“La ciociara”, cambiamenti e percorsi interiori nel romanzo di Alberto Moravia - un invito alla lettura

 




La ciociara
di Alberto Moravia
Bompiani, 2001

1^ edizione: 1957

pp. 322
€ 12,00 (cartaceo)
Disponibile in ebook gratis su Kindle Unlimited

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Quando si pensa agli esempi letterari riguardanti i temi dell’alienazione sociale e dell’ipocrisia dilagante nella società borghese, non possono che affacciarsi alla memoria i romanzi di Alberto Moravia. Dal potente esordio narrativo con Gli indifferenti, la produzione di Moravia raccoglie analisi implacabili sull’aridità morale che corrode i personaggi del mondo borghese, la cui sofferenza va di pari passo con il distacco nei confronti della vita. Ma questi temi si declinano in maniera differente nelle opere di Moravia, in relazione al vissuto dello scrittore che negli anni si arricchisce di esperienze destinate alla trasposizione letteraria. Una su tutte, la seconda guerra mondiale e lo stravolgimento della propria esistenza nel periodo dell’occupazione tedesca.
Dopo gli avvenimenti dell’8 settembre 1943, Moravia si rifugia con la moglie Elsa Morante nel villaggio montano di Sant’Agata, a Fondi, dove resterà fino a maggio 1944. Da questa esperienza nasce il romanzo La ciociara, scritto parte nel 1944 e parte tredici anni più tardi. Opera dal grande successo di pubblico, La ciociara è stato oggetto di numerose trasposizioni teatrali e cinematografiche e tutt’oggi a Fondi si tengono periodicamente dei convegni chiamati Alberto Moravia e La ciociara. Letteratura. Storia. Cinema.

Cesira, di origine contadina, vive a Roma dove possiede una casa e un negozio. Rimasta vedova, ha un bel legame con la figlia Rosetta, adolescente devota e di buon cuore. Quando l’esercito tedesco si avvicina a Roma, madre e figlia fuggono in Ciociaria, terra natale di Cesira. Qui soggiornano presso alcune famiglie dove hanno modo di conoscere Michele, giovane studente marxista disposto a sacrificare tutto per i suoi ideali. Cesira e Rosetta trascorrono ore insieme a questo ragazzo così diverso da loro, e nei suoi discorsi complessi, che non comprendono fino in fondo, individuano l’opportunità di acquisire un nuovo sguardo sul mondo. Cesira, cresciuta in un ambiente intriso di fascismo dove la realtà presentata dalle autorità pareva la sola possibile, inizia a maturare una consapevolezza diversa: si possono riconoscere altre versioni rispetto a quelle dei piani alti. E le può riconoscere anche un ragazzo cresciuto ed educato dai fascisti, il quale tuttavia mantiene «una sfiducia antica, incrollabile, incallita, in tutti e in tutto» (p. 138), che lo porta a odiare lo stesso mondo che l’ha allevato. La naturalezza con cui Michele si scaglia contro Mussolini e il regime incuriosisce Cesira, donna ignorante ma dalla bontà d’animo intatta, nella quale è possibile piantare i semi di una coscienza rinnovata (con i contadini, dirà Michele, si può ricominciare da capo). Ma la situazione precipita e Cesira e Rosetta si trovano a toccare con mano il dramma della guerra e il decadimento dei rapporti umani. E dalla Liberazione, che dopo mesi finalmente arriva, le due donne imparano a loro spese una dolorosa lezione: il male e il bene non stanno mai da una parte sola e l’atrocità della guerra inquina tutto e tutti. Al termine di questa esperienza, nessuna delle due donne sarà mai più come prima.

La critica ha ampiamente riconosciuto a Moravia la capacità di trattare in modo magistrale il tema del cambiamento in rapporto alla guerra. Un cambiamento che ovviamente investe l’esistenza quotidiana, ma che nel caso della Ciociara è prima di tutto un articolato percorso interiore. All’inizio del libro conosciamo Cesira e subito impariamo ad apprezzarne l’animo semplice: la protagonista suscita un’immediata simpatia, per l’indole frizzante e la spontaneità proveniente da un’ignoranza da lei stessa riconosciuta e accettata. Rosetta, invece, viene descritta dalla madre come la figlia perfetta, una di quelle persone votate al bene in maniera del tutto naturale, senza forzatura alcuna.

La guerra, il dolore, l’umiliazione: sono cose che, nell’esatto momento in cui vengono sperimentate nella loro forma più autentica, possono cambiare tutto. Ma in questo romanzo Moravia va oltre, e mostra che il cambiamento portato dalle avversità è soltanto la rivelazione dell’intima natura delle cose e delle persone: osservandole con attenzione, si ritroveranno gli stessi tratti che si credevano persi. Rosetta, il personaggio al quale più di tutti è affidato questo messaggio, ha vissuto una vita umile, al riparo dagli sconvolgimenti che temprano il carattere. Le persone non si definiscono al di fuori della vita che vivono. Come Cesira stessa riconosce, «la perfezione di Rosetta era quella che ci voleva per la pace […] ma non era la perfezione che ci vuole per la guerra, che richiede invece un altro genere di qualità» (p. 122). E quello che avviene in questi casi è che la presunta perfezione, derivante dall’inesperienza, si sfalda e dà modo al carattere di palesarsi nella sua interezza. Se il risultato sia una persona migliore, sempre che esista un modo univoco per classificare la bontà o meno di un individuo, esula dall’analisi di Moravia. Quel che è certo è che al termine di quest’opera lo scrittore restituisce personaggi veri, reali, cambiati ma presenti a sé stessi, che concedono spazio al dolore per penetrare la realtà in modo più profondo e consapevole. È quella verità di cui Moravia denuncia l’assenza nel mondo borghese, costellato di tipi umani vuoti e freddi, contro i quali lo scrittore non manca di scagliarsi anche in questo romanzo:
«Siete tutti morti, siamo tutti morti e crediamo di essere vivi… finché crederemo di essere vivi perché ci abbiamo le nostre stoffe, le nostre paure, i nostri affarucci, le nostre famiglie, i nostri figli, saremo morti… soltanto il giorno in cui ci accorgeremo di essere morti, stramorti, putrefatti, decomposti e che puzziamo di cadavere lontano un miglio, soltanto allora cominceremo ad essere appena appena vivi» (p. 164).

Alessia Martoni