#CriticaLibera - Quando saper scegliere le parole rende liberi: due consigli di lettura sull'italiano contemporaneo




Desidero partire da un siparietto familiare, che si ripete almeno due o tre volte al mese. A tavola, capita che, quando la conversazione si anima e mi lascio trascinare dal discorso, mio papà interrompa la comunicazione per lamentarsi di un termine - un regionalismo, un'espressione dialettale o gergale - e tuoni: "Un'insegnante come te!". Ogni volta, puntuale, gli ricordo: "Proprio perché ho studiato, posso decidere quale termine usare in questo contesto!". E di solito lo scambio di battute finisce lì, per riproporsi qualche settimana dopo. 
Ognuno ha il suo lessico familiare, si sa, ma ho raccontato questo episodio frequente per introdurre un tema importante: è la padronanza nell'uso della nostra lingua a permetterci di scegliere, liberamente, quale parola o quale costrutto morfosintattico sia da ritenersi più adatto al contesto, agli interlocutori, al mezzo, e non solo più corretto grammaticalmente. 

Periodicamente escono in libreria opere di diversa caratura, pensate per lettori "laici" che desiderano migliorare la propria padronanza linguistica. Spesso queste pubblicazioni funzionano come dei vademecum, e dunque pongono l'attenzione sull'italiano contemporaneo, sui suoi usi e abusi, orali e/o scritti: c'è chi urla che la nostra lingua sta malissimo e chi invece la difende; c'è chi prescrive e chi descrive;... Sicuramente cambia molto se l'autore o l'autrice sia un insegnante o un linguista, ad esempio. 
A tal proposito, eccomi a proporvi due testi ben diversi eppure, in qualche modo, complementari, da poco arrivati in libreria. 


La lingua parla (di te)
di Mariangela De Luca
Sperling & Kupfer, 2022

pp. 175
€ 17,99 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)

Profondamente innamorato della lingua è l'approccio di Mariangela De Luca, insegnante di Italiano, divulgatrice culturale e già autrice di Galeotto fu 'l libro. L'autrice si propone con il suo scavo nella nostra lingua di sensibilizzare i suoi lettori all'uso più consapevole dell'italiano. 
La parola "errore" rintocca più volte accanto all'apprezzamento per questa o quella scelta, e in effetti questo agile vademecum vuole aiutare i parlanti e gli scriventi a essere più padroni delle loro scelte. Inutile precisare che il testo non è né potrebbe mai essere esaustivo; mira piuttosto a evidenziare alcune buone e cattive pratiche che emergono come le più urgenti da segnalare. 
La prima parte interessa il campo del parlato: vengono stigmatizzati alcuni errori comuni (l'impiego del "che" polivalente, l'uso errato e invalso di "piuttosto che", il "gli" usato anche in riferimento a una referente femminile,...) e definite buone e cattive pratiche (ad esempio, sui connettivi). Inevitabile e salutare è soffermarsi sull'uso dei tempi e dei modi verbali, ma bisogna ribadire che la trattazione è molto semplice e sintetica: torna utile per chi ha ricordi della scuola ormai sfocati e desidera ripassare l'abc dell'uso morfologico, sintattico e interpuntivo. Proprio su quest'ultimo tema ricorre una buona sezione, secca ma efficace per gli esempi scelti, così come accade per una velocissima rassegna di dubbi ortografici ancora molto comuni. 
La seconda parte del libro è dedicata a come l'italiano può diventare un "mantello": «il "manto figurale" rimanda all'aspetto immaginativo delle parole, al loro potere proiettivo, capace di modificarsi di persona in persona; le parole si camuffano, cercano nuova foggia, scivolano via silenziose, nell'incognito di lunghi drappi semantici» (p. 83).  Al di là del fascino di questa descrizione, concretamente si tratta di una parte del libro dedicata alle figure retoriche, di cui De Luca propone le più prolifiche anche nella nostra vita quotidiana. A queste si accosta una brevissima sezione sui proverbi e sulla loro efficacia, seguita da uno sguardo sulla cinesica, ovvero sui gesti che accompagnano il parlato e che possono potenziarlo o, viceversa, deconcentrare dal discorso. 
La terza parte di La lingua parla (di te) si concentra sul lessico, ed è forse qui che riusciamo a trovare il maggior numero di informazioni utili anche per chi ha già una buona formazione di base. Scavare nel lessico letterario, puntare l'attenzione sulla centralità dell'aggettivo e operare interessanti carotaggi dalle opere di Dante, D'Annunzio e Gadda può in effetti affascinare e far desiderare a tutti i lettori di adottare la pratica consigliata da De Luca su come imparare e reimpiegare i vocaboli dei grandi scrittori per trovare un proprio stile. 
In sostanza, La lingua parla (di te), a cominciare dal titolo, è un testo ammiccante e amichevole, che può servire ad avvicinare alle problematiche linguistiche. 


Errori, orrori, regole e falsi miti
dell'italiano contemporaneo
di Fabio Rossi e Fabio Ruggiano
Franco Cesati, 2022

pp. 122 
€ 12 (cartaceo)

Errori, orrori, regole e falsi miti dell'italiano contemporaneo inaugura "Italiano di oggi", una nuova collana di Franco Cesati Editore, che da anni pubblica interessanti e agili - ma profondi - studi sullo stato della nostra lingua. Fabio Rossi (professore ordinario) e Fabio Ruggiano (professore associato) insegnano entrambi Linguistica italiana all'Università di Messina, e dunque possiamo già capire che l'approccio allo stato della nostra lingua sarà nettamente diverso rispetto al libro di De Luca.
Benché questo testo sia divulgativo, il suo pubblico deve avere dei prerequisiti diversi per apprezzarlo a fondo: il testo è agile, certo, ma anche preciso e fa un uso del lessico più esatto e meno metaforico, ragion per cui si richiede una formazione scolastica buona per chi ci si accosta. A rendere sfidante e, a suo modo, intellettualmente giocoso il testo ci sono esempi dalla vita di tutti i giorni e test (con autocorrezione) alla fine dei capitoli, perché i lettori possano mettersi alla prova. 
Sotto la lente dei due autori c'è l'italiano contemporaneo, colto con un approccio descrittivo, più che prescrittivo. Determinate scelte sarebbero sbagliate in un contesto, ma non in assoluto: occorre in effetti distinguere le improprietà dagli errori di sistema. Fondamentale è la regola che possiamo proporre come sottintesa all'intero lavoro: 
La lingua varia non solo nel tempo, ma anche a seconda di chi la usa, in quale contesto, per quale scopo, con quale mezzo. La grammatica scolastica descrive (quasi) solamente una di queste varianti, quella scritta di media formalità. (p. 16)  

Molto interessante è il secondo capitolo, dedicato alla norma e agli usi, specialmente laddove gli autori evidenziano i tratti dell'oralità che entrano prepotentemente nei testi scritti. Se la sintassi resta «solidamente fedele al tipo tradizionale» (p. 67), il lessico è invece uno degli aspetti più porosi della lingua, e dunque Rossi e Ruggiano riflettono sui neologismi e i tanto criticati anglismi. Raramente appaiono giudizi di valore, perché ricordiamoci che i linguisti credono fortemente che «analizzare le innovazioni serve ad affrontare il cambiamento, che - ricordiamo - è inevitabile e vitale, con consapevolezza e pochi (perché è impossibile liberarsene del tutto) pregiudizi» (p. 74). Quindi l'analisi delle varietà di italiano non contiene giudizi di valore; anzi, in più luoghi del testo gli autori ribadiscono la dignità di tutte le varietà, che andrebbero invece studiate anche a scuola - e non demonizzate -, perché gli studenti possano legare una determinata varietà a un determinato contesto d'uso. 

Utile e in parte provocatorio è il capitolo dedicato ai dubbi che accompagnano le regole: è una sezione che scardina con ironia e competenza le norme grammaticali e che ci mostra l'estrema elasticità della nostra lingua e la complessità di significati sottesi alla preferenza di un congiuntivo rispetto a un indicativo, o a un determinato uso pronominale,... 


In conclusione, dopo questa lettura praticamente contemporanea delle due opere, non posso che suggerirvi di partire da De Luca, se avete bisogno di certezze, per poi metterle in crisi con l'analisi Rossi e Ruggiano. Si sa, d'altra parte, che etimologicamente "crisi" significa "decisione, scelta", ed è ora di scegliere liberamente le parole che vogliamo pronunciare e scrivere, per non essere parlanti inconsapevoli e passivi che credono che la nostra lingua serva solo a comunicare nella quotidianità, in modo tachigrafico e sgangherato. 

GMGhioni