice. Mi vergogno di quello che ho detto… Un grande male è la follia: meglio morire, senza aver coscienza del male». (pp. 19-21)
Ecco che Fedra impossessata da frenesia erotica lascia tracimare parole di disperazione, che la nutrice raccoglie per alimentarsene, e per rigurgitarle subito dopo, con la malevolenza e l’insidia. Questo è il momento più elevato della tragedia di Euripide, poiché le parole non dette fino a quell’istante divengono incontrollatamente fulminee, scatenando l’irreparabile.

Una donna logorata dall’amore non consumato si affida al suicidio per avere in cambio la libertà, lasciando a coloro che ancora calpestano la terra parole prigioniere di una penna menzognera, che dall’odio generano ancor più impetuoso odio.
«Ippolito ha osato profanare il mio letto, ha disprezzato l’autorità di Zeus! O padre mio Poseidone, che hai promesso di ascoltare tre preghiere, ora uccidi mio figlio: fa che non viva oltre questo giorno o lo bandirò da questa terra e sopporterà una dolorosa esistenza, errando lontano in un paese straniero» (p.49).
È evidente che la preghiera affrettata del re di Atene cela un’ira antica, pressoché incomprensibile al lettore contemporaneo, come se in Teseo risiedesse un timore abominevole verso quel figlio determinato, puro e inoffensivo, legittimo di sangue ma illegittimo per successione al trono, poiché legato, per parte di madre, alla stirpe delle Amazzoni (donne che vivono senza il controllo del maschio, e che per riprodursi si uniscono a stranieri), dunque non meritevole di discendenza nobile. E quale momento migliore per delegittimarlo se non quello di un evento che avrebbe potuto macchiare la reputazione di uomo e sovrano indiscusso?

Ippolito è la tragedia dell’amore non dichiarato, del timore di essere scoperti e spodestati, della menzogna e della vendetta.
Ippolito è la rivalità muta, la più spaventosa; è il segreto svelato con l'inganno.
Ippolito è l’universo umano.

Olga Brandonisio