Il sesso che verrà
di Katherine Angel
Blackie, marzo 2022
Traduzione di Veronica Raimo e Alice Spano
pp. 192
€ 18 (cartaceo)
Come possiamo affrontare l’argomento della sessualità femminile oggi? Dopo decenni di lotte per la liberazione sessuale e il movimento del #MeToo, l’ambito pubblico e privato della sessualità femminile sembrano essere ormai legati a doppio filo, e non sembra più possibile vivere la propria sessualità come un atto non intrinsecamente politico. Ma sarà questa la strada giusta da percorrere per arrivare a quel “buon sesso” di cui parlava già Foucault, auspicandolo per il “domani”? Katherine Angel, nella versione originale, intitola il suo saggio proprio così, Tomorrow sex will be good again, citando Foucault; ma se il domani di Foucault è il nostro oggi, il buon sesso non sembra ancora essere stato raggiunto. E se non ne siete convinti, chiedetelo a qualunque donna attorno a voi.
Tramite un’analisi puntuale della cosiddetta consent culture, la cultura sessuale basata sulla chiarezza del consenso esplicito, e percorrendo decenni di studi sulla sessualità sia dal punto di vista scientifico che sociale, Katherine Angel non si perde in chiacchiere, e affronta subito il nodo della questione: il sesso non è sempre bello. È un luogo estremamente complicato, anche a causa della stratificazione di istanze pubbliche e private di cui sopra: tra variabili contestuali, personali, fisiche, emotive, e, perché no, anche politiche, è veramente difficile capirci qualcosa. È qui che Angel cambia le carte in tavola: no, non dobbiamo per forza capirci qualcosa per vivere il sesso in modo liberato e consapevole. È questo il problema alla base della cultura del consenso: che si basa sul porre un obiettivo irraggiungibile. Quello di riuscire ad affermare in ogni momento ad alta voce e chiaramente che quello che sta accadendo è piacevole e giusto. Il che non solo consiste nel caricare sulle spalle delle donne il gravosissimo compito di capirsi al cento per cento in ogni istante (cosa non facile nemmeno fuori dalla camera da letto!), ma mette da parte l’aspetto più bello del sesso: il porsi in una condizione di vulnerabilità.
Quand’è che ci siamo convinte di questa idea che sappiamo cosa vogliamo, che si tratti di sesso o altro? La retorica del consenso implica anche spesso che il desiderio sia qualcosa che giace lì in attesa, totalmente formato al nostro interno, pronto ad essere estratto. Invece il nostro desiderio emerge nell’interazione; non sappiamo sempre cosa vogliamo, a volte scopriamo cose che non sapevamo di desiderare, a volte scopriamo cosa desideriamo solo nel processo. Questo punto – che non sempre sappiamo cosa vogliamo, né sempre sappiamo esprimere cosa vogliamo – dev’essere compreso nell’etica del sesso e non messo da parte come un inconveniente. (p. 69)
Dopotutto anche la ricerca sessuale, sin dall’inizio del Novecento, ha cercato di gettare una luce incontrovertibile sul desiderio sessuale, rendendolo un dato freddo e scientifico. In questo senso, non sorprende che lo stesso atteggiamento iperscientifico sia stato visto come l’antidoto alla violenza sessuale di genere: per evitare le violenze, la soluzione, ancora una volta, non viene indicata in una diversa educazione sessuale, ma è un compito che spetta alle donne. Dobbiamo essere chiare, decise, forti e indipendenti. Altrimenti tutto ciò che ci accade è colpa nostra. Ce la siamo cercata.
Ma forse non è questa la strada giusta per il buon sesso. Sotto tutta questa retorica di forza e affermazione di sé, nel momento dell'atto sessuale rimaniamo comunque eternamente vulnerabili. E forse riconoscere questa vulnerabilità estrema, che inficia allo stesso modo l’esperienza di tutti, a prescindere della propria identità di genere, è l’unico modo affinché essa possa essere rispettata e accolta da tutte le parti coinvolte: affinché il sesso diventi un’occasione di gioia e di scoperta. Complicata come ogni cosa bella.
Marta Olivi
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